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> "La déco engagée" di Charlotte Perriand

31 marzo 2006, 12:20

Non condivido minimamente questo panegirico di Charlotte Perriand : la sua opera rimane ristretta nell’ambito dell’ideologia funzionalista e razionalista, di matrice illuministica, che tanti guasti ha prodotto sia livello urbanistico che architettonico e che ha completamente asservito l’industrial design alle logiche consumistiche.

Occorre ricordare che il funzionalismo trovò la sua prima espressione artistica cosciente nella “Carta d’Atene” pubblicata dal CIAM nel 1933.

In detta carta si individuavano quattro funzioni che avrebbero dovuto determinare la configurazione della città da parte degli architetti : abitare,lavorare , ricrearsi (nel tempo libero) e circolare.

Tali funzioni avrebbero dovuto trovare espressione “in maniera autonoma”, come “entità reali” in ambiti territoriali separati, determinando una vera e propria “segregazione delle funzioni urbane”, che il funzionalismo avrebbe voluto esprimere visualmente attraverso l’architettura.

La responsabilità del caos urbano ed architettonico veniva apoditticamente attribuita all’avvento dell’ “era delle macchine”, vista quasi come una catastrofe naturale che si abbatteva , improvvisamente ed imprevedibilmente su una società fino a quel momento pacifica e felice.

Tale posizione culturale, ignorando la continuità dello sviluppo storico, interpretava i rapporti sociali in modo naturalistico, anziché storicamente.

Non veniva cioè condotta un’approfondita analisi storico-politica degli aspetti socio-economici che avevano generato tale fenomeno, assumendolo come dato di fatto astorico e cercando di porre rimedio agli inconvenienti da esso provocato con il ricorso a soluzioni estetiche aventi il fine sociale di costruire una città capace di soddisfare non solo le esigenze fisiologiche, ma anche e soprattutto psicologiche.

Venivano a tal uopo enunciati alcuni obiettivi sociali : subordinazione dell’interesse privato all’interesse della comunità e la necessità da parte della città di assicurare , sul piano spirituale e materiale, la libertà del singolo ed i benefici dell’azione collettiva.

Il funzionalismo moderno considera l’architettura ed il design come indipendenti da ogni legame storico, presentandosi come uno stile “astorico” ed affermando l’esigenza di un’estetica “atemporale” o “metastorica”. Questo rifiuto della storia fa si che questo tipo di funzionalismo assuma l’assetto sociale esistente come dato di fatto, immutabile ed indiscutibile. Così facendo diventa gregario delle forze sociali determinanti e dominanti in quel momento storico, perdendo di fatto quel carattere espressivo “atemporale” che pretenderebbe di avere e sottomettendosi alle attuali esigenze funzionali della società, acriticamente accettate.

Tale supina accettazione ha fatto sì che il funzionalismo venisse applicato soltanto per fini utilitaristici, trascurando la ricerca di una funzionalità estesa anche al soddisfacimento dei bisogni psicologici dell’uomo.

La metodologia progettuale del funzionalismo prescindeva totalmente da qualsiasi analisi dello sviluppo sociale e psicologico dell’uomo nelle società altamente industrializzate ed urbanizzate, limitandosi ad ottimizzare dal punto di vista tecnico e tecnologico gli involucri edilizi ed oggetti d’uso rispetto a funzioni analizzate e definite una volte per tutte in maniera schematica e soprattutto accettate come invarianti rispetto ad un assetto sociale acriticamente accettato e non suscettibile di essere messo in discussione.

Nella città moderna, come si è venuta strutturando per effetto delle rivoluzioni borghesi che hanno prodotto il superamento della servitù della gleba e dei rapporti di dipendenza personali tipici del feudalesimo, la sfera pubblica , intesa come ambito in cui gli individui esercitano un influsso sulle “istituzioni della collettività”, si è affermata come elemento imprescindibile e caratterizzante delle democrazie borghesi e che le stesse pongono a fondamento del superamento dei vecchi rapporti sociali.

Dal grado di integrità della sfera pubblica, a cui va attribuita un’importanza decisiva come pietra di paragone della democrazia, è possibile valutare quanto sia ampio il margine personale di libertà e di decisione dell’individuo entro la società in cui vive.

Nella sfera pubblica si misura il grado di interesse e di partecipazione dei cittadini agli eventi politici, cioè pubblici : la sfera pubblica non può però esprimersi nell’urbanistica se non è presente nelle istituzioni della società e nella coscienza dei cittadini.

La configurazione e la struttura dei moderni Piani Regolatori riflette questa crititicità nel rapporto tra sfera pubblica e sfera privata.

In genere in questi P.R.G. gli spazi pubblici o destinati ad attività collettive sono spesso trattati come aree di resulta , cioè come spazio libero non strutturato interposto tra gli edifici di maggior importanza oppure come spazio destinato a funzioni meramente tecniche di trasporto : strade, parcheggi pubblici, rotatorie etc..

Tali spazi molto spesso non possegono caratteristiche di rappresentanza o comunque tali da permettere funzioni sociali, esprimendo una perdita del senso collettivo.

Attualmente la proprietà del suolo detenuta quasi esclusivamente dai privati limita drasticamente le capacità pianificatorie delle pubbliche amministrazioni, che sono così costrette ad accettare compromessi con gli interessi dei privati.

Sono sempre più i privati interessi, spesso organizzati in clan affaristici, a imporre le proprie scelte alla comunità ed ad orientare gli indirizzi della pianificazione urbanistica.

La carenza di risorse finanziarie pubbliche costringe le amministrazioni a subire la pressione degli interessi del potere economico a danno degli interessi generali della collettività .

I monopoli economici condizionano le scelte localizzative sia degli interventi privati, ma anche di quelli pubblici : le pubbliche amministrazioni si trovano spesso nella necessità di andare a infrastrutturare aree al di fuori di ogni logica di programmazione, privilegiando interventi che derivano da scelte localizzative private.

Tutto questo determina forti squilibri di carattere territoriale , compromettendo le funzioni del centro cittadino e provocando fenomeni secondari negativi nel settore degli alloggi, come quello della nascita di numerosi quartieri nuovi caratterizzati da notevole omogeneità architettonica e spesso anche sociale.

Lo smembramento funzionale del territorio urbano in singoli distretti socialmente omogenei determina un degrado culturale della popolazione ivi residente.

Gli individui che abitano questi quartieri residenziali-dormitorio tendono a limitare i rapporti sociali alla cerchia familiare, si isolano dalla vita pubblica e , riducendo tutte le attività al minimo denominatore intellettuale, pervengono ad una perdita di differenziazione umana.

I rapporti tendono a restringersi e limitarsi all’interno di ciascuna area urbana socialmente omogenea, dando luogo ad ambienti sociali uniformi senza relazioni tra di loro.

Si assiste anche ad un’attenuazione del contrasto tra ambito pubblico e privato, in quanto ognuno tende ad autorisolversi al proprio interno con scarse interrelazioni reciproche.

L’omogeneità sociale all’interno dei singoli quartieri produce un effetto “ghetto”, con un estraniamento rispetto ai “gruppi” all’esterno.

L’urbanistica , con l’affermarsi del concetto di zonizzazione funzionale, prende atto di queste forme di regressione del comportamento sociale verso forme che prescindono dall’esigenza di formazione di un ambiente pubblico, rinunciando a farsi strumento del soddisfacimento dei reali bisogni , anche psicologici, dell’uomo.

Il funzionalismo ha come obiettivo la razionalizzazione della macchina urbana, subordinando però le esigenze sociali ed umane al principio del profitto ed accettando acriticamente l’irrazionalità di tale principio rispetto a finalità di sviluppo sociale della collettività.

L’influenza dei fattori ambientali, in generale, e della conformazione urbana in particolare non è comunque molto rilevante : determinati comportamenti sociali devianti non sono quasi mai legati ad una particolare conformazione edilizia di un quartiere, ma derivano quasi sempre da condizioni socio-economiche di basso livello ed omogenee all’interno del quel determinato gruppo sociale.

Analizzare la percezione che l’uomo moderno ha del proprio ambiente, è indispensabile per comprendere ed individuare i fattori intermedi che costituiscono il nesso tra carattere individuale ed ambiente sociale.

Negli strati sociali superiori la percezione emotiva dell’ambiente è diversa da quella degli strati inferiori : i soggetti di status sociale elevato ( Jet-Set ), con elevata mobilità goegrafica e scarso rapporto emotivo con l’ambiente fisico, tendono a perdere la capacità dell’apparato percettivo a cogliere ed identificare aspetti morfologicamente complessi e differenziati.

Questi soggetti, a differenza di chi riesce a stabilire un forte rapporto emotivo con l’ambiente, tipico degli strati sociali inferiori, che hanno scarsa mobilità geografica, tendono a preferire un ambiente strutturato in forme semplici e dotate di scarsi significati accessori simbolici.

L’estetica del funzionalismo, caratterizzata da forme semplici e da povertà di contenuto espressivo, non è solo finalizzata a consentire una produzione industrializzata e standardizzata, ma rispecchia anche l’undimensionalità dello sviluppo sociale.

Il funzionalismo , con la sua povertà espressiva, è un ‘estetica ad una dimensione e riflette l’unidimensionalità e l’irrazionalità di tutto lo sviluppo sociale.

Tale unidimensionalità si estrinseca nell’attribuire piena autonomia ad i mezzi tecnici rispetto agli obiettivi sociali : si sostiene l’uso di strumenti razionali per obiettivi irrazionali.

L’aumento della ricchezza e del tenore di vita torna a vantaggio degli individui solo in un ristretto senso fisiologico, ma le possibilità di sviluppo psicologico vengono sistematicamente represse.

L’energia libidica risulta menomata e deformata nella sua capacità di espansione emotiva.

Gli impulsi istintuali primari vengono deformati prima che questi raggiungano la coscienza e la formulazione linguistica.

Di queste deformazioni l’individuo non ha coscienza, ma le stesse si spingono in forma silente fino all’apparato percettivo, operando subdolamente sulla capacità di adattamento anche ai più desolati paesaggi funzionalizzati, favorendone la passiva accettazione.

L’individuo diventa sostanzialmente indifferente rispetto alla configurazione estetica dell’ambiente e non è più capace di vivere un’esperienza psichica immediata e gratificante di ambienti caratterizzati da morfologie più differenziate ed esteticamente rilevanti.

Tale indifferenza rispetto all’ambiente ha il suo corrispettivo anche nel rapporto con gli oggetti di uso comune : abiti, arredi, automobili etc., con i quali si instaura un rapporto puramente feticistico, condizionato dalla moda e dalla pubblicità e legato esclusivamente alla loro valenza simbolica.

Anche l’interesse per l’estetica storica, quando non addirittura superficialmente rivolto ad aspetti banali e improntato a logiche tipiche del consumismo culturale, ha assai spesso un carattere feticistico oggettivato, che guarda più al valore assunto dall’oggetto sul mercato artistico che non alla sua bellezza intrinseca.

La scomparsa dell’ornamento nell’architettura va di pari passo con la repressione degli impulsi libidici parziali, che riescono a trovare sfogo e sublimazione solo nella sfera sessuale , e ciò rappresenta una delle più gravi menomazioni delle possibilità di sviluppo psicologico dell’individuo.

L’architettura ed il design dovrebbero elaborare un nuovo linguaggio formale, che non derivi dal riuso manieristico di vecchi stilemi, ma che scaturisca da un uso innovativo ed insolito dei moderni materiali.

Un esempio potrebbe venire dal dadaismo e dalla pop-art che creano opere montando oggetti di uso quotidiano, sottratti alla loro abituale destinazione utilitaria e collocati in un contesto diverso ed assolutamente insolito.

Tale opera di decontestualizzazione può suscitare un’azione liberatrice e portare a livello di coscienza il bisogno di nuove forme di convivenza sociale.

Il linguaggio dell’architettura dovrebbe essere portatore di messaggi positivi, dotati di ricchezza formale sul piano estetico ed altamente differenziati sul piano psichico.

Il dibattito sull’arte e sull’umanizzazione e rianimazione dell’architettura moderna e dell’industrial desig non deve però rimanere confinato nel ristretto ambito disciplinare della storia dell’arte, ma deve essere oggetto di attenzione sociale e finalizzato a migliorare lo sviluppo psichico ed emotivo dell’individuo.

Da una presa di coscienza della necessità di una migliore e più gratificante definizione morfologica del proprio ambiente di vita , può scaturire anche il bisogno di superamento degli attuali sistemi sociali “unidimensionali”, che reprimono lo sviluppo psicologico degli individui e, trasformandoli in meri soggetti consumatori, li rendono disponibili ad accettare docilmente e passivamente le più aberranti ed irrazionali logiche di mercato.

L’individuo non percepisce coscientemente l’irrazionalità del proprio atteggiamento e del comportamento sociale dei propri simili e non riesce più a gestire razionalmente il proprio sviluppo psicologico ed a sottrarsi ai condizionamenti dell’apparato pubblicitario ed all’imbonimento televisivo.

Per quanto riguarda Le Corbusier, che viene ritenuto il massimo interprete del funzionalismo, occorre ricordare che il medesimo non ebbe scrupolo, tramite il Sindacato Fascista degli Architetti, ad autoproporsi a Mussolini quale candidato alla progettazione di Addis Abeba Imperiale !!
MaxVinella