Home > L’Italia acquisterà 130 micidiali aerei d’attacco. Il nuovo ministro lo sa?

L’Italia acquisterà 130 micidiali aerei d’attacco. Il nuovo ministro lo sa?

Publie le mercoledì 17 maggio 2006 par Open-Publishing
1 commento

Dazibao Governi

di Anubi D’Avossa Lussurgiu

Dunque, oggi si conoscerà la “sospirata” lista dei ministri del nuovo governo Prodi. Fra i più contesi, pare ci sia stato quello della Difesa. Non intendiamo indagare qui il perché. Ma c’è un altro perché su cui vorremmo ragionare: perché, cioè, quel ministero debba chiamarsi ancora della Difesa. Domanda che rivolgiamo, in tutta sincerità, a chi avrà l’onere di ricoprire quell’incarico: pare sarà il professor Arturo Parisi.

Molti motivi inducono quest’interrogativo, che qui parrebbero persino ridondanti. Ci basta richiamare il tragico stridore tra i fatti di questi anni e il richiamo al precetto costituzionale del ripudio della guerra, fatto a Montecitorio dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in capo al suo discorso di insediamento. Ma ci sono altri fatti, annunciati, riguardanti il futuro e che ci preoccupano ancora di più.

Qui facciamo un solo esempio, a supportare il quesito posto. E per porne uno ulteriore, specifico, al futuro ministro della Difesa: talmente semplice da richiedere una risposta nella quale sì sia sì, no no, con un linguaggio che il professor Parisi può insegnarci. In breve: si tratta dell’acquisto da parte dello Stato italiano, per Aeronautica e Marina Militari, di oltre 130 aerei da combattimento Jsf F-35.

Dirà la lettrice o il lettore: e che cos’è? Ecco: è il “Joint Strike Fighter”, cacciabombardiere d’attacco al suolo di quinta generazione in fase di sviluppo da parte della statunitense Lockheed Martin Aeronautics Company, in consorzio principalmente con la britannica Bae Systems e con Northrop Grumman, Pratt&Whitney e Rolls-Royce. Anzi, “il” velivolo d’attacco al suolo “del futuro”: giacché su di esso si articolerà, nei programmi del Pentagono, la linea di volo dei reparti d’attacco di Us Air Force, Us Navy e Us Marine Corps. Giacché, inoltre, è dotato dei requisiti di “invisibilità” ai radar e alle contraeree forniti dalla più sofisticata tecnologia Stealth; e anche di notevole capacità Supercruise, cioè di volare a velocità supersonica senza bisogno di impiegare postbruciatori, con un risparmio di carburante tale da consentire di allungare considerevolmente il raggio d’azione.

Dirà ancora la lettrice o il lettore, in questo caso poco avvertita o avvertito: e allora? Allora, c’è un grosso problema. Il Jsf F-35 non è solo un velivolo “da superiorità aerea”, ma lo è con una funzione d’attacco. Ha un’autonomia in missione di oltre 1000 km senza serbatoi supplementari: con questi, molto più ampia. Qualsiasi difesa aerea o terrestre avrà, in risposta, scarse possibilità di intercettarlo, a meno di non essere dotata di efficienti e sofisticate reti di avvistamento satellitare. E non è il caso di alcun Paese nel raggio d’azione di un F-35 eventualmente lanciato all’attacco dall’Italia: ossia di ogni paese mediterraneo del Maghreb, del Vicino Oriente e dell’Europa Balcanica, oltre che dell’Europa Orientale danubiano-carpatica. C’è di più: oltre ai 109 Jsf F-35 tipo A il cui acquisto è in predicato per l’Aeronautica Militare, ce ne sono 22 tipo B per la Marina.

Per spiegarci, del Jsf F-35 sono in preparazione tre versioni operative, tutte generate dalle esigenze delle varie forze aeree degli Usa: la A è quella d’aviazione d’attacco terrestre, la C quella navale per le grandi portaerei e la B quella navale e per i marines, a decollo e atterraggio verticali. La Marina intende acquisire quei 22 Jsf in quest’ultima configurazione per «affiancare e sostituire» gli AV-8B Harrier II Plus attualmente in dotazione. Cacciabombardieri a decollo e atterraggio verticale anch’essi, sì, ma di due generazioni “tecniche” più vecchi e di capacità offensiva incomparabilmente inferiore.
C’è ancora un di più: questi 22 Jsf F-35B sostituirebbero gli Harrier II Plus sui ponti dell’unica portaelicotteri-portaerei attualmente in navigazione, la “Garibaldi” da 13mila tonnellate, e dell’altra, più moderna, che dall’anno prossimo la affiancherà, la “Conte di Cavour” da oltre 27mila tonnellate e che diventerà l’ammiraglia.

Entrambe hanno un’autonomia di 13mila chilometri, per 18 giorni di navigazione. Per inciso, la Marina Militare da tempo reclama una «seconda» portaerei di analoga stazza della “Cavour”, denunciando l’obsolescenza della “Garibaldi” e volendo comunque sostituire l’incrociatore portaelicotteri “Vittorio Veneto”, già dismesso. Nemmeno ci soffermiamo su questo ulteriore vaso di Pandora di anacronistiche ma pressanti ambizioni da “potenza marinara”, e sui relativi costi per l’erario. Anche perché qui ci preme un aspetto che in realtà dissolve le impressioni di anacronismo: con le portaerei, due o peggio tre che siano, e quei 22 Jsf F-35B l’Italia si dota di una forza d’attacco a rapido dispiegamento adatta a colpire ben oltre il bacino del Mediterraneo e il contesto europeo.

Ma, in generale, lascia attoniti il totale di quest’ordine in predicato di complessivi 131 Jsf. Anzitutto, per una banale comparazione: Stati Uniti a parte, si tratta della più ingente previsione d’impiego di questo tipo di velivoli. Il grande partner degli Usa nella loro realizzazione, il Regno Unito, ha in programma infatti l’acquisto per la Royal Navy di 60 esemplari. L’Australia, che da sola è un continente e che intorno ha il Pacifico, ne vorrebbe circa 70. Gli altri paesi firmatari dei contratti di partecipazione alla fase di sviluppo non hanno azzardato previsioni d’acquisto: ma si sa già che si tratterebbe di “tranches” ancora inferiori, sia per il Canada grande potenza economica, sia per la bellicosa Turchia, tanto più per i “piccoli” europei, Olanda, Danimarca e Norvegia.

Eppure il numero in edicola di Aeronautica & Difesa conferma le cifre italiane: richiamando peraltro in varie parti i «guai» e i «dubbi in Europa» sul progetto Jsf e, in un ampio articolo sulle vendite di aerei da interdizione nel mondo, come un paese quale la Germania non preveda affatto la sostituzione dei suoi 160 Tornado (gli stessi finora in servizio in Italia, nel numero di 74) con aerei di quinta generazione - e di tale capacità aggressiva.

Da notare, poi, che i 109 Jsf F-35A per l’Aeronautica Militare dovrebbero sostituire dopo che sarà iniziata la fase di produzione, nel 2012, anche gli aerei d’attacco leggeri Amx: incomparabili ma che già il generale Tricarico annuncia pronti ad operare in Afghanistan per l’allargamento della missione Isaf nel sud del paese, previsto dalla Nato. Tanto per intendersi sugli scenari cui potrebbe applicarsi la potenza aggressiva fornita in futuro dai Jsf.

D’altra parte le esigenze di “difesa” aerea dell’Italia si intendono, per indicazione della stessa Aeronautica, coperte dall’impegno nel progetto e nell’acquisto di una grossa quota di esemplari del caccia europeo di nuova generazione EF-2000 “Thyphoon”. Che ha evidentemente dei difetti, dal punto di vista del nuovo modello di “difesa” nazionale: forse di detenere anch’esso capacità Supercruise ma, rispetto al Jsf, con minore capacità d’attacco al suolo; e di non essere “invisibile”.

Certo, quello dell’F-35 è un grosso affare: come già indicato da varie iniziative di denuncia, dalla Fiom a “Control Arms”. 13 miliardi di dollari di valore previsto inizialmente, tra il 2002 e il 2004, aggiornati l’anno passato a 19. Un valore per l’intera durata di 250 miliardi. Un miliardo e 19 milioni di euro già stanziati dal governo Berlusconi nel 2002, da ripartirsi in 11 esercizi fino al 2012. Per consentire, come già avvenuto, la partecipazione ai contratti di consorzio di industrie italiane come Alenia, Finmeccanica, Avio, Galileo e Datamat.

Che avranno dalla fase di sviluppo un ritorno di 650 milioni di euro, pari alla cifra con la quale si conta di acquistare i 131 velivoli per le nostre forze aeree. Così che nel 2015 Alenia avrà già realizzato i miliardari proventi della produzione del 100% del cassone alare degli aerei per l’Italia e del 50 di quello delle unità per Usa e Regno Unito: ed Aeronautica e Marina militari formeranno la prima linea d’attacco delle aviazioni occidentali, dopo gli Stati Uniti.

Sic stantibus rebus, ecco le due domande al neoministro: perché chiamare ancora il ministero “della Difesa”? E, se si intende ancora tale, se il ministro vuol essere tale, questa posta di bilancio ha ragion d’essere?

http://www.liberazione.it/


http://www.edoneo.org/

Messaggi