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Le balle del cavaliere e gli zerbini alla Sansonetti

Publie le mercoledì 16 settembre 2009 par Open-Publishing
1 commento


Da un commento preso sul Manifesto all’articolo di Gabriele Polo sui "feudatari del cavaliere" :

"Non credo che siano possibili paragoni al mondo". Così Guido Bertolaso ieri al Tg1 delle otto. Tempi da record, meraviglia mondiale per le casette di Onna, i prefabbricati in legno costruiti dalla Provincia di Trento.

15 settembre 2009. 162 giorni trascorsi dal sisma 47 chalet consegnate x 200 persone ricoverate.

26 marzo 1981. 122 giorni trascorsi dal sisma, 150 chalet (Rubner costruzioni) consegnate a Laviano, Salerno. 450 persone ricoverate.

E trent’anni fa non esisteva nemmeno la Protezione civile, non esistevano strade decenti, erano crollati i ponti. Per raggiungere l’Irpinia si impiegarono giorni. Il coordinamento dei soccorsi fu affidato al radiogiornale della Rai.

E quindi è un’altra montagna di balle.’’ Renato S.

Dopo di che mi leggo questa frase sull’Altro scritta da Sansonetti che giustifica la motivazione della sua presenza:

"Tuttavia ho deciso di accettare. Per due ragioni. La prima è che da ragazzo, quando mi sono iscritto al Pci, tantissimi anni fa, mi spiegarono una cosa che mi è rimasta impressa: "Non scegliere mai l’Aventino". Era il Pci di Longo, figuratevi. Cosa vuol dire "fare l’Aventino"? Vuol dire non riconoscere all’avversario il diritto di essere avversario e chiamarsi fuori."

A corto di argomenti usa un riferimento storico che è quello dell’Aventino.
Quello che dimentica di raccontare è che "l’Aventino" è stato uno strumento di pressione che usarono, per primi, i plebei nell’antica Roma contro l’aristocrazia del tempo.

Uscivano "fuori dalle mura" (secessione) e così facendo mettevano in crisi strutture come l’esercito rifiutando di militarvi. Alle spalle c’era una strategia che aveva come obiettivo il riconoscimento di una organizzazione che non veniva riconosciuta come potere: i concili della plebe.

I concili davano voce ai plebei, che avevano così dei loro rappresentanti i tribuni; questi cercavano di portare avanti le istanze di quella fetta di classe sociale, si inventarono (tra le tante cose)il diritto di veto (intercessio) per tutti quei provvedimenti che erano contrari ai loro interessi.

Questo concetto degli interessi della propria parte sociale era una cosa presente, ad esempio, nelle testa di Tiberio Gracco quando (nel 133 a.c.) presentò una legge di riforma agraria (lex Sempronia agraria) che cercava di porre rimedio alla crisi che aveva colpito quel settore dell’economia romana. Siamo in un periodo in cui i concili della plebe operano come istituzione riconosciuta; istituzione che, in verità, ha perso molto della sua forza "eversiva" rispetto alle origini. Durante la discussione di quella legge un collega di Tiberio (tribuno della plebe anche lui) esercitò il suo diritto di veto e bloccò la votazione. La ricostruzione storica ci dice che costui era vicino ad ambienti conservatori.
Contro questa azione Tiberio reagì convocando un’assemblea per dichiarare decaduto il suo avversario; la sua motivazione fu che un tribuno della plebe non "poteva essere ostile agli interessi della plebe stessa". Interrompiamo qui la narrazione storica, credo che il senso del tutto sia abbastanza chiaro.

Ora noi abbiamo gente alla Sansonetti che circumnaviga la storia usando argomenti risibili.Nello stesso tempo non abbiamo tribuni della plebe come espressione degli interessi di classe. Guardate un po’ alla composizione sociale del parlamento.
Cosa però più importante è la mancanza di una visione e di una strategia che sia in grado di ricompattarla quella classe, che abbia la capacità di muoversi con forme "antagoniste" fuori dai palazzi del potere. Compito difficile si dirà. Perché invece, per voi, era più semplice nell’antica Roma?

http://pensareinprofondo.blogspot.com/2009/09/la-montagna-di-balle-del-cavaliere-e-lo.html

Messaggi

  • io oggi ho scritto questo:

    “Sansonetti, di’ qualcosa di sinistra! Sansonetti di’ qualcosa!”

    Non poteva mancare Piero Sansonetti, direttore dell’Altro, già direttore di Liberazione, nel novero dei giornalisti compiacenti ospiti dello show di Berlusconi ieri sera a Porta a Porta.
    Habitué dei pomeriggi del gossip di Barbara d’Urso, Sansonetti si presenta a sorpresa in collegamento con la trasmissione in contrasto con la politica “aventiniana” dei suoi compagni di opposizione. Subito si scusa per il paragone con la secessione del colle (episodio famoso nell’ascesa al potere di Benito Mussolini), tenendo a precisare che non esiste, oggi, il rischio di una deriva fascista.
    Poi, come al solito, si affretta a calarsi nel ruolo di macchietta comunista palesando i suoi sentimenti antipatriottici e iniziando subito ad alienarsi le residue simpatie dei telespettatori.
    Quindi si inerpica in un nebuloso discorso sulla mancanza di concorrenza nella stampa italiana, monopolizzata da tre grandi gruppi editoriali: Rcs-Corriere della Sera, Gruppo l’Espresso e Mediaset, azienda “che può essere ricondotta in qualche modo (sic!) alla figura del presidente del consiglio”. Il maggiordomo Vespa gongola visibilmente nel porre a Berlusconi le fiacche domande di Sansonetti, che riesce nell’intento di inimicarsi soltanto la più grande vittima di questo pasticcio di regime: Giovanni Floris. Questi, secondo il direttore dell’Altro, è il conduttore di una trasmissione televisiva di partito (Pd). Perché? Non si sa.
    Stuzzicato crudelmente da Vespa, Sansonetti risulta fiacco e compiacente anche sul tema dell’immigrazione, sul quale le menzogne e le incertezze di Berlusconi avevano lasciato aperto un campo sterminato di contrattacco: “Proprio in Libia dovete rimandarli?”.
    Con il viso trasandato, la barbetta incolta e gli occhialetti, Piero Sansonetti riesce nel capolavoro di rendere rassicurante e molto patetico il volto, un tempo impavido ed enigmatico, dell’oppositore comunista.

    david

    che pagliaccio...