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> Giampaolo Pansa: il grande bugiardo

17 ottobre 2006, 15:31

Quarantatre ......

Poichè l’esercizio più in voga è quello di dimenticare oppure di polemizzare - penso al libro di Giampaolo Pansa “La Grande Bugia” che ho appena finito di leggere (ahimé) - mi è capitato tra le mani un altro libro, ben più interessante, a cominciare dal titolo: “Ne valeva la pena”, a cura di Aldo Aniasi (in realtà scritto da Gino Morrone), che ripercorre i venti mesi di guerra partigiana nella provincia di Novara, in particolare nella zona di Cusio, del Verbano e soprattutto dell’Ossola. Morirono 1200 tra partigiani e civili massacrati dai nazifascisti. Nel libro c’è una foto, atroce, che mi ha sconvolto da ragazzo e che continua a turbarmi ogni volta che la vedo: quella dei 43 giovani caduti nelle mani delle SS e dei fascisti, a Fondotoce, il 20 giugno del 1944. Sbeffeggiati, costretti a sfilare per cinque chilometri sul lungolago, in testa al corteo due dei prigionieri sostengono un cartello “Sono questi i liberatori d’Italia oppure sono i banditi?”. Uno dei due è il tenente Rizzatto della “Valdossola”. Sotto al cartello, marcia fierissima e spavalda una bella ragazza. Si chiamava Cleonice Tomassetti. L’hanno torturata, ma lei ha sempre tenuto testa ai suoi aguzzini. Cleonice è indomita, esorta incoraggia i compagni. Sarà la prima a cadere sotto i colpi dei nazifascisti. Muore gridando “Viva l’Italia!”. I prigionieri vengono ammazzati a gruppetti di tre. Il luogo dell’esecuzione è uno spiazzo, a Villa Caramora. Dopo la mattanza arriva la gente del paese. Sotto i corpi dei caduti, qualcuno si muove. Una donna sibila: “Stai lì, aspetta il buio”. L’uomo che ha ricevuto di striscio il colpo di grazia ed è stato coperto dai cadaveri dei compagni, è l’unico superstite. Si chiama Carlo Suzzi, partigiano della formazione “Valdossola”. I nuovi compagni lo ribattezzeranno “Quarantatré”. Vive in Tailandia. Così ricorda l’eccidio, preceduto da una finta esecuzione: “Schierati lungo il parapetto del lungolago, la faccia rivolta all’acqua, sentiamo gli ordini nonchè i rumori di armi preparate per sparare. L’esecuzione non avviene. Il viaggio è fatto in autocarro. Ad ogni raggruppamento di case veniamo fatti scendere e il corteo deve passare a piedi, in vista della popolazione, recando quell’infamante cartello. Si giunge a Fondotoce. Neanche il prete può avvicinarci. Siamo obbligati, per evitare eventuali fughe, a sdraiarci a terra e tre alla volta passano sotto le raffiche del plotone di esecuzione. Fra di noi, prima è una donna. Bisognava vedere il coraggio di questa ragazza, che durante il percorso ripeteva a tutti: mostriamo a questi signori come noi sappiamo morire”.

Leonardo Coen ( dal suo blog su repubblica.it )