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> Percorsi : Hamas, Hezbollah, Talebani

8 ottobre 2006, 13:17

Premettendo il fatto che sono convinto che la manifestazione del 30 settembre a Roma è sostanzialmente fallita non soltanto per il boicottaggio della "sinistra radicale di governo" ma anche perchè tra i promotori e tra le adesioni sono state accettate presenze a dir poco sconcertanti che hanno tenuto lontani dal corteo anche situazioni e singoli compagne/compagni che pure ne condividevano lo spirito e gli obiettivi, mi sembra comunque giusto pubblicare la risposta di Piero Bernocchi a Lidia Menapace, pubblicata sempre da "Liberazione", nella quale sostanzialmente mi riconosco.

Keoma

La critica di Lidia Menapace alla manifestazione del 30 settembre è francamente sconcertante. Malgrado cerchi di ridicolizzare le analisi delle forze promotrici del 30, deformandole a tic maniacali (ci si accusa di “superstizione”, di parole d’ordine usate come “amuleti o portafortuna”, di analisi “non razionali ma solo rassicuranti”, di “recitare rosari ossessivi”: insomma, siamo dipinti come disadattati, “spostati” psicologicamente, beghine di parrocchia, magari islamica), è uno degli articoli sulla guerra più irrazionali e irrealisti degli ultimi tempi. Non sembra opera di una compagna che fino a poco fa aveva i piedi piantati a terra: e men che meno di una deputata di una coalizione di governo che si è caricata di gravi responsabilità, votando ben due missioni militari - quando ancora ieri mi rimproverava ogni volta che usavo quello che definiva “linguaggio militare” (termini come “battaglia”, “militante”, “strategia”, “tattica”) – dei cui risultati dovrebbe almeno dar conto prima di lanciarsi in filippiche contro i “superstiziosi”.

La tesi di fondo del farraginoso scritto sembra questa: in teoria io (Menapace) vi (i manifestanti del 30) capisco pure, i vostri argomenti sono più o meno marxisti e antimperialisti: ma sono superati dalla storia e inutilizzabili e voi li usate come feticcio perché, di fronte alla nuova realtà, non riuscite a produrre categorie analitiche nuove. Dopodiché Menapace espone le proposte a cui la portano le presunte categorie “nuove” (perdiana, Lidia, devi aver riflettuto molto quest’estate, visto che in primavera ancora usavi pure tu le “vecchie”). E qui cascano le braccia, perché il succo è il seguente: prendiamo gli armati che rompono le scatole e impediscono la pacificazione, in primis i Talebani (perché Hamas e Hezbollah sarebbero già sulla buona strada), li convinciamo – o li facciamo convincere dagli iraniani – a deporre le armi e diventare una forza politico-istituzionale, gli organizziamo una Conferenza internazionale e intanto sostituiamo i militari con forze organizzate non combattenti: e la faccenda dovrebbe aggiustarsi. D’altra parte, aggiunge Menapace, non sta andando così con i baschi e con quelli dell’IRA?

Da tal quadro, questo sì superstizioso e soprattutto irreale fino al fantascientifico, sparisce la guerra globale e le sue ragioni, l’aggressione planetaria condotta dagli USA, l’arroganza bellicista e espansionista di Israele, il Grande Medio Oriente di Bush. Insomma, sembra che stiamo parlando davvero dello scontro tra protestanti e cattolici in Irlanda o tra indipendentisti e autonomisti nei Paesi Baschi: cosicché, una volta messe via le armi, la ragione dovrebbe prevalere.

Questa, e non la nostra, è davvero “una recita di rosari ossessivi che non sono traducibili in nessuna azione politica”. Perché di mezzo c’è una guerra permanente voluta dagli USA per dominare il mondo, per controllare le ricchezze cruciali in via di esaurimento, per occupare luoghi strategici in vista della feroce competizione con le nuove potenze emergenti (Cina in primis) e per far valere lo strapotere militare, visto che quello economico vacilla, verso gli alleati-concorrenti. E dall’altra parte c’è una resistenza concreta - che ha impantanato gli USA in Iraq e Afghanistan, che ha bloccato Israele, costringendolo a ricorrere all’ONU - senza la quale neanche parleremmo più di questi paesi, sottomessi alla pax americana, bensì dell’invasione dell’Iran o della Siria: una resistenza armata, con appoggio popolare vistoso in alcuni paesi e in altri comunque diffuso, integrata con la resistenza pacifica e l’ostilità verso gli occupanti della grande maggioranza delle popolazioni.

Le forze egemoni in queste resistenze non sono marxiste, usano spesso il fondamentalismo religioso come arma-chiave, hanno sovente una visione della vita sociale lontana mille miglia da noi: ma è anche colpa della “sinistra” mondiale se oggi sono queste forze, e non quelle che piacerebbero a noi, a condurre la sacrosanta resistenza reale agli USA e ai loro alleati. Che però non stanno per nulla rinunciando all’aggressione, anzi. In Israele si parla serenamente sulla stampa di uso delle atomiche nei confronti di Iran e Siria, il massacro dei palestinesi prosegue imperterrito e l’esercito israeliano ha detto che le truppe ONU in Libano garantiscono solo una tregua prima del nuovo assalto. E in tale prospettiva noi dovremmo lavorare perché Hamas, Hezbollah, Talebani, resistenza irachena laica e non, disarmino e organizzino Conferenze di pace? “Sbracciarsi – come Menapace segnala – a chiedere chi deve disarmare Hezbollah”, contro cui “sono state usate giustamente (sic!!!) le parole più forti”? Mandare in Afghanistan forze non combattenti perché i Talebani si “riconvertano” in forza politica?

Questa sì è fantascienza, che fa male alle menti e ai corpi, perché nel frattempo Lidia e altri/e hanno permesso al governo di mandare forze combattenti in Afghanistan, dopo averci promesso che sarebbero state fuori dalla guerra: ed oggi, come altri no-war trasportati nella maggioranza governativa, si accingono a riconfermarvi non le ipotetiche forze non combattenti ma Lagunari, Incursori, Parà, Assaltatori. Sarebbero queste le nuove categorie analitiche, la razionalità, l’”atteggiamento modesto e sommesso che procede attraverso il metodo del consenso”, quando peraltro i due terzi degli italiani sono contro la guerra in Afghanistan e la metà contro la missione in Libano?

Menapace e altri/e si sono risentiti perchè li ho definiti malati della “sindrome del governo amico”. Ma produrrebbero analisi così inverosimili, voterebbero le missioni, si entusiasmerebbero per i militari in Libano e per la politica estera italiana se il “conducator” della carrozza bellica fosse ancora Berlusconi e non D’Alema?

Piero Bernocchi - Confederazione Cobas