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Una analisi del documento 2, primo firmatario Vendola

Publie le lunedì 9 giugno 2008 par Open-Publishing

Rifondazione: VII congresso

Una analisi del documento 2, primo firmatario Vendola

di Raul Mordenti

La cultura politica generale che si trae dal documento è una cultura che si potrebbe definire genericamente “di sinistra”, con molti elementi di “nuovismo” spesso generico, talvolta fascinoso e, francamente, sempre confusionario; una cultura politica che, in buona sostanza, si identifica non certo con l’essere modernamente comunista ma invece con la categoria un po’ strana e – come vedremo – alquanto vaga di “sinistra”.
Il comunismo, il nostro comunismo di Rifondazione, non è praticamente neppure citato, essendo sempre e ovunque sostituito da “sinistra”; d’altra parte il documento rivendica, a questo proposito, la perfetta continuità con il Congresso di Venezia, definito “il primo tentativo organico di fuoruscire dalle tradizioni del ‘900” (p.8); tali tradizioni – con ogni evidenza – comprendono anche quella comunista, che in questo modo viene equiparata senz’altro a tutte le altre. La conferma di questa linea ridimensiona di molto (anzi contraddice!) la dichiarata, e sbandierata, volontà di autocritica, giacché del Congresso di Venezia non si mette minimamente in questione l’asse centrale, cioè la scelta governista, madre di tutti i nostri successivi errori e di tutte le nostre successive sconfitte:

“..la scelta assunta al Congresso di Venezia si presentava come necessitata e insieme la sola adeguata [sic!] a verificare la traduzione sul terreno politico del nostro rapporto con il conflitto sociale e con l’irruzione dei movimenti sulla scena [sic!]. Altrettanto fortemente va oggi riaperto il dibattito sul rapporto tra sinistra e governo [sic!], tra sinistra e rappresentanza, tra sinistra e strumenti della trasformazione, tra sinistra e agire politico. “ (p.7)

Fa parte forse della scelta di “fuoruscire dalle tradizioni del ‘900” il fatto che nel documento non ci sia la minima traccia dell’internazionalismo proletario, né un solo cenno all’imperialismo (questa parola, se non andiamo errati, non è mai pronunciata), né una sola frase di esplicito impegno a fianco dei popoli del mondo in lotta contro l’imperialismo Usa ed europeo, del Chiapas zapatista, della Palestina, di Cuba e del Venezuela, etc. Eppure non c’è dubbio che si combatta proprio lì, a livello mondiale, non solo l’antica e gloriosa battaglia dei popoli per la loro libertà ma anche la nuova decisiva battaglia per la sopravvivenza ecologica del pianeta, per l’energia, per il cibo, per l’acqua, per i beni comuni intellettuali, etc. Mi permetto di dire che, abbandonando del tutto l’internazionalismo e l’anti-imperialismo e circoscrivendo il suo sguardo solo all’Europa, il documento di Vendola si colloca davvero fuori dall’aborrita tradizione del ’900 comunista (anche se non si colloca affatto fuori da quella del ’900 socialdemocratico; ma questo è un altro discorso). La rivoluzione d’Ottobre, che nei suoi successi come nei suoi limiti ed errori rappresenta un passaggio assolutamente indispensabile per chiunque voglia rifondare criticamente e creativamente il comunismo, è citata solo indirettamente e in un modo che appare quasi comico, cioè come un precedente…dell’opzione nonviolenta! Citiamo letteralmente questo brano per i/le compagni/e che non credessero alle nostra parole:

“Non può esserci sinistra che non abbia nel proprio Dna il rifiuto della Guerra – di tutte le guerre – e un’opzione politica di nonviolenza. Non per caso, essa morì, la prima volta, anche simbolicamente, nel voto al parlamento Tedesco a favore dei crediti di guerra […] [e qui si tratta della socialdemocrazia, Ndr]. Non per caso, essa rinacque nella prima ‘scalata al cielo’ del ’900 [e qui si tratta della rivoluzione d’Ottobre, Ndr] rivendicando il diritto alla pace [sic!].” (p. 13)

Cancellato così del tutto, una volta di più, il comunismo, resta dunque per il documento Vendola solo la “sinistra”. Tutta la parte III, quella dedicata ai “Lineamenti di prospettiva”, ripete quasi ossessivamente la parola “sinistra” come il soggetto costante di frasi che si riferiscono a ciò che occorrerebbe fare: “Non c’è sinistra che non sia connessa, socialmente, emotivamente [sic!], politicamente al mondo del lavoro…”; “La sinistra non può non partire…”; “La sinistra non può limitarsi alla difesa della democrazia…”; “Una sinistra che dai ‘cortili’ fa scaturire un nuovo pensiero globale…”; “La sinistra è chiamata…”, e così via.
Si cercherebbe invano una definizione più precisa di “sinistra”. Il documento pensa forse a una sinistra sociale, alla classe operaia (naturalmente nella sua attuale configurazione) o a un’alleanza fra alcune classi o ceti o figure sociali? Di questo non c’è traccia, perché non c’è traccia alcuna di un’analisi marxista delle classi e dell’attuale composizione di classe. Anzi, se nel documento si nomina la centralità della contraddizione di classe, che per i marxisti è quella fra capitale e lavoro salariato, è solo per criticarla e prenderne le distanze:

“…non è più possibile stilare gerarchie di sofferenze o dotarsi di ‘centralità’ strategiche, separare i diritti sociali da quelli civili, puntare sulla contraddizione principale…” (p. 10).

(Naturalmente la centralità strategica della classe operaia e della lotta di classe non dipende per nulla, in Marx, dal fatto che i proletari patiscano più “sofferenze” degli altri, né lui si è mai sognato di “separare” i diritti sociali da quelli politici; ma lasciamo perdere).
Non sorprende se, a partire da una tale genericità, che vorrebbe liquidare con un bella battuta Carlo Marx, poi si dicano, a riguardo delle classi, delle vere e proprie sciocchezze, come quando il documento afferma che :

“Identificare quale sia il contributo occupazionale del lavoro flessibile è cosa utile per demistificare la falsa alternativa tra precarietà e occupazione.” (p. 11)

oppure come quando dice:

“Né la sinistra può regalare il mondo imprenditoriale alle forze della destra o del Partito democratico.” (p. 12)

È stato il comico Crozza a deridere in Tv la volontà di “non regalare gli evasori fiscali a Berlusconi, di non regalare Veronica a Berlusconi, di non regalare il berlusconismo a Berlusconi”, ma si riferiva a Veltroni; ora i firmatari del documento Vendola vanno ancora più in là, ci invitano addirittura a “non regalare” ai nostri avversari la classe degli imprenditori, cioè la borghesia, cioè la nostra vera avversaria.
Oppure, allora, quando dice “sinistra”, il documento non pensa alla classe operaia e alle masse popolari, ma pensa a una sinistra politica, cioè ad alcuni partiti o spezzoni di partiti? Ma escluso – neanche a dirlo – il disprezzatissimo Pdci, neppure citati i Verdi, restano verosimilmente a comporre questa sinistra politica a cui pensa il documento solo i compagni Mussi e Fava, cioè gli ex Ds divenuti ora – almeno quelli che non si sono affrettati a rientrare nel Pd – “Sinistra democratica”; se così fosse, allora si capirebbe perché non siano nel documento mai precisati gli interlocutori di una tale misteriosa “sinistra”, dato che i compagni in questione considerano se stessi come una sorta di “corrente esterna” del Pd, e, non per caso, essendo affetti da una stategica tendenza “governista”, essi neppure parteciparono – come si ricorderà – al corteo del 20 ottobre contro il precariato.
D’altra parte anche il documento di cui parliamo avanza un’ipotesi preoccupante a proposito del Pd (nel paragrafo 1d, che si intitola “Il vuoto a sinistra”); citiamo testualmente questo passaggio davvero cruciale (anche se quasi nascosto):

“…le difficoltà del veltronismo [...] sono destinate a maturare, e forse a riaprire all’interno stesso del Partito democratico nuove contraddizioni, nuovi confronti e una nuova dialettica politica. I primi segnali, per altro si sono manifestati fin dall’inizio della legislatura. [???]” (p. 5)

Così il Pd viene visto (in modo davvero ultra-politicista) prescindendo completamente da ciò che questo Partito è e da quello che ha fatto e intende fare, del tutto al di fuori di ogni analisi di classe delle forze economiche e sociali che il Pd rappresenta e che intende rappresentare, insomma non come il Partito che ha scelto di tagliare i ponti a sinistra (definendosi anzi addirittura nell’intervista di Veltroni al “Pais” come un partito non di sinistra), che ha scelto di candidarsi a rappresentare le forze capitalistico-borghesi e i loro interessi; basterebbe, par di capire, che D’Alema sostituisse Veltroni per fare di nuovo del Pd l’interlocutore privilegiato del documento Vendola. Si spiega così la preferenza vistosissima accordata a questo documento da giornali come “Repubblica”, che cercano, con ogni evidenza, di influenzare o determinare il nostro dibattito interno?
Quando il documento tenta finalmente di definire “sinistra” lo fa – non a caso – con una categoria ancora più vasta e indifferenziata della parola che si vorrebbe definire, cioè ricorrendo alla parola “liberazione”:

“Se oggi dovessimo definire – in una sola parola – il senso della sinistra, useremmo come sua gemella e sinonimo quella di liberazione.” (p. 10).

Ma una definizione consiste nel precisare con un’area di significato più ristretta un’area di significato più vasta (“de-finire” significa appunto circoscrivere), per definire la parola “uomo” si può dire – ad esempio – che “l’uomo è un animale sociale”, cioè si circoscrive, si riduce l’area di significato più vasta della parola e del concetto, di “animale” per definire la parola e il concetto di “uomo”; ma se invece si dice, per definire “uomo”, che “l’uomo è… un animale che si muove”, cioè se si ricorre a un campo ancora più vasto di ciò che si vorrebbe definire, ecco che la definizione non definisce più nulla, cioè non funziona. E infatti usare il concetto di “liberazione” – per quanto suggestivo – per spiegare “sinistra” non definisce un bel nulla:

“Liberazione del (e dal) lavoro [come se il liberare il lavoro e il liberarsi dal lavoro fossero la stessa cosa!], dell’ambiente [che vuol dire “liberazione dell’ambiente”?], della persona, oggi egualmente imprigionati nella gabbie del capitalismo globale e dell’élite dei ‘megaricchi che intendono distruggere il pianeta’. Liberazione come processo generale, dentro le macrostrutture dei processi economici transnazionali, come rovesciamento graduale [sic!] dei rapporti di forza, ma anche come processo di autodeterminazione del sé.” (p. 10).

Grande dunque è la confusione sotto il cielo – direbbe il presidente Mao –, ma in questo caso ciò non vuol dire affatto che la situazione sia eccellente; e a proposito di confusione leggiamo, scegliendo quasi a caso, nel documento:

“Un partito che vuole continuare a vivere, deve riscoprire la virtù basica [sic!] del coraggio politico” (p. 2)

(ma in italiano “basico” – come spiega il vocabolario Sabatini-Colletti – è il contrario di “acido”: forse qui è solo un calco dall’inglese “basic” e sta a significare “fondamentale”).

“Gli intellettuali, nell’accezione più ampiamente gramsciana del termine [?], non sono più, se mai lo sono stati, utili compagni di strada, o brillanti interlocutori, ma i protagonisti della creazione di un nuovo senso di società, di cui il partito deve essere propulsore, interprete, seguace [sic!].” (p. 9)

Gramsci si rivolta nella tomba di fronte alla strana idea di un partito che si fa “seguace” degli intellettuali, ai quali spetterebbe, nientepopodimeno!, che la “creazione di un nuovo senso di società”.

“È l’idea di una sinistra che nasce da una consapevole maturazione dell’idea di relazione. Quella fra il fare e il suo perché [sic!], fra la specie umana e il resto del vivente, il pianeta e le sue risorse, tra i diversi interessi delle classi [sic!], tra il punto di vista femminile e quello maschile.” (p. 10)

“Una sinistra consapevole del fatto che la modernità non sta nel separare dalla natura l’economia, la scienza e la tecnica, ma nella loro rinaturalizzazione.” (p. 13)

(chissà che vuol dire “rinaturalizzare” l’economia, la scienza e la tecnica…)

“Infatti i ragazzi e le ragazze, stretti tra desideri e mercato e tra progetti e precarietà, abitano, anche emotivamente, il tempo ‘da presente a presente’ e lo spazio ‘da presenza a presenza’…”

(… e deve essere davvero un bel casino per i ragazzi e le ragazze – con tutti i problemi che già hanno – abitare il tempo e lo spazio in questo modo!)

“Un lavoro di lunga lena, che chiederà tempo e pazienza, che non ha approdi certi, ma che costituisce un’avventura affascinante che vale la pena di vivere.” (p. 17)

E l’elenco di frasi non-senso come queste potrebbe continuare.
Se – come è noto – la figura fondamentale della logica e della retorica di Veltroni è il “ma anche” (“il partito dei lavoratori, ma anche degli imprenditori”, “sosteniamo la pace, ma anche le missioni di guerra”, e così via), la figura fondamentale della logica e della retorica di questo documento sembra essere il “non solo, ma..”; molte affermazioni, di solito del tutto condivisibili, vengono inserite in un “non solo, ma..” che, in realtà, le attenuano e le contraddicono:

“Non si tratta semplicemente, per un partito di sinistra, di raccogliere consensi fra le masse popolari semplicemente disvelando loro la loro effettiva condizione sociale..” (p. 9)

“Superare il ‘centralismo democratico’ non significa semplicemente autorizzare la libera espressione di ciascuno, individuale o anche in forma correntizia [sic!], ma garantire fino in fondo la circolazione dei flussi di conoscenza…” (p. 9)

“Il radicamento nel territorio […] non può significare semplicemente la costruzione di circoli di strada o di fabbrica…” (p. 9)

“Non si dà sinistra ‘rappresentativa’ che non sia capace, non banalmente di ‘tornare alle fabbriche’ o negli uffici…” (p. 10)

“La sinistra non può limitarsi alla difesa della democrazia nelle forme fin qui conosciute.” (p. 12)

“Laicità non è soltanto rifiuto dell’oscurantismo religioso e delle pretese neotemporaliste delle alte gerarchie ecclesiastiche…” (p. 13)

“Deve avanzare la proposta di un salario sociale, non solo come sostegno materiale, ma anche e soprattutto come rimedio all’angoscia dell’imprevedibile.” (p. 15).

Fanno parte di questo “non solo.. ma” pure le singolari affermazioni che seguono:

“…bisogna introdurre un nuovo meccanismo di indicizzazione automatico annuale, che non abbia influenze negative sull’inflazione…” (p. 12)

“…c’è bisogno anche di una rinnovata capacità della sinistra di proporre soluzioni non culturalmente, umanamente e giuridicamente devastanti dell lotta alla microcriminalità, ma comunque efficaci.” (p. 14)

Tuttavia è bene ricordare che ogni Congresso si svolge intorno a una questione, e a una questione sola: il resto è spesso riempimento, quando non è un diversivo..
Come la questione del V Congresso fu la scelta di partecipare all’Unione in prospettiva del Governo (ed è la scelta che siamo oggi chiamati ad autocriticare in profondità ed a correggere), così la questione del VI Congresso è la sopravvivenza e il rilancio di Rifondazione comunista oppure il suo scioglimento (o “superamento”) in un’indifferenziata nuova forza politica di “sinistra”. Ed è tale questione che il Congresso a mozioni costringe a cercare, quasi con il lanternino, affogata o nascosta dentro le 114.920 battute del documento Vendola (se ci avessero permesso un Congresso a tesi, tale questione sarebbe stata fatta invece oggetto di uno o più emendamenti, su cui i compagni e le compagne avrebbero potuto esprimersi in modo trasparente).
A questo proposito, siccome i compagni firmatari del documento hanno ripetutamente negato di aver detto ciò che hanno detto in Tv davanti a milioni di persone, di aver scritto ciò che hanno scritto innumerevoli volte e, soprattutto, hanno spergiurato di non voler fare ciò che avevano già cominciato a fare (cioè, in sostanza, il “superamento” del Prc nella “Sinistra l’Arcobaleno”), allora per capire bene occorre dotarsi di un po’ di malizia, insomma bisogna leggere fra le righe ciò che il documento Vendola veramente pensa, anche se non ha il coraggio di dirlo apertamente e fino in fondo alla base del Partito.
In verità basterebbe notare che il documento parla “di un processo costituente di natura radicalmente nuova, che coinvolga il popolo della sinistra e lo renda protagonista dei suoi destini” (p. 2), ed è fin troppo ovvio osservare che un processo costituente, per sua natura, mira a costruire qualcosa che ancora non c’è, dunque non Rifondazione comunista ma qualche altra cosa “di sinistra”.
La proposta di “costituente della sinistra” (che implica evidentemente, se le parole hanno un senso, il “superamento” del Prc) occupa tutta la IV e ultima parte del documento, e ne costituisce il vero significato politico. Questa parte comincia con una lunga e contorta frase che è un bell’esempio di quella intenzionale ambiguità di cui si diceva poc’anzi; leggiamola insieme:

“L’esistenza del Partito della Rifondazione Comunista non è un bene disponibile, [ah, perfetto - si potrebbe dire - dunque il Prc non si può sciogliere! Ma il testo prosegue così:] se non alla collettività di donne e uomini che lo incarna. [ma allora il Prc si può anche sciogliere!]” (p. 16)

Il documento prosegue con un’affermazione assolutamente incontestabile: “non è stato e non è tema di discussione il suo scioglimento…” (p. 16), ma questo è vero solo nel senso che lo scioglimento di fatto del Prc nella “Sinistra l’Arcobaleno” è stato pensato, deciso, e anzi intrapreso senza che la base del Prc, e nemmeno il Cpn e la Direzione, potessero davvero discuterne.
Poi il documento prende in esame le altre proposte possibili: prima la proposta di federazione, e la scarta perché afferma (e questa è una bugia grossa come una casa) che questa “è stata già sperimentata proprio nella coalizione che ha proposto le liste della ‘Sinistra l’Arcobaleno’” (ognuno sa che quella non fu affato una federazione ma un semplice accordo fra le segreterie dei partiti per fare insieme le liste e decidere gli eletti). Infine scarta anche la proposta di una possibile unificazione fra partiti (che chiama “dei partiti unici”); e finalmente formula la sua proposta:

“Un nuovo soggetto politico, che sia unitario sul piano politico e plurale su quello delle culture e delle esperienze che lo compongono, una nuova sinistra cioè, che non può nascere all’interno di forme vecchie.” (p.16; sottolineature nostre, Ndr)

E poco più avanti:

“Quel che serve a sua volta a una tale proposta, affinché possa essere agita concretamente, è la consapevolezza che essa deve segnare una netta discontinuità.” (p. 16)

Proviamo a tradurre: si propone di costruire un nuovo partito diverso dal Prc, in cui, come ha detto un autorevole compagno, il comunismo sia “un’opzione culturale fra le altre”.
Non sarebbe più chiaro, non sarebbe più utile per tutti e tutte, non sarebbe più onesto, cari/e compagni/e che avete firmato il documento Vendola, se voi diceste chiaramente che, quasi vent’anni dopo la Bolognina, voi proponete di rifare esattamente ciò che ha fatto Achille Occhetto, cioè lo scioglimento di un Partito comunista (ieri il Pci, oggi il Prc) e la costituzione di una forza “di sinistra” non più comunista?