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Valerio Verbano vive nella lotta di classe !

Publie le lunedì 20 febbraio 2006 par Open-Publishing
4 commenti

Dazibao Estrema destra Storia

Per ricordare ...

22 febbraio 1980. Roma. Tre fascisti armati irrompono a casa dei genitori di Valerio Verbano in via Montebianco, nel quartiere Montesacro.

«Siamo amici di suo figlio e vorremmo parlargli» queste le parole dette alla madre che apre la porta. Valerio ancora non è tornato da scuola. I tre lo aspettano, non prima di aver legato e imbavagliato prima la madre e poi il padre. Verso le 13.45 la chiave gira nella toppa. Valerio viene subito assalito dai tre e, dopo una breve colluttazione, viene bloccato e ucciso con un colpo alla schiena.

Valerio Verbano aveva 19 anni, era uno studente del Liceo Scientifico Archimede, quartiere Valmelaina, ed era un militante dell’autonomia operaia. Valerio stava raccogliendo materiale dettagliato sulle attività delle organizzazioni eversive di estrema destra, con particolare attenzione ai Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari, di cui ricordiamo facevano parte Giuseppe Valerio - detto «Giusva» - Fioravanti, Cristiano Fioravanti, Alessandro Alibrandi, Francesca Mambro) e sulle connivenze tra queste organizzazioni ed apparati dello stato.

Questo dossier scomparirà dagli uffici giudiziari (come anche la pistola con la quale è stato ucciso) per ricomparire più tardi nelle mani di un giudice, Mario Amato, che si occupa di estrema destra. Amato viene ucciso dai Nar il 23 giugno 1980.

Per noi Valerio non rappresenta un mito né tantomeno un martire.
Per noi ricordare Valerio significa portare avanti, con amore e dignità, la causa per la quale centinaia di compagni/e e proletari/e hanno versato il loro sangue: la lotta per la costruzione di una società radicalmente diversa, senza padroni e senza sfruttati, la lotta per il comunismo.

Valerio non è morto. Rivive ogni giorno nell’azione di chi si batte contro lo stato e contro il capitalismo, fuori da ogni logica di partito e fuori da qualsiasi farsa elettorale.

COORDINAMENTO ROMANO AUTONOMIA DI CLASSE

Messaggi

  • Un ricordo ......
    by da deriveapprodi

    ...L’assassinio di Valerio Verbano, un compagno di 19 anni che andava a scuola all’Archimede, fu il primo vero evento che mi travolse. Lo uccisero i fascisti che lo aspettavano dentro la sua casa. Riuscirono a entrare, legarono i genitori in una stanza e quando arrivò Valerio gli spararono. I compagni di Roma fecero un manifesto con la foto della Volante rossa e la scritta: "È morto un partigiano ne nascono altri cento". Pensai che io sarei stato uno di quei cento. Avevo 13 anni. Era il febbraio del 1980, volevo andare al funerale ma mia madre, professoressa di matematica in un Istituto tecnico, mi disse di stare a casa e ci andò lei. Il giorno dopo "la Repubblica" titolava: "Bombe e molotov a Roma, l’Autonomia si vendica". Rimpiansi di non essere stato lì. Credo che per mia madre quella fu l’ultima manifestazione extraparlamentare e da quel momento cominciò a guardarmi convinta che mi sarei presto cacciato in qualche guaio serio. Sentivo le storie che si raccontavano su Valerio e i suoi 19 anni me li immaginavo come quelli di un uomo... ora so quanto la sua vita sia stata breve, ma so anche che non è l’anagrafe che può pesare quanto una vita vale. Dopo otto mesi ci fu l’affissione della lapide in suo ricordo, la mia prima manifestazione. Tentai di arrivare sotto casa di Valerio, ma era impossibile, pieno di guardie, così presi l’autobus e tornai a casa. In realtà i compagni si erano "autoconvocati" poco distante, oltre il Ponte delle Valli a viale Libia, ed erano partiti in corteo bloccando il traffico tra cui il mio autobus. Mentre scendevo tutto contento per averli finalmente trovati vidi arrivare le volanti e volare le bottiglie, fiamme dappertutto. Le macchine in mezzo alla strada, a fuoco le macchine della polizia, un compagno finì tra le fiamme e rischiò di bruciarsi ma si salvò. Era l’impatto, durò un po’, poi scapparono tutti. Anch’io scappai seguendo dei compagni che avevo conosciuto da poco (e penso che si chiesero che cazzo ci facevo lì, non era certo il posto dove sarei dovuto stare in quel momento). La mattina dopo a scuola c’erano i giornali con le foto e gli articoli, tutti ne parlavano, io non dissi niente. Così fu il mio battesimo...

    • 22 febbraio: non un nome su una via, ma su tutte le strade e su tutte le piazze

      dalle ore 10 via Monte Bianco >>> MOBILITAZIONE SOTTO LA LAPIDE

      dalle ore 10,30 Piazza Capri >>> MURALES PER VALERIO

      dalle ore 11 >>> INTERVENTI NELLE SCUOLE E NELLE PIAZZE

      dalle ore 17 Via Monte Bianco >>> MANIFESTAZIONE NEL QUARTIERE

      dalle ore 21 CSA La Torre >>> CENA SOCIALE E VIDEO PROIEZIONI

      I compagni e le compagne di Valerio

    • Non so francamente se chi ha scritto questa cazzata di commento sia il classico provocatore piu’ o meno neofascista o semplicemente un coglione in vena di battute di cattivo gusto o ancora un compagno che ritiene che il livello di lotta in corso sia troppo basso per dire che compagni come Valerio "vivono nelle lotte".

      In ogni caso chi ha scritto questa cazzata faceva bene ad astenersi o quantomeno a spiegare meglio quello che voleva dire.

      Colgo pero’ la casuale occasione per dire quello che il ricordo di Valerio Verbano, come di altri compagni romani caduti, prima di tutto il mio amico Mario Salvi, mi suscita in questo momento.

      E quello che mi viene in mente è che probabilmente quei duecento ragazzotti ( non me ne voglia Vittoria) di sabato scorso a Milano non solo hanno fatto benissimo a fare quello che hanno fatto ma probabilmente avrebbero fatto bene ad incendiare tutta Corso Buenos Aires.

      Al di la’ degli errori tattici ed anche strategici, l’idea che 500 vermi che si definiscono nazisti, fascisti, razzisti, antisemiti possano girare indisturbati per le vie di Milano nel 2006 è qualcosa che dovrebbe essere insopportabile per qualunque persona genericamente "democratica".

      Ed invece la "Milano da bere", la sinistra tradizionale, i sindacati confederali e di base, i pacifisti, i movimentisti "buoni", hanno lasciato da soli duecento ragazzotti di borgata, ultras, redskins, coattelli ( come si dice a Roma) a tenere in mano la bandiera della Resistenza, di Valerio, di Mario, di Carlo, di Dax e tanti altri.

      Francamente, piu’ ci penso e piu’ mi vergogno pesantemente per questo.

      Keoma