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> "Così incastreremo Prodi" - Le intercettazioni tra Scaramella e Paolo Guzzanti

7 dicembre 2006, 08:32

Parla il colonnello Gordievskij, la "fonte" del faccendiere

"Aveva una sola ossessione: trovare prove contro uomini della sinistra"

L’ex spia del Kgb su Scaramella
"Un bugiardo, voleva rovinare Prodi"

di CARLO BONINI e GIUSEPPE D’AVANZO

Due squilli di telefono. Una voce decisa. "Sono Oleg Gordievskij". Il colonnello Oleg Gordievskij, pochi giorni prima di fuggire dall’Unione Sovietica nel 1985, era stato nominato residente del Kgb a Londra. Aveva cominciato nel 1974 a lavorare per il Sis, il servizio informazioni segreto britannico (chiamato anche Mi6) come agente infiltrato nel Kgb: un agente doppio, dunque, in grado di raccontare di talpe e doppiogiochisti nel "grande gioco" dello spionaggio ai tempi della Guerra Fredda. Per la sua credibilità e per le sue conoscenze, Gordievskij è un nome che ritorna spesso - oggi in Italia - nelle presunte "esplosive rivelazioni" di Paolo Guzzanti e Mario Scaramella. Sarebbe Gordievskij, il desiderato, ambitissimo, attendibile testimone della commissione Mitrokhin capace di "incastrare" Romano Prodi come "uomo del Kgb".

Signor Gordievskij, vorremmo farle alcune domande su Mario Scaramella.
"Possiamo anche chiudere subito la conversazione, visto che immagino le domande. Mario Scaramella è un lurido bugiardo. Quel che ha riferito delle nostre conversazioni e del nostro rapporto è falso dalla prima all’ultima parola. Non ho mai detto che Prodi è stato un agente del Kgb, né ho mai sostenuto che sia stato "coltivato" dall’intelligence sovietica. Fatevelo dire, soltanto in Italia può essere dato credito a un caso psichiatrico come Scaramella. Devo dire altro?".

Se non le dispiace, vorremmo avere da lei qualche dettaglio più preciso. E cominceremmo dall’inizio di questa storia. Quando e come ha conosciuto Mario Scaramella?
"Purtroppo mi sono imbattuto in questo stupido bugiardo circa tre anni fa. Ricevetti una e-mail dal senatore Paolo Guzzanti, che conosco da tempo. Mi chiese di ricevere in Inghilterra questo suo consulente, in cui riponeva massima fiducia, sollecitandomi a collaborare con lui e con le sue indagini sul dossier Mitrokhin. Così iniziò il mio tormento".

Perché "tormento"?
"Scaramella cominciò ad alluvionarmi con e-mail prolisse, logicamente sconnesse, zeppe di richieste incomprensibili, basate su informazioni altrettanto incomprensibili e, soprattutto, di misteriosa provenienza. La conoscenza diretta e personale di questo spostato non migliorò la situazione. Io mi illudevo che l’interesse di Guzzanti e di Scaramella fosse legato ai tentativi di penetrazione del Kgb nella sinistra italiana negli anni ’70-’80. Come del resto era avvenuto in Francia e in Germania. Dunque, pensavo che la vostra commissione Mitrokhin volesse approfondire il lavoro svolto da un centinaio di agenti del servizio segreto sovietico in Italia. Le cose purtroppo non stavano così".

E come stavano?
"Scaramella, sostenuto da Guzzanti, cominciò a ossessionarmi chiedendomi di consegnargli le parti non diffuse dell’archivio Mitrokhin. La richiesta in sé era un non senso. Ma, siccome sono una persona educata, gli spiegai come stavano le cose. Gli dissi che ero un semplice cittadino e non avevo la disponibilità materiale dell’archivio Mitrokhin. Gli dissi che certe domande andavano fatte eventualmente alle autorità inglesi. Una persona normale, se si sente dare una risposta del genere, che fa? La smette. Al contrario, ottenni l’effetto opposto come se la mia indisponibilità eccitasse Scaramella. Mi torturava, lasciandomi capire - tra l’altro - che non gli importava poi molto degli argomenti su cui avrei potuto essergli davvero d’aiuto".

Che cosa voleva allora Scaramella?
"Voleva la testa di Prodi. Ma non fui io a dargliela. Fu Aleksandr Litvinenko. Ricordo ancora perfettamente cosa accadde".

Che cosa ricorda?
"Ricordo il bar di un elegante hotel di Regent Street, un magnifico calice di vino rosso e Aleksandr che, alla mia presenza, racconta a Scaramella una confidenza ricevuta, a suo dire, a Mosca, e prima di fuggire a Londra, da quello che allora era il suo vicedirettore al Fsb, Anatolij Trofimov. Ricordo ancora le parole di Aleksandr. Disse: ’Quando confidai a Trofimov la mia idea di lasciare Mosca e riparare in Italia, il generale mi mise in guardia. Mi disse: stai attento, perché in Italia ci sono molti ex uomini del Kgb. Persino Prodi è un nostro uomo’".

Scaramella sostiene che l’espressione "Prodi è un nostro uomo" sia sua. Di più: Scaramella sostiene che lei si sia spinto ad indicare il dipartimento del Kgb (il V, quello responsabile per le "misure attive") che avrebbe "coltivato" l’attuale premier italiano.
"E’ un’immonda bugia. Quella frase, come stavo dicendo, fu pronunciata da Aleksandr Litvinenko. Io rimasi in silenzio e lo fissai a lungo. Evitai di dire in sua presenza quello che pensavo e che dissi e continuai a ripetere sia a Scaramella che a Guzzanti. Io non solo non avevo alcuna informazione su un qualsivoglia rapporto, di qualsivoglia genere, tra Prodi e il Kgb. Ma ero anche convinto che Aleksandr stesse mentendo due volte. Perché non solo riferiva una circostanza non vera, ma per giunta la attribuiva a una fonte, Trofimov, che non avrebbe potuto smentirla perché era stato ucciso. Insomma, ero convinto ieri e lo sono ancora di più oggi che Aleksandr, per ragioni legate alle continue difficoltà economiche, avesse alla fine deciso di dire a Scaramella quel che Scaramella voleva sentirsi dire. Forse perché da questo immaginava di trarre qualche vantaggio in futuro. Del resto, Aleksandr screditò Prodi non solo con Scaramella, ma anche con alcuni deputati europei inglesi che avevano lo stesso interesse. Questa è una cosa che so per certa, perché quei deputati europei inglesi mi avvicinarono per tentare, inutilmente, di farmi confermare le confidenze di Litvinenko".

Scaramella la sollecitò anche su altri uomini politici della sinistra italiana?
"Sì. Non me ne chiedete però i nomi. Non glieli lasciai neppure pronunciare".

Signor Gordievskij, come è possibile che, con il pessimo giudizio che lei aveva di Scaramella, i vostri rapporti non si siano interrotti subito?
"Io provai quasi subito a troncare, non appena mi fu assolutamente chiaro che prima mi liberavo di questo buffone e meglio sarebbe stato. Lo feci una prima volta rivolgendomi a Guzzanti. Gli mandai una mail dandogli conto delle insopportabili pressioni cui mi sottoponeva il suo consulente. Ricordo perfettamente che gli scrissi: "Scaramella is a mental case", Scaramella è un caso psichiatrico".

E Guzzanti che cosa le rispose?
"Rispose, con quel suo modo bonario, che non dovevo preoccuparmi. Che stavo esagerando, che Scaramella era semplicemente una persona un po’ sopra le righe, ma che questo non doveva preoccuparmi".

Così continuaste a vedervi.
"Cercai di evitarlo. E quando capii che Guzzanti non me lo avrebbe tolto dai piedi e le pressioni su Prodi si fecero ancor più intollerabili, decisi di rivolgermi formalmente al controspionaggio inglese, l’Mi6. Raccontai cosa stava accadendo. Spiegai chi era questo buffone di Scaramella e che cosa pretendeva di farmi dire. L’Mi6 diede immediatamente corso alla mia denuncia, informandone il Foreign Office e il Sismi, cui venne chiesto che le attività di disturbo di Scaramella cessassero immediatamente. Ancora una volta, da persona abituata ad avere a che fare con persone serie, immaginavo di averci messo un punto a questa storia. Mi sbagliavo. Non molto tempo dopo i miei colloqui con l’Mi6, incontrai il mio amico Vladimir Bukovskij. Come sapete anche lui ha rapporti con Guzzanti per la "Mitrokhin" ed è stato contattato nel tempo da Scaramella. Bene, sapete che cosa mi viene a dire Vladimir? ’Ho saputo da Guzzanti e Scaramella che ti sei lamentato con l’Mi6. I due sono molto preoccupati che tu trasformi questa storia in un caso diplomatico’. Andai su tutte le furie. I miei colloqui con l’Mi6 erano avvenuti nella più assoluta discrezione. Guzzanti e Scaramella non solo non avrebbero dovuto esserne a conoscenza, ma, soprattutto, non avrebbero mai dovuto parlarne. Vladimir Bukovskij provò a tranquillizzarmi, ma non ci riuscì. Abbiamo caratteri diversi. Lui ha un temperamento molto tollerante, al contrario del sottoscritto. E non ha mai reagito".

Perché avrebbe dovuto reagire? Anche lui è stato messo sotto pressione da Scaramella?
"Certo che è stato messo sotto pressione. Fu lui stesso a dirmelo. Ma, evidentemente, persino uno come Scaramella dovette presto capire che non avrebbe potuto in nessun modo accreditare le sue fandonie attraverso Vladimir. Anche perché lui, davvero, se non altro per età e per conoscenze, non avrebbe mai potuto verosimilmente essere indicato come riscontro di certe menzogne".

Quando ha incontrato l’ultima volta Scaramella?
"Non voglio essere impreciso. Ma forse non sbaglio se vi dico quasi due anni fa. Era venuto in Inghilterra per una conferenza sull’inquinamento da radioattività del Mediterraneo. Dopo la conferenza, insistette per restare con me a cena e ricordo che lo portai in un piccolo ristorante cinese, molto economico e molto buono. Come al solito mi assillò, ma ebbi gioco facile mettendomi a parlare di cibo cinese. Per fortuna non dovrò più vedere la sua faccia. Soprattutto, spero di non dover più dover dar conto di lui. Un uomo del genere va soltanto dimenticato".

Dimenticato? Lei sa che cosa sta succedendo in Italia?
"Eccome se non lo so. So che è sotto inchiesta e so che rilascia tre interviste al giorno. Bene, io penso che questo spettacolo sia indegno dell’intelligenza umana. Anzi, penso che sia un’offesa all’intelligenza. Ma come si può ancora stare a sentire un megalomane che è stato capace di mentire persino sul suo stato di salute? Che è arrivato a dire che nel suo corpo c’era una dose di polonio cinque volte superiore a quella letale, salvo uscire oggi (ieri, ndr) con le sue gambe dall’ospedale? Lo dico un’ultima volta. Credetemi: Scaramella is a mental case. Non va messo sotto inchiesta, non va buttato in un carcere: va consegnato alle cure di un efficiente staff medico che si prenda cura della sua psiche e, in silenzio e per il suo equilibrio, lo faccia dimenticare".

(7 dicembre 2006) www.repubblica.it