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> L’ultimo lavoro di Moretti, ’Il Caimano’, sarà nelle sale italiane da venerdì

23 marzo 2006, 12:11

L’esordio con i travagli dell’ultrasinistra
poi la "sveglia" all’Ulivo delle liti, ora il premier

Dal Pci a Craxi a Berlusconi

Nanni "veggente" dei miti in crisi

di FILIPPO CECCARELLI

Se il berlusconismo è agli sgoccioli, e un certo cinema anticipa la realtà, a 17 giorni dalle elezioni vale la pena di ricordare che da più di trent’anni, là dove c’è una crisi politica, piomba Nanni Moretti.

È ormai questione di antenna, di sensori, o di calamita. Basti pensare che il suo primissimo super8 s’intitolava già La sconfitta e metteva in scena l’eroicomica sofferenza di un militante dell’ultrasinistra.

A questa specie di disagevole chiaroveggenza si può dire che Moretti è sempre rimasto fedele. Con il che, a partire dal lontano 1973, non c’è disastro strisciante, né pubblica disfatta o depressione di fede o di regime che non abbia previsto e illustrato, di solito con una risonanza che stavolta dovrebbe impensierire il Cavaliere. Perché fino a prova contraria il morso del Caimano è destinato a lui.

Caso più unico che raro, Berlusconi non ha mai parlato di Moretti. Mai addirittura risulta averne pronunciato il nome, neppure al tempo dei girotondi, quando di colpo, un giorno di carnevale del 2002, trovandosi a passare sotto un palco a piazza Navona, il regista fuoriuscì dai suoi film per entrare sia pure brevemente, ma da protagonista, nella vita pubblica italiana.

Forse in qualche modo il presidente del Consiglio ne ha paura; forse, da uomo di comunicazione e di spettacolo, non vuole fargli pubblicità. E tuttavia, nella grande battaglia per la conquista dell’immaginario, in quello spazio dove la politica entra in circuito con l’energia delle immagini e dei simboli, si tratta di uno scontro epico, e per tanti versi magari a suo modo perfino terminale.

Di Moretti, come di ogni vero e nevrotico artista, si può pensare il meglio o il peggio. Ma sul piano quasi oggettivo dello sviluppo storico, nel prefigurare le imminenti magagne nazionali, nessuno più di lui appare recidivo. Così, si deve senz’altro a Io sono un autarchico (1976) e a Ecce bombo (1978) la più illuminante descrizione della crisi dell’ultrasinistra, il disincanto e poi lo sfascio esistenziale di una generazione di rivoluzionari. Militanti barbuti e un po’ spiritati che si infliggevano improbabili sedute di "autocoscienza maschile"; ragazze che "facevano cose e vedevano gente"; un piccolo mondo grottesco che se ne andava - "No, il dibattito no!" - alcuni dietro agli "indiani cicorioni" alla Festa del Sole di Machu Picchu; altri pronti a ricevere rassicurazioni da "un amico mio etiope" riguardo all’impossibilità di un golpe, per via di certe rotaie su cui non potevano transitare i carriarmati.

"Il comico si annida nelle cerniere della storia come una ruggine corrosiva" scrisse allora Alberto Moravia. Ma se l’universo dei gruppuscoli sembrava minima e misera cosa da raccontare, non così fu dieci anni dopo la fine del comunismo che si involtolava su se stesso in Palombella rossa (1989), con tanto di deputato del Pci in palese crollo psicoemotivo: "Siamo uguali, però siamo diversi". Prima di essere raccolto dagli infermieri della neuro.

Quindi Moretti, sempre in anticipo sulla scissione e la nascita travagliatissima del Pds, si dedicò a La Cosa (1990): un vero viaggio nelle sezioni di un partito che ondeggiava tra il caos più pauroso, le lacerazioni e il furbo ridimensionamento delle speranze, "una lezione di giornalismo" scrisse Rossana Rossanda.

Ancora un anno e la rovina da prevedere e debitamente accompagnare nella concretezza delle vicende è quella di Craxi. Il portaborse, in realtà, è un film di Daniele Luchetti. Però s’impone anche perché Moretti incarna l’odiosa figura del ministro Botero, ricostruito come cinica sintesi di Martelli e De Michelis, con qualche sproloquio decisionista attinto di peso dai discorsi craxiani. Dopo averlo visto, il vicesegretario del Psi Giulio Di Donato dice: "M’è venuto da vomitare". Di lì a qualche mese, nella fornace del congresso di Bari, la prossima fine ingloriosa del garofano è davanti agli occhi di tutti. Basta saperla riconoscere.

Prima e poi ci sono, è ovvio, diversi film non-politici. Storie di preti, di amori, malattie, solitudini, bambini. Pellicole riuscite e meno riuscite. Ma qui vale più ricordare il rabbioso sgomento per la sconfitta e l’ormai malinconica delusione, anzi addirittura l’estraneità che in Aprile (1998) Moretti riserva a quella stessa sinistra finalmente, ma invano al dunque giunta al potere. Gli ombrelli neri sotto la pioggia dopo il trionfo berlusconiano; le navi cariche di albanesi; e quell’ormai celebre tormentone che sanziona la trasformazione del militante in un tifoso davanti alla tv, con tanto di spinellone fumato sotto gli occhi di mamma: "D’Alema, dì qualcosa di sinistra!". E il D’Alema presidente del Consiglio se lo sentì rinfacciare, da un giornalista argentino, addirittura davanti alle cascate di Iguazù.

Poi sì, certo, come si accennava, Moretti per un po’ fece davvero il suo ingresso in politica. Gli bastò, una sera, quella frase che suonava come una maledizione: "Con questo gruppo dirigente non vinceremo mai", indicando con la testa alle sue spalle D’Alema, Rutelli, Fassino (che prese cappello e se ne andò). E vennero allora le coreografie di piazza senza più le bandiere rosse, vennero i presidi sotto il Senato per la Cirami, e i palloncini da gonfiare, i giornalisti che spiavano dietro le vetrate del Nuovo Sacher, i commessi della Camera che intimavano una postura più consona, e il boato delle moltitudini sotto il palco a San Giovanni, quell’esordio così rauco e cantilenante, così morettiano: "Non perdiamoci di vista... ".

Ma dopo? Boh. Un conto è avere l’occhio lungo, un altro perdersi di vista. Inoltre gli artisti come Nanni, si sa, valli a capire. Anni orsono Biancamaria Frabotta gli ha dedicato una poesia che si conclude così: "Per una storia che non ci attanagli/ per un mito della nostra taglia/ per una lacrima che non sia di coccodrillo". O di caimano, viene da pensare: che sempre di super-rettili in fondo si tratta.

(23 marzo 2006) www.repubblica.it