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APARTHEID DI ROSARNO: DOV’E’ LA "COLLERA DI DIO"?

Publie le domenica 10 gennaio 2010 par Open-Publishing
3 commenti

D’ora in avanti anche la Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi dovrà valutare bene l’opportunità di inviare vescovi, prelati o diaconi di colore nelle parrocchie dei paesi della piana di Gioia Tauro. Attenzione, dunque, all’abbronzatura nel caso si dovesse fare sosta o soggiornare nella rinnovata e ripulita cittadina di Rosarno. Probabilmente è solo una minoranza di rosarnesi che si è dedicata alla caccia armata contro i braccianti africani, ma già si riesce ad immaginare quale sarà il programma elettorale di qualche candidato a sindaco di Rosarno. Magari viaggi di studio verso Città del Capo per importare nuovi modelli culturali. Come dire, per una volta il Sudafrica diviene punto di riferimento culturale dell’Italia che è la settima potenza mondiale.
Ma quale è stato a Rosarno il ruolo delle autorità civili e religiose locali in questi vent’anni in cui i migranti africani hanno pagato il pizzo ad autisti di furgoni e ai caporali per poter raccogliere mandarini, olive e pomodori per pochi euro al giorno? Quanti parrocchiani che la domenica frequentano la messa hanno dato in affitto a 50 o 100 euro un materassino nei fabbricati rustici e inabitabili dei loro terreni agricoli?
E quale percentuale incassano i grandi e piccoli proprietari calabresi per far alloggiare i numerosi ambulanti del Senegal che quotidianamente percorrono con le loro mercanzie artigianali decine di chilometri a piedi sulle spiagge delle coste ioniche e tirreniche?
Associazioni umanitarie avevano sollevato da tempo l’emergenza sanitaria degli accampamenti di Rosarno e dintorni ed erano ampiamente note le condizioni di lavoro e di sfruttamento ai danni dei migranti africani.
Può oggi bastare il monito domenicale del Papa e quello del Cardinale Tarcisio Bertone? Perchè tutte le strutture ecclesiastiche non si mobilitano in maniera capillare per denunciare i sorprusi e le violenze subite dai migranti? Perché i centri di ascolto parrocchiali di tutto il paese non vanno oltre l’accoglienza, oltre la collaborazione con il Viminale nella registrazione degli utenti dei servizi Caritas, oltre il dossier statistico annuale? Perché la Chiesa non va oltre la condanna generica adoperandosi, concretamente con tutti gli strumenti a disposizione, compresa la ricca banca dati del Vicariato, per far emergere il lavoro nero e il degrado abitativo al quale sono costretti i migranti? Come può il ministro Maroni pensare di risolvere il problema delle tensioni etniche a Rosarno deportando tutte le persone di colore in altri luoghi ed espellendo come clandestini coloro che lavoravano già da molto tempo in Calabria, pur senza alcuna garanzia previdenziale e assicurativa. La Chiesa potrebbe incrementare in maniera diffusa le vertenze e il sostegno legale a favore di quei cittadini extracomunitari senza documenti che comunque svolgono lavori nelle case e nelle campagne a favore dei propri parrocchiani? Perché le associazioni cattoliche di volontariato e di assistenza non si costituiscono parte civile nel denunciare la grande evasione fiscale e contributiva, la rapina salariale e le estorsioni perpetrate per anni contro migliaia di braccianti africani?
Quali saranno i contenuti delle omelie liturgiche pronunciate in questi giorni dai parroci di Rosarno e di Gioia Tauro dove l’odio razziale ha risvegliato istinti primordiali di caccia armata basata sul colore della pelle, istinti incompatibili con l’appartenenza ad un paese civile. Ormai sembrano proliferare, non solo in Calabria, tanti neo aspiranti "generali Custer" e "comandanti Karadzic".
Dalla lettura dei testi sacri, anche Dio esprime la sua collera "...contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell‘ingiustizia" (Romani 1-18). E allora, sarà fantasioso o retorico, ma ci piacerebbe immaginare che la "collera di Dio" si trasmettesse attraverso la protesta dei parroci e la chiusura temporanea delle loro parrocchie contro la cacciata dei fratelli neri. Ci piacerebbe altresì immaginare una virtuale scomunica del Ministero dell’Interno qualora, invece di punire caporali e sfruttatori, procedesse arbitrariamente all’espulsione di migranti africani che hanno ormai acquisito il diritto alla regolarizzazione.

Domenico Ciardulli
http://www.ciardullidomenico.it

Messaggi

  • SONO D’ACCORDO CON CIARDULLI, LA CHIESA DOVREBBE SCOMUNICARE IL MINISTRO DEGLI INTERNI SE NON DOVESSE PUNIRE GLI SFRUTTATORI I CAPORALI E I COLPEVOLI DEGLI ATTI VANDALICI CONTRO QUEI POVERI MIGRANTI TRATTATI COME BESTIE

    • A proposito ...


      Poliziotto uccise a fucilate un senegalese
      "A giorni sarà rimesso in libertà"

      Gli avvocati dei familiari della vittima: "Così si dimostra che la vita di un immigrato conta poco"

      di Marino Bisso

      A un anno dall´assassinio di Cheick Diouf, ambulante senegalese di 42 anni, l´ex poliziotto del commissariato di Civitavecchia potrebbe già tornare in libertà. Lo scorso maggio, a Paolo Morra erano stati concessi gli arresti domiciliari presso la casa della compagna vicino a Reggio Calabria. La misura era stata concessa dopo un periodo di ricovero nell´ospedale psichiatrico a causa dello stato depressivo ritenuto incompatibile con il carcere.

      La "scarcerazione" potrebbe scattare per via dei termini delle misure cautelari destinati a scadere appunto a un anno dall´arresto dell´ispettore, fermato dopo aver sparato con un fucile a pompa, uno di quelli che si usano per la caccia grossa, contro l´africano che da 20 anni viveva regolarmente nella città a nord di Roma. Un omicidio, secondo l´accusa, determinato dalle liti frequenti con la piccola comunità di senegalesi.

      «Abbiamo chiesto che la Procura prenda provvedimenti per evitare una scarcerazione ingiusta – spiegano gli avvocati Angelelli e Santoni, legali dei familiari della vittima – Non comprendiamo per quale ragione non sia stato ancora chiesto il rinvio a giudizio di Morra che ne avrebbe bloccato il ritorno alla libertà». L´ispettore aveva raccontato di aver aperto il fuoco accidentalmente per sedare una lite tra immigrati. Una versione smentita da alcuni testimoni e connazionali del senegalese che avevano, invece, ricordato i frequenti contrasti con il poliziotto che non voleva che i suoi vicini senegalesi si intrattenessero nel giardino davanti alla sua abitazione.

      Dopo l´omicidio del venditore ambulante la comunità senegalese aveva manifestato davanti al commissario di Civitavecchia dove l´ispettore prestava servizio. La protesta era sfociata in blocco stradale con tanto di cassonetti messi di traverso. «Non vorremmo - concludono gli avvocati Angelelli e Santoni - che certe scene si ripetessero. Non vorremmo soprattutto che passasse il messaggio per cui la vita di un immigrato conta poco e che si può sparare e ammazzare un senegalese senza rischiare di restare in carcere».

      (12 gennaio 2010)

      http://roma.repubblica.it/dettaglio/uccise-a-fucilate-un-senegalese-a-giorni-sara-rimesso-in-liberta/1826088