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Saviano, prima di parlare di Gramsci leggi almeno l’indice

par Alberto Burgio

Publie le venerdì 2 marzo 2012 par Alberto Burgio - Open-Publishing
4 commenti

Martedì scorso sulla Repubblica Roberto Saviano ha recensito con toni entusiastici un libro sulle «due sinistre»: quella rivoluzionaria, brutta, sporca e cattiva, impersonata da Antonio Gramsci, e quella riformista, buona e gentile, rappresentata da Filippo Turati. Il libro, opera di Alessandro Orsini, giovane sociologo politico, sembra a Saviano niente meno che «la più bella riflessione teorica sulla sinistra fatta negli ultimi anni»...

La tesi del libro è semplice e niente affatto inedita. Da una parte c’è la sinistra riformista, realistica, sinceramente preoccupata delle sorti dei subalterni, quindi capace di valorizzare le piccole conquiste giorno per giorno (in una prospettiva che qualche tempo fa si sarebbe definita «migliorista»); dall’altra, la sinistra rivoluzionaria, violenta e pretenziosa, accecata dall’ideologia e intollerante delle altrui posizioni (la sinistra, per intenderci, dei faziosi e dei «fondamentalisti»).

Inutile dire che questa seconda sinistra – abituata ad aggredire gli avversari a suon di insulti e pugni in faccia, quindi un po’ fascista – è per Saviano la sinistra comunista, erede, scrive, della «pedagogia dell’intolleranza edificata per un secolo dal Partito Comunista»; mentre l’altra – riformista – è la sinistra socialista. Come nelle fiabe della nonna, insomma, tutti i buoni da una parte, tutti i cattivi dall’altra: un bel quadretto manicheo che la dice lunga sulla raffinatezza del personaggio e la complessità della sua visione.

Ma qual è il punto? Saviano, mascotte della fazione progressista, si arrabatta come può nell’argomentare, a suon di esempi ad hoc e citazioni estrapolate, una tesi inconfutabile perché arbitraria. Gli si potrebbe ricordare, se ne valesse la pena, che Benito Mussolini – non propriamente un campione di mitezza e tolleranza, come proprio Gramsci gli potrebbe ricordare – venne fuori dalle file socialiste, che del socialismo italiano sono purtroppo eredi i più facinorosi colonnelli berlusconiani e che senza i comunisti questo Paese non avrebbe avuto né la Resistenza né quella Costituzione antifascista che Saviano giura di venerare. Ma ne vale la pena?

No. E nemmeno merita tempo indugiare su altre stranezze di questo articolo: il suo argomentare a favore della mitezza ricorrendo a caricature e a mistificazioni; il suo perorare la causa delle buone eresie accodandosi ai più vieti luoghi comuni; il suo ridurre una vicenda complessa e contrastata a uno povero schemino di cui anche uno studentello svogliato si vergognerebbe. Meglio lasciar perdere, e limitarsi a constatare, desolati, a che cosa ci si può ridurre quando si è mossi dalla preoccupazione di piacere e di seguire l’onda. A Saviano diamo solo un suggerimento: legga quanto Gramsci scrive sul servilismo degli intellettuali. E stia tranquillo, non dovrà leggere tutti i Quaderni (il tempo, si sa, è denaro): nell’edizione c’è un ottimo indice analitico.

Messaggi

  • Per ragioni di completezza, pubblico qui la risposta che Alessandro Orsini ha scritto a uno dei suoi recensori più critici, il prof. D’Orsi. Credo possa essere utile per una comprensione più piena della questione:

    Angelo D’Orsi, professore nell’Università di Torino, ha attaccato Roberto Saviano per avere recensito il mio ultimo libro su Repubblica (Gramsci e Turati. Le due sinistre, Rubbettino): “Saviano – ha detto − l’ha fatta fuori del vaso e il libro di Orsini è una porcheria”. D’Orsi ha addirittura dichiarato che Saviano “andrebbe fermato”, limitandolo nella parola.
    Lo sfogo di D’Orsi conferma la mia tesi. Due sono le principali culture politiche della sinistra.
    Vi è la sinistra di Gramsci, il quale invitava a chiamare “porci”, “scatarri”, “pulitori di cessi” e “stracci mestruati” coloro che erano in disaccordo con i suoi convincimenti ideologici; e vi è la sinistra di Turati che condannava l’insulto e promuoveva il libero confronto delle idee.
    La sinistra di Gramsci produce un tipo di intellettuale che ricorda la figura del chierico della Chiesa medievale: è un organo del Partito. E il Partito è concepito leninisticamente come una macchina da guerra il cui dichiarato obbiettivo è la dittatura. Certo, nei Quaderni, Gramsci alla strategia della “guerra di movimento” oppose la strategia della “guerra di posizione”. Ma si trattava pur sempre di guerra. E in guerra non c’è spazio per la tolleranza. C’è solo un imperativo: annientare l’avversario incominciando con la sua degradazione morale, che non può fare a meno dell’insulto.
    Sotto il profilo del metodo, D’Orsi ha attaccato il mio libro perché, a suo dire, non terrebbe in considerazione il contesto in cui Gramsci pronunciava le offese e gli inviti alla violenza contro i suoi critici. A D’Orsi rispondo che il contesto storico-politico in cui vissero Gramsci e Turati fu lo stesso. Nonostante ciò, Gramsci e Turati difesero principi e valori opposti, come ho spiegato nella nota sul metodo che chiude il volume.
    Gli uomini, pur essendo influenzati dal contesto in cui vivono, rispondono in maniera differente davanti agli stessi stimoli. Questa diversità nel rispondere in situazioni analoghe è, in larga parte, una conseguenza dei valori interiorizzati dall’individuo. La crisi economica che investì la Repubblica di Weimar coinvolse milioni di tedeschi, ma non tutti abbracciarono il nazismo. Allo stesso modo, non tutti i professori universitari italiani giurarono fedeltà a Mussolini. Gli uomini non rispondono in maniera meccanica agli stimoli che ricevono dall’ambiente esterno.
    Gli uomini scelgono.
    Gramsci e Turati militavano nello stesso partito quando Mussolini si affermò al congresso socialista di Reggio Emilia; quando ci fu il biennio rosso; quando Lenin impose il Terrore; quando Mussolini conquistò il potere. Eppure, scelsero valori opposti, perché le loro culture politiche erano inconciliabili. Turati promosse sempre la pedagogia della tolleranza. Gramsci, invece, la pedagogia dell’intolleranza e l’elogio dell’insulto.
    Il metodo dell’analisi culturale comparata − che ho impiegato per la prima volta nello studio della figura di Gramsci − ha esattamente questo obiettivo: mostrare il potere condizionante delle culture politiche e delle teorie pedagogiche, le quali non coincidono con l’azione, ma la predispongono in maniera decisiva. Alessandro Orsini

    • "Turati promosse sempre la pedagogia della tolleranza." e morì in esilio, riconoscendo di aver sbagliato tutto:
      "La forza si vince con la forza. Quando la forza è tutta materiale, la resistenza dovrà pur essere della stessa natura. La non resistenza al male, se può avere un valore quando è suscettibile di provocare una reazione morale, diviene al contrario una vera complicità quando le circostanze e il carattere degli avversari rendono impossibile ogni reazione morale. Mossi da una concezione superiore della vita, noi abbiamo forse troppo disarmato le masse".

  • Titolo ridicolo, per la decenza,articolo triste e illuminante per chi continua a credere nel massimalismo, assente in tutti i paesi civili europei.

    • Gramsci era quanto di più lontano dal "massimalismo" ... sul quale ha scritto cose durissime ...

      E comunque operava in regime fascista .... assurdo scomodarlo oggi per questa diatriba con Turati ( che peraltro aveva in esilio ampiamente rivisto le sue posizioni) che è tutta strumentale all’oggi ...

      Come dicevo, la diatriba è strumentale e fuori luogo ... oggi non solo non abbiamo un Gramsci "rivoluzionario" ma nemmeno un Turati "riformista" ...

      Oggi abbiamo il "pensiero unico" neoliberista, è sparita pure la socialdemocrazia ...

      Il Pd, sin dalla sua fondazione, non è nemmeno socialdemocratico .... ha scelto di togliere ogni riferimento alla "sinistra" anche nella denominazione ..... è "liberista temperato" nella versione Bersani e "liberista spinto" in quella veltroniana ....

      Quindi, di che stiamo parlando ? Di che straparla Saviano ?

      K.