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Sicariato informativo: Piero Sansonetti sul Secolo d’Italia preferisce Gianfranc

25 febbraio 2008, 20:41

L’intervista integrale:

fini rappresenta una destra aperta, attenta ai cambiamenti.
Diversa rispetto alle tentazioni neoautoritarie dei nostalgici
del centro. Veltroni? Ha cancellato la sinistra riformista dal
panorama politico, traghettando i Ds al centro». Non manca la vis polemica
a Piero Sansonetti, giornalista di origini leccesi cresciuto ne l’Unità, che
dirige dal 2004 Liberazione. In un periodo di grandi manovre a destra, centro
e sinistra, i giornali di partito costituiscono un osservatorio davvero
privilegiato.
■ Direttore, nel giro di pochi mesi il panorama politico si è completamento
capovolto. Proviamo a mettere un po’ ordine in questo
quadro?
In Italia c’erano da alcuni anni due sinistre, con forti differenze programmatiche.
Il programma del governo Prodi, con le sue duecentottanta pagine,
aveva rappresentato una soluzione di compromesso. Poi con la nascita
del Pd e la scomparsa dei Ds, anello di congiunzione tra sinistra radicale e
centristi, questo tentativo è fallito, e l’esecutivo di centrosinistra è caduto.
Ora Veltroni sta caratterizzando il suo partito come un movimento di centro,
con punti programmatici molto simili a quelli della destra. Sul fronte
dell’ex Cdl, invece, si scontrano due progetti: da un lato ci sono settori
riconducibili all’area ex democristiana che immaginano uno schieramento
moderato, con forti influenze anche della Chiesa; dall’altro Berlusconi e
Fini vogliono dare vita a un grande partito di destra, a vocazione bipolare.
■ Ci sono ancora buoni motivi perché un elettore di sinistra possa
votare Veltroni?
No, con franchezza. L’ex sindaco di Roma ha segnato una svolta moderata
per il Pd, e di conseguenza è scomparsa in Italia un’area rilevante come
quella della sinistra riformista.
■ Tra “Liberazione” e Veltroni non c’è mai stato amore o feeling.
Scriviamolo in inglese che va di moda dalle parti del loft democratico…
I giornali di partito sono esenti dalla diplomazia che regola la dialettica
politica. E noi, con il libro “Walter Ego”, abbiamo evidenziato come la nuova
formazione si allontanasse dall’alveo storicamente della sinistra, abbandonando
la difesa dei ceti sociali più deboli e affermando una sostanziale
equidistanza tra impresa e lavoro.
■ In copertina c’era Veltroni versione pop, alla Andy Warhol.
Come spiega questa scelta?
È l’immagine giusta per definire la sua evanescenza.
■ Veltroni vorrebbe dipingersi di nero come Obama. Assistiamo a
una inattesa americanizzazione della politica italiana?
Io amo l’America, ma sono preoccupato da questi fenomeni, perché quando
americanizzazione significa semplificazione del quadro politico, bisogna vigilare.
Non vorrei che l’obbiettivo fosse l’abolizione della specificità politica
europea, per arrivare a una sostanziale omologazione liberista. Poi non era
mai successo che un leader di un grande partito continentale scopiazzasse
uno slogan d’oltreoceano, come nel caso dell’ormai famoso “Yes, we can”.
■ Nelle prossime settimane assisteremo a un progressivo irrigidirsi
delle differenze tra ex alleati?
Di sicuro, perché le differenze culturali emergeranno forti, a sinistra e a destra.
Come al convegno sul ’68 promosso da “Liberal”. Fini e Casini hanno registrato un
netto disaccordo sul giudizio storico di quel periodo. Mentre il leader della destra
offriva una lettura attenta ai movimenti giovanili e alle spinte di rinnovamento, il
presidente dell’Udc si caratterizzava per posizioni neoautoritarie, che lo accomunano
a un certo fanatismo cattolico, anche nelle critiche alla Chiesa conciliare…
■ Fini invece…
Come ho scritto in un fondo sul mio giornale, merita elogi perché alimenta
a destra una sensibilità attenta ai fenomeni sociali manifestatisi nella
contestazione giovanile. Recupera il valore dell’uguaglianza, declinandolo
con coraggio a destra. Anche la Polverini, segretario nazionale dell’Ugl,
esprime posizioni originali e culturalmente interessanti.
■ Con la presentazione della lista unica del Pdl, si apre uno scenario
nuovo per la destra italiana.
Forza Italia ha più voti ma Alleanza nazionale ha un maggiore radicamento
sociale. Si giocherà una bella partita, ma l’esito finale dipenderà da
come andranno le elezioni.
■ Difficile fare pronostici.
Non ho mai parlato di regime quando era al governo Berlusconi, ma il vero
pericolo per l’Italia è rappresentato dal possibile accordo tra il Pd e il leader
di Forza Italia. In questo caso si registrerebbe davvero un concreto restringimento
degli spazi di libertà in nome di politiche liberiste e antipopolari.