Home > ... > Forum 6215

> IO NON CE LA FACCIO L’8 MARZO...

6 marzo 2006, 12:49

8 MARZO 2006
Giornata Internazionale della Donna
Non solo una festa, ma una giornata di lotta

VIAREGGIO
C.R.O. Darsene, Via Coppino

ore 20
BUFFET

ore 21
proiezione del film
IL SEGRETO DI VERA DRAKE
di Mick Leigh (GB, 2004)

***

Laboratorio Marxista
Contro l’attacco trasversale al diritto d’aborto, per l’autodeterminazione della donna

Circolo Iskra
Scheda del film "Il segreto di Vera Drake"
Contro l’attacco trasversale al diritto d’aborto, per l’autodeterminazione della donna

Nella primavera del 1995 il candidato del centro-sinistra per le elezioni politiche dell’aprile ’96, Romano Prodi, risponde all’Enciclica papale "Evengelium Vitae" - in cui si definisce l’aborto "delitto abominevole" - con tre "parole d’ordine": prevenzione, dissuasione, applicazione.

Secondo Prodi, fatta salva formalmente l’autodeterminazione della donna, la legge 194/78 sull’interruzione volontaria di gravidanza poteva essere rivista agendo su questi tre elementi.

Nel giugno 1995 si svolge a Roma una grande manifestazione nazionale - dal titolo "Per non tornare indietro" - in cui la sinistra scende in piazza per manifestare il proprio sdegno contro gli anatemi anti-abortisti della Chiesa e contro i progetti di legge presentati nei mesi precedenti dai deputati di AN, CCD e PPI che - guarda caso - puntavano precisamente sui concetti di persuasione e prevenzione in merito al tema dell’interruzione volontaria della gravidanza.

Al tempo, il governo "Berlusconi 1" era già caduto e da 6 mesi aveva avuto inizio il governo "tecnico" di Lamberto Dini, con Tiziano Treu ministro del lavoro e Susanna Agnelli agli Affari Esteri (e a garanzia dell’appoggio al governo del grande capitale industriale e finanziario italiano); Mentre Dini portava a compimento, con l’appoggio esplicito di D’Alema, Buttiglione e Bossi, la riforma delle pensioni proposta quando era ministro del governo Berlusconi, e Romano Prodi si preparava a vincere le elezioni, tenutesi nella primavera del 1996.

Sono trascorsi 11 anni da quella manifestazione e da quelle 3 emblematiche parole in tema di aborto; ci troviamo di nuovo con Romano Prodi candidato del centro-sinistra per le prossime elezioni politiche e con un attacco in corso al diritto di aborto alimentato dalla sconfitta - nel giugno 2005 - al referendum sulla Procreazione Medicalmente Assistita (Legge 40/2004). Il risultato di quella sconfitta è stato quello che attualmente è in vigore in Italia una sorta di "unicum" a livello europeo in materia di vita umana, famiglia, ricerca scientifica e diritto all’autodeterminazione della donna.

La legge 40, infatti, sottende una concezione delle relazioni sociali, della famiglia, della vita. pienamente consona ai diktat della Chiesa cattolica e del sistema capitalistico. Basti pensare al riconoscimento della "personalità giuridica" dell’embrione che rappresenta un esplicito tassello dell’attacco al diritto di auto-determinazione della donna in tema di maternità.

Inoltre, non fa mai male ricordarlo, si tratta di una legge approvata da "uno schieramento politico istituzionale trasversale che va dai partiti del centro-destra fino a partiti del centro-sinistra" (vedi Controvento n.10, Foglio di controinformazione politica).

Nell’autunno 2005 il nuovo Papa, in perfetta continuità con la "politica" vaticana del suo predecessore Giovanni Paolo II, prosegue la lotta della Chiesa cattolica contro la "non cultura della vita" e la "grave piaga sociale dell’aborto"; contemporaneamente la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) interviene esortando i giovani a guardare "con fiducia" alla famiglia e al matrimonio.

Certo, viene da chiedersi come si possa guardare "con fiducia" al futuro se il futuro dei giovani è fatto di negazione dei diritti sociali, di flessibilità, di precarizzazione del lavoro e della vita.

Per non parlare delle politiche di massacro sociale degli ultimi decenni, condotte attraverso licenziamenti e ristrutturazioni, carovita, tagli e privatizzazioni dei servizi sociali, tra i quali anche i consultori che rappresentano una importante conquista delle donne (a questo proposito va ricordata la recente delibera della Giunta Regionale della Lombardia che ha revocato l’autorizzazione di 2 consultori familiari pubblici e ha accreditato l’attività di 3 strutture private).

Nel novembre 2005 il Ministro (fascista) della Salute, Francesco Storace, propone di inviare nei consultori volontari anti-abortisti con il compito di dissuadere le donne dall’interrompere la gravidanza. La proposta viene subito raccolta dall’UDC che suggerisce anche l’apertura di una commissione parlamentare con l’incarico di redigere un’indagine conoscitiva sull’attuazione della legge 194 - autorizzata in tempi record dal Presidente della Camera dei Deputati Casini - ma con lo scopo evidente di riaprire la questione dell’aborto.

Contro questa escalation di dichiarazioni ed atti sul "tema aborto" il 14 gennaio di quest’anno, seppure in campagna elettorale, viene indetta una grande manifestazione nazionale che si svolge a Milano alla quale partecipano decine di migliaia di donne.

Anche per noi la legge 194 dovrebbe essere rivista, ma nel senso di eliminare le parti - come quella relativa all’obiezione di coscienza - che già all’epoca della sua approvazione configuravano questo testo legislativo come complessivamente limitato e moderato.

Tuttavia, resta innegabile la portata della legge 194, che peraltro impiegò 2 anni prima di essere approvata, a causa delle forti opposizioni e degli emendamenti avanzati da democristiani e missini.

Prima del 1978, la legge in vigore in tema di aborto risaliva al codice fascista Rocco (il nostro attuale codice penale.), nella quale l’aborto veniva definito "delitto contro l’integrità e la stirpe" e punito con pene detentive da 5 a 12 anni, sia per chi si sottoponeva all’interruzione della gravidanza, sia per chi lo procurava.

Ciononostante, ogni anno in Italia circa tre milioni di donne abortivano e ventimila morivano.

Cifre ufficiali, queste, che non tenevano conto delle migliaia di decessi falsificati a causa del timore, da parte di chi li aveva procurati, di finire in carcere.

Molto spesso gli aborti venivano praticati dagli stessi medici che ufficialmente si dichiaravano contrari per ragioni morali, ragioni che mettevano poi da parte in cambio di profumati compensi.

Esattamente quello che purtroppo continua a succedere ancora oggi, dove la maggior parte del personale medico, avvalendosi del diritto di sollevare "obiezione di coscienza", non pratica aborti nelle strutture pubbliche, ma lo fa in quelle private, a pagamento. Secondo dati relativi all’anno 2003, in Italia il 57,8 % dei ginecologi, il 45,7 % degli anestesisti e il 38,1% del personale non medico pratica l’"obiezione di coscienza".

Di questa situazione dobbiamo ringraziare il fatto che in Italia è consentito svolgere attività sanitaria contemporaneamente nel pubblico e nel privato, incrementando l’ovvia tendenza da parte degli operatori del settore ad accaparrarsi clienti negli ospedali e strutture pubbliche da incanalare poi, sotto il "ricatto" della salute, verso il fruttuosissimo canale privato.

Prima dell’approvazione della legge 194, le donne non abbienti erano costrette ad affidarsi alle cosiddette "mammane" che praticavano gli aborti con strumenti rudimentali ed in assenza di qualsiasi condizione igienica. A partire dal 1973, in seguito alle numerose denunce relative alla morte di donne durante aborti clandestini nonché ad alcuni casi "politici" - tra i quali quello di una operaia rimasta senza lavoro a causa del processo penale subito per un aborto praticatole all’età di 17 anni - inizia una forte campagna di denuncia contro padroni, Stato, Chiesa e medici.

Ha inizio così una grande stagione di lotta che farà scendere in piazza migliaia e migliaia di donne e porterà alla fine al riconoscimento di un diritto - che possiamo tranquillamente definire democratico, non certo rivoluzionario, se non per il costume moralistico imposto dalla Chiesa - come quello di permettere alle donne di decidere sul proprio corpo e sulla propria vita.

Ma fin dalla sua approvazione la legge 194 non ha mai avuto tregua.

Dopo il fallimento del referendum abrogativo del 1981, periodicamente si sono ripetuti attacchi e tentativi di revisione nei confronti di questo testo legislativo; attacchi provenienti, oltre che dal mondo clericale e fascista più bigotto, anche da settori che oggi definiamo di centro-"sinistra" - come ad esempio la Margherita e altri - che infatti hanno appoggiato la legge 40/2004 sulla Procreazione Medicalmente Assistita (che, come detto, introduce la "capacità giuridica" dell’embrione, alimentando così il leit motiv delle campagne anti-abortiste e cioè l’equiparazione dell’embrione ad essere umano titolare di diritti da far valere, eventualmente, in contraddizione con quelli della donna - nella fattispecie, il diritto all’aborto -).

Come abbiamo spesso ripetuto, neppure di fronte a temi che riguardano principalmente le donne, come il diritto di aborto, le donne sono tutte uguali. E non lo sono perché gli interessi di cui le donne sono portatrici non sono uguali, perché i contesti sociali, culturali ed economici in cui può verificarsi una gravidanza non desiderata non sono uguali; perché le donne appartengono a classi sociali che non sono uguali.

Per questo, anche il formarsi di quelle che possono apparire oggettive "convergenze trasversali" agli schieramenti politici e di classe su temi come aborto, pari opportunità o procreazione medicalmente assistita devono essere comunque lette all’interno di una visione più generale in cui le "convergenze trasversali" cambiano, componendosi e ricomponendosi in forma diversa su altri temi (come l’attacco ai diritti dei lavoratori, l’appoggio alla guerra imperialista, la ristrutturazione capitalistica, ecc.).

Il vero punto politico attorno a cui ruota questo nuovo attacco alla legge 194 sta, più che nell’eliminazione di questo diritto (eliminazione che oggi appare ancora altamente improbabile), nel tentativo di imporre progressivamente il terreno culturale ed ideologico per il "ritorno a casa" delle donne, in una fase storica di peggioramento oggettivo delle condizioni di vita e di lavoro, nonché di riduzione dei posti di lavoro - e si sa che le donne sono le prime ad essere espulse dal ciclo produttivo -.

Mentre le aziende de-localizzano verso paesi a maggiore tasso di sfruttamento della forza-lavoro e nello stesso tempo introducono forza-lavoro immigrata per aumentare il profitto, mentre tutti i governi - siano essi di centro-destra o di centro-sinistra - portano avanti identiche politiche di massacro sociale e di guerra (in Jugoslavia come in Iraq) necessarie per assicurarsi risorse e capitali da investire. torna la fanfara sulla "famiglia perno della società" attorno alla quale richiamare la donna dal ciclo produttivo alla procreazione e alla cura di figli e anziani, sollevando contestualmente lo Stato dai suoi impegni sociali. E così la salvaguardia della logica del profitto è servita !

8 marzo 2006

Le compagne e i compagni del Laboratorio Marxista

*****

La scheda del film prodotta dalle compagne e i compagni del Circolo Iskra di Viareggio

Il segreto di Vera Drake

Viviamo oggi in una fase storica e politica caratterizzata dall’attacco sempre più incalzante nei confronti dei diritti delle donne e, tra gli altri, al diritto di aborto.

E’ come se alcune forze cercassero di portare indietro le lancette della storia per respingere le donne - e quindi l’intera società - indietro di decenni, all’epoca degli aborti clandestini praticati in condizioni igienico-sanitarie e psicologiche estremamente pericolose.

Sì, perché quello che non si dice mai abbastanza, è che una eventuale eliminazione della legge che permette l’interruzione volontaria della gravidanza (in Italia è la n.194 del 1978) avrebbe come effetto solo quello di rendere illegale, ma non di eliminare, l’aborto che continuerebbe (e tornerebbe) ad esistere come pratica clandestina (con tutto quello che questo comporterebbe per la salute fisica e per la serenità psicologica delle donne).

Il segreto di Vera Drake, del regista Mick Leigh, ci riporta, appunto, agli anni dell’aborto clandestino nella Londra degli anni ’50 e lo fa mostrandoci una visione tutto sommato non traumatica, collocata in un contesto che potremmo definire di solidarietà.

Il film

".racconta una storia ambientata nella Londra del dopoguerra. Vera Drake è una domestica apprezzata ed amata da tutti. Ha un marito, Stan, due figli adulti Ethel e Sid. Non sono ricchi ma sono felici ed uniti. Vera è una persona positiva e molto attiva. Aiuta le persone bisognose del suo quartiere, assiste la madre malata ed è sempre disponibile verso il prossimo. Svolge però un’altra attività che tiene segreta a tutti, anche all’amato marito. Vera aiuta giovani donne ad abortire, senza chiedere alcun compenso solo con l’intento di evitare loro le gravi conseguenze di una gravidanza indesiderata. Un giorno però, uno di questi interventi non ha successo e la ragazza viene ricoverata in ospedale dove, inevitabilmente, l’attività segreta di Vera viene alla luce"[1].

Il registra mette a contrasto l’aria serena e dolce della protagonista - che si muove con naturalezza nella sua dimensione di donna che aiuta altre donne, canticchiando e offrendo tè - con la portata di una scelta che supera la questione della "legalità" e, ancora di più, quella della "legittimità", dell’aborto.

Il fatto che Vera non riceva denaro per i suoi "aiuti" fa crescere la simpatia e la solidarietà dello spettatore nei confronti della protagonista e, per riflesso, nei confronti delle sue scelte (come quella di praticare interruzioni di gravidanze attraverso metodi artigianali e potenzialmente a rischio).

Quello che interessa al regista, evidentemente, non è tanto il perorare la causa del diritto d’aborto - logica conseguenza dell’impostazione di cui abbiamo appena detto - quanto piuttosto di sottoporre alcuni elementi di riflessione.

Il film, ad esempio, non nasconde che la clandestinità - come in genere tutti i proibizionismi e le illegalizzazioni di pratiche di massa - producono il fiorire di mercati neri e sfruttamenti vari. E lo fa attraverso la figura della donna che si fa pagare (Lily), cinica.

In questa contrapposizione ideale tra Vera e Lily si evidenzia la scelta di mostrare il personaggio positivo di Vera (che aiuta senza compenso le donne quando "sono in difficoltà") contro il personaggio negativo della donna (che invece chiede denaro nello stesso modo in cui porta avanti i suoi piccoli traffici).

Il film propone una serie di "messaggi" il più importante dei quali è senza dubbio quello che mostra come la differenza economica che sussiste tra donne di diverse classi sociali si riproduca poi nelle condizioni in cui queste donne affrontano il momento dell’aborto.

La ragazza di famiglia ricca che viene violentata e decide di abortire vive la propria esperienza in modo totalmente differente - aldilà del suo personale dramma - rispetto alle altre donne: maggiore cura psicologica e maggiore sicurezza innanzitutto.

Questo passaggio del film non propone un punto di vista del ma registra piuttosto quella che è stata una esperienza vissuta da migliaia di donne che, a causa della clandestinità, si sono trovate a rischiare la vita.

Ma ci sono anche altri passaggi che possono essere ricondotti al tema della differenza sociale. La cognata che agogna la maternità viene contrapposta idealmente alla donna povera che non vuole altri figli.

Ed anche la "comprensione istintiva" espressa da Ridge, fidanzato della figlia, quando dice

Non mi sembra giusto. Prendi mia madre: stavamo in sei in due sole stanze. Va tutto bene se sei ricco, ma se non riesci a sfamarli non riesci neanche ad amarli.

vuole essere una constatazione di come la maternità possa essere percepita in modo completamente diverso da donne diverse in situazioni diverse e, quindi, di come essa non sempre possa essere accolta come un "lieto evento".

Proprio nel mostrare l’estrema varietà di situazioni personali e di approcci psicologici alla scelta dell’aborto il film ci offre di esso una visione non stereotipata e non legata all’idea del dramma (come sistematicamente ci viene proposto). L’aborto non è sempre dramma e anche quando lo è (perché scelto a seguito di violenze o situazioni comunque insostenibili) non deve essere caricato di valenze esasperate

"Ora avrete senz’altro sentito dire (senz’altro, perché la guardate troppo quella televisione): «l’aborto è comunque una tragedia». Balle. Lo è soltanto se lo si sovraccarica psicologicamente. E datemi retta: drammatizzano perché vi vogliono male, vogliono farvela pagare, vogliono che vi sentiate in colpa, che soffriate. Non gliela date vinta: è propaganda, credete a me. Dunque sdrammatizziamo"[2].

La seconda parte del film è interamente dedicata all’impatto che l’arresto di Vera ha sulla propria famiglia, allo scontro con il figlio che all’inizio non comprende la scelta della madre (scelta che si capisce ha invece origini lontane, nell’infanzia della protagonista).


[1] http://filmup.leonardo.it/ilsegretodiveradrake.htm