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Londra, in piazza per la pace. Ma il movimento teme la «sindrome dell’avanguardia»

Publie le lunedì 18 ottobre 2004 par Open-Publishing

Forum Sociale

di Gianni Marsili

Mathieu, che è di Charleroi dove studia biologia, è appena uscito con difficoltà dalla calca che per due ore ha ascoltato Aleida Guevara, figlia del «Che» e pediatra all’Avana, e tra gli altri il vecchio Ahmed Ben Bella, che i più anziani ricorderanno come il primo e ultimo volto sorridente dell’Algeria indipendente nei lontani anni ’60: «No, la Guevara non mi piace. Un po’ troppo ambasciatore di Castro. Meglio gli altri, più politici e meno propagandisti». La «plenaria» era dedicata a come sfidare l’imperialismo americano, e Mathieu adesso esita. Andare al dibattito su «Come democratizzare l’economia», a quello su come oppure a quello intitolato «Da Cancun a Hong Kong», dove si parla del ruolo dell’Europa negli accordi commerciali? Mathieu è già stato l’anno scorso al Forum di Parigi, e qui a Londra ne trae la stessa impressione: «È un po’ come una libera università. Vai, ti siedi, ascolti, prendi appunti». In Belgio non milita in nessun gruppo, ma fin da Genova 2001 guarda con simpatia al movimento no global. È venuto con un suo amico, che è fuori, sotto un porticato, seduto a gambe incrociate e gli occhi chiusi: «È il suo momento di concentrazione yoga», spiega Mathieu.

Ne vedremo altri due, nella stessa placida postura. È il popolo del Forum, talvolta variopinto. In sintonia con Londra e con il suo «melting pot». Nel bel parco che circonda l’Alexandra Palace si aggirano due ragazze con tanto di velo e veste lunga, quasi un burqa: corrono, con le Nike ai piedi. Fanno jogging, esattamente come le ragazze in short a Hyde Park.

Del carattere «universitario» del Forum non ci ha parlato soltanto Mathieu. Lo stesso aggettivo l’ha usato Vittorio Agnoletto, leader del movimento italiano e oggi parlamentare europeo eletto nelle liste di Rifondazione. Agnoletto è seriamente preoccupato. Dice che «è giunto il momento in cui il movimento ha l’assoluta necessità di una svolta». Perché va bene tutto questo lavoro da campus, le plenarie, i seminari e i dibattiti, però ormai si avverte il bisogno impellente di risultati, che lui chiama «vittorie». L’ha detto anche Susan George, autorità indiscussa tra i no global: senza vittorie si rischia il riflusso. Ognuno a casa sua, tornando ad occuparsi del suo orticello. Naturalmente Agnoletto nega che il movimento rischi la liquefazione: «Direi piuttosto che rischia di diventare carsico, sotterraneo». Insomma sterilizzato da una certa ripetitività, privo di sbocchi. Il carsismo è l’inabissarsi di un fiume, del quale non si vede più il percorso. Resta vivissimo e visibile il tema della pace, d’accordo. Vanta Agnoletto: «Abbiamo costruito un’offensiva culturale fortissima, trasformando in senso comune la nostra opposizione alla guerra». Vero, ma è anche vero che la guerra continua in barba al «senso comune» delle opinioni pubbliche europee.

E allora quali sono le «vittorie» che potrebbero ridare linfa al movimento? «La costruzione di campagne precise, pragmatiche, per non rompere mai il filo che lega la parte militante del movimento a quei milioni di persone che condividono ma non militano». Agnoletto - e con lui molti altri - teme la sindrome dell’avanguardia: magari illuminati, ma pochi e isolati. Indica la medicina: «Campagne mirate. Colpire gli interessi economici delle multinazionali che appoggiano Bush e la sua guerra». Il boicottaggio, per esempio: «Non comperare più la benzina da compagnie petrolifere compromesse con la guerra». Comportarsi insomma da lavoratori e consumatori, però consapevoli che non tutte le merci sono uguali: alcune puzzano di traffici d’armi e speculazioni. Ritirare per esempio i conti correnti dalle «banche armate», quelle che finanziano il traffico d’armi o la costruzione di oleodotti per i quali vengono espulse le popolazioni indigene. Fare «l’obiezione fiscale» alle spese militari. E nel contempo sviluppare l’iniziativa politica: se è vero che l’Unione europea ha chiesto all’Indonesia di privatizzare il suo servizio sanitario, bisogna invece stabilire che alcuni servizi non possono essere messi sul mercato. E per farlo, dice Agnoletto, in Europa ci sono le forze sufficienti: «Il movimento deve fare un salto di qualità, e agire come soggetto politico europeo. Per farlo dev’essere pragmatico e realistico, mai ideologico». Musica, immaginiamo, per il nuovo partito della «Sinistra europea», che ha in Fausto Bertinotti (ieri attivissimo in vari dibattiti) il suo principale mentore.

Mathieu, al quale abbiamo riportato le parole di Agnoletto, obietta che i boicottaggi sono di tradizione anglosassone, e che lui ha incontrato nel movimento soprattutto italiani e spagnoli: «Io boicotto volentieri le multinazionali, ma non mi pare risolutivo». La politica, forse? «Sì, ma non saprei bene da che parte dirigermi. Parlano un linguaggio che non mi tocca». È disincantato tanto con la figlia del Che, quanto con i partiti belgi o europei. Vagheggia di un impegno in Africa o in Asia. Ma soprattutto ha 22 anni, e una vita davanti. Anche ieri l’Alexandra Palace era brulicante di gente. Ma non è difficile riempire quel vecchio palazzo vittoriano. Sarà più arduo oggi occupare il centro di Londra. Per una volta serpeggia una certa ansia per i numeri: si fosse in 20 o 30mila, le paure di Agnoletto e di Susan George troverebbero conferma. La risposta spetta soprattutto agli inglesi, che all’Alexandra Palace sono il 60% dei 20mila iscritti al Forum.

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