Home > ... > Forum 8334

> I detenuti festeggiano l’indulto - Boati di gioia come per i Mondiali

31 luglio 2006, 10:10

Correre il rischio del bene

di ADRIANO SOFRI da "Repubblica" del 31 Luglio 2006

L’abbiamo provata tutti, nei nostri funerali laici, di non credenti, una sensazione imbarazzata di inadeguatezza, una nostalgia per i funerali religiosi. Ci mancano le parole, i gesti di cui sentiamo il bisogno. E’ vero per il lutto e il dolore, è vero per la gioia. Quale annuncio dev’essere più gioioso di quello per eccellenza giubilare, del perdono, della riconciliazione, della liberazione?

Il Parlamento vota, con un concorso assai più ampio dell’introvabile maggioranza dei due terzi richiesta, una riduzione di pena fino a tre anni, e non trova le parole per dirlo. Eppure, con rarissime, avarissime eccezioni, tutti dichiarano di augurare un sollievo ai disgraziati prigionieri, qualunque opinione abbiano poi sul costo che la decisione fa pagare. Ma non si trovano parole per dirlo. Si parla, legittimamente, d’altro: è un regalo ai corrotti, ai furbetti, un compromesso necessario, un insopportabile inciucio (persino a citarla, questa parola disgusta), una misura d’emergenza, un atto di disciplina, un’obiezione di coscienza... E il perdono, e la pacificazione e il ricominciamento che il perdono promette a chi lo riceve e a chi lo concede, a una comunità intera che si apre alla fiducia?

Non abbiamo parole, non il suono dello yobel, la tromba di corno che dava l’annuncio dell’anno di grazia. La terra avrebbe riposato, sarebbe tornata agli antichi proprietari, gli schiavi sarebbero stati liberati. I 61 mila detenuti italiani hanno aspettato la notizia appesi alle inferriate, attaccati alle radioline che trasmettevano in diretta dal Senato - come avrei voluto essere dentro, sabato sera. Dice Isaia: "Come sono belli i piedi del messaggero di lieti annunzi". Chi avrebbe l’ingenuità e il coraggio di usare parole simili?

L’annuncio è arrivato, prosaicamente, da Radio Radicale. Dice il Vangelo di Luca: "Lo Spirito del Signore... mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia". Nostalgia di belle parole, sante, solenni. Immagino l’obiezione: libera Chiesa in libero Stato. Lo Stato non conosce giubilei e lieti annunzi, liturgie dell’Avvento e del Natale, lo Stato si occupa della legalità e della sicurezza... Be’, non solo. L’amnistia, l’indulto, stanno scritti nella Costituzione, e proprio come riconoscimenti gratuiti dell’impegno al riscatto, al ricominciamento, e non come espedienti pratici, sgomberi di corpi inerti, evasione di pratiche polverose, occasioni di accordi politici.

La legalità, la sicurezza, non vanno senza la compassione, l’emergenza non va senza la straordinarietà. Quanto alla legalità, tremendi sono gli equivoci: perché le carceri che minano l’incolumità corporale e degradano l’anima delle persone sono illegali, oltre che disumane: e non ha senso pensare di dividersi fra fautori dell’umanità e fautori della legalità. E la sicurezza? A chi è allarmato per la liberazione anticipata dei "delinquenti", e a chi soffia sull’allarme, sperando in cuor suo che fatti atroci gli diano al più presto ragione, bisogna dire che il rischio c’è: che tra le persone che escono prima - che sarebbero dunque uscite comunque fra un anno, fra due, fra tre - molti potranno tradire il credito che è stato fatto loro, ai propri danni, e anche, gravemente, ai danni altrui. Una comunità può scegliere di correre un rischio, misurando il bene che può in cambio fare e ricevere. E’ sbagliato farsi forti di un’esperienza personale, negando a chi non l’abbia vissuta una piena voce in capitolo. E tuttavia, chiedete a chi la conosca, la galera, chiedete ai direttori, agli ufficiali e agli agenti di polizia penitenziaria, chiedete agli educatori, ai medici, e avrete ben altri risultati ai sondaggi sull’indulto.

Tre anni: troppi, si dice. Ma sapete che una legge in vigore consente a chi sia in possesso di certi requisiti - un buon comportamento, un domicilio, un lavoro - di non stare in galera quando si scende sotto i tre anni di pena, e anzi, per i tossicodipendenti, sotto i quattro anni? E allora come mai con un indulto per le pene residue sotto i tre anni si annuncia l’uscita di 12 mila, o 20 mila persone? Il buon comportamento ce l’hanno: gli manca la casa, il lavoro, l’avvocato! Questo c’entra con la legalità. Con l’umanità c’entra altro. I corridoi sui quali si cammina in galera sono macchiati di sangue. I ragazzi che riempiono la galera si tagliano le vene, la pancia, la faccia, si cuciono la bocca, ingoiano lamette e batterie e forchette, si passano il metadone da una bocca all’altra, "si sfondano di seghe". In una stessa cella giovani e vecchi di condanne le più diverse, di nazioni e lingue le più diverse, di malattie diverse, finiscono per odiarsi e per venire alle mani e ai coltelli per il telecomando.

Non occorre aver visto tutto questo per sentire una misericordia: ma chi l’ha visto cerca altrove, nel profeta Isaia, nell’evangelista Luca, le parole che corrispondano alla cosa. Il Parlamento ha votato questo indulto. Non succedeva da sedici anni. Si sono ascoltati allarmi e indignazioni sincere e argomentate, e allarmismi e scandali per partito preso. C’è un risultato, bisogna spiegarlo perfino politicamente. Qualcuno preferirà spiegarlo soprattutto con un basso patto politico. Non so: non mi aspetto moltissimo dalla politica di professione. Ma bisogna aspettarsi davvero il peggio per credere che una così vasta maggioranza parlamentare si sia sottomessa a un "patto scellerato", e che legalità e umanità non abbiano avuto una loro parte essenziale - un’eco postuma degli applausi dell’aula a un Papa. Ho sentito in Senato un ex-magistrato come D’Ambrosio avvertire del costo gravissimo e per lui inaccettabile della misura, e ho sentito ex-magistrati come Casson e Di Lello, sostenere il contrario, e argomentare l’infondatezza di allarmi come quello sui risarcimenti alle vittime del lavoro, o sul cosiddetto voto di scambio mafioso. C’è qualcosa di diverso dal Partito degli Avvocati contro il Partito dei Magistrati. C’è qualcosa di tutt’altro che scontato in questo: purché lo si sappia mettere a buon frutto.

Mi auguro che i responsabili politici della sinistra non cedano alla soggezione, o alla coda di paglia, che li induce troppo spesso a dire e fare le cose quasi vergognandosene e scusandosene. Per qualunque argomento: l’Afghanistan o l’indulto o i taxi. Che dicano o facciano solo quello che credono giusto, e ne vadano fieri. E se sono costretti a compromessi in nome di un bene maggiore, e anche solo di un male minore, lo dicano senz’altro, e mettano con le spalle al muro chi si vanta illeso da ogni compromesso, in totale irresponsabilità. E non abbiano paura delle parole solenni, quando ce n’è bisogno. Avranno pur visitato una volta una prigione, ne avranno calpestato i corridoi: non possono averne dimenticato l’odore, anche se prima delle visite i corridoi vengono lavati accuratamente. Quattro anni fa scrissi - su questo giornale - una lettera al Papa, alla vigilia della sua visita al Parlamento. Finiva così: "Sapesse come sono belli i piedi dei ragazzi che escono dalla galera".