Home > Bandiere rosse al vento, uccidono un compagno ne nascono altri (…)

Bandiere rosse al vento, uccidono un compagno ne nascono altri cento......per Fausto e Iaio!

Publie le sabato 19 marzo 2005 par Open-Publishing
1 commento

Dazibao Movimenti Estrema destra Storia

IL PIANTO DI UNA CITTA’

Due ragazzi di diciotto anni si guardano per pochi secondi, chiudono gli occhi e scoppiano a piangere. Loro, Fausto e Jaio, non li conoscono nemmeno ma la notizia dell’omicidio di via Mancinelli fa in breve tempo il giro della città. Le radio d’informazione diffondono la notizia in tutta Milano.

Così il Casoretto è stracarico di persone: militanti dei gruppi della sinistra extraparlamentare, giovani del Leoncavallo, i ragazzi dell’oratorio, quelli che avevano giocato a pallone nei campetti fangosi, pensionati, lavoratori. Un vecchietto che avrà settant’anni ricorda. "Ho fatto il partigiano sulle montagne della Val D’Ossola, pensavo di aver lottato per cambiare il futuro dei miei figli e della nuove generazioni ma quando vedo queste cose penso che il nemico è ancora qui con noi solo che ora non sappiamo come combatterlo".

Lo sgomento è forte. Alle 21,17 Radio Popolare interrompe bruscamente un brano musicale per dare la prima versione dei fatti. "Fausto Tinelli e Lorenzo Jannucci- dirà lo speaker- due giovani di diciotto anni sono stati ammazzati questa sera in via Mancinelli a Milano, tre individui li hanno uccisi a colpi di pistola. Per ora non abbiamo notizie ma vi terremo aggiornati man mano che se ne aggiungeranno altre". La manopola della radio si sposta sulle frequenze di Canale 96. "Due ragazzi del Leoncavallo sono stati ammazzati con vari colpi di pistola.

E’ certa la matrice di destra dell’agguato". L’emittente continua nel racconto. "Due compagni del Leoncavallo sono stati uccisi in via Mancinelli,quasi all’angolo di via Casoretto. A pistolettate. Uno è morto sul colpo, l’altro sull’ambulanza. Non sappiamo ancora i loro nomi". Radio Regione, allora del Pci, è sulla stessa lunghezza d’onda ma si spinge in là lo speaker si chiede "come mai un omicidio a due giorni dal rapimento Moro".

Alle 21,30 di sabato 18 marzo 1978 via Mancinelli è un fiume in piena. La strada è ricolma, i marciapiedi strabordano, la metropolitana di Pasteur porta gente dai quartieri più periferici della metropoli. Vengono da tutta la città, hanno sguardi tristi, increduli. "Lo abbiamo saputo dalle radio - mi diranno. Un giovane del Leoncavallo sussurra parole che pesano come pugni nello stomaco. "Capisci? Poteva capitare a chiunque di noi". Dice che al centro sociale è entrato un ragazzo. "Hanno ammazzato due giovani proprio qui,dietro all’angolo". Sono usciti e hanno invaso le strade e le piazze. Si organizza una manifestazione spontanea. Nessuno vuole etichette di gruppo. Le organizzazioni politiche della Nuova Sinistra danno il loro appoggio ma promettono che nessuno striscione sarà esposto. La rabbia e la tensione fanno la loro parte. Il corteo è scomposto,non ha una testa neppure una coda. Giovani entrano nei locali,nelle pizzerie e trattorie,gridano: "Hanno ammazzato Fausto e Iaio,hanno ammazzato due compagni,due come noi". Agli ingressi dei cinema della zona lo urlano di nuovo. Lasciano lì la pizza, i risotti di Ada, una delle trattorie del quartiere. Quelli del Centro serrano le file. "Giù dai marciapiedi, iniziamo la manifestazione" - gridano da un vecchio gracchiante megafono. Vengono lanciati slogan duri. "Uccidere i fascisti non è reato", "Camerata basco nero il tuo posto è al cimitero". C’è chi punta il dito sulla Democrazia Cristiana. "Governo monocolore si apre la strada con il terrore". Vetrine, macchine, lampioni: tutto viene distrutto in un disordine assordante. Piazzale Loreto, Corso Buenos Aires, Corso Venezia, Piazza San Babila. Poi Piazza Duomo. Sale sulla sedia un insegnante del liceo Settembrini. Jaio era un suo alunno. Alle persone che rimangono lì, nonostante il freddo, traccia la prima timida pista. "Stava facendo,mi ha detto,un’indagine sui rapporti tra droga e fascisti. Gli ho chiesto se avesse avvertito magistrati e polizia. Ha sorriso, ha detto che lui e gli altri compagni impegnati non volevano che tutto fosse insabbiato. Gli ho chiesto se non avesse paura e mi ha detto che ne aveva tanta". La polizia non si fa vedere anzi sembra lasciare il campo, senza neanche un intervento. Un testimone di quella manifestazione racconta, diciotto anni dopo, quello che aveva notato. "Capii subito che c’era qualcosa che non andava - dice Angelo Brambilla Pisoni, detto Cespuglio, uno dei responsabili milanesi di Lotta Continua, ora scomparso. "Penso che volevano colpire una certa area politica, l’autonomia operaia, lanciando una sorta di messaggio trasversale ai settori legati al terrorismo ma anche ai gruppi della sinistra extraparlamentare, ai militanti di base del Pci. Quello era un quartiere storicamente rosso, c’è un humus culturale di sinistra. Volevano colpire l’immaginario collettivo perché se ammazzi due ragazzi, così, a sangue freddo, due giorni dopo il rapimento Moro ottieni un effetto devastante,in una città già provata e nervosa come Milano. Infatti nelle prime file del corteo di sabato 18 marzo notai una decina di militanti di Prima Linea. Presero la testa. Non so se erano armati. Di certo chi ha ucciso Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci sapeva bene cosa faceva, quale meccanismo perverso avrebbe prodotto. Era come lanciare benzina su un incendio che già c’era". Chi voleva colpire una certa area politica per scatenare la tensione a Milano? E’ lecito pensare che il piano sia scattato proprio in coincidenza con il rapimento Moro?

(...) La manifestazione termina quando Milano dorme da un bel pezzo. Le facce sono stanche, il nervosismo è alle stelle. Molti si danno appuntamento a qualche ora dopo, davanti alle scuole. Si stenderanno solo per rimediare qualche ora di riposo. Nessuno dormirà fino in fondo. Quei due corpi sul selciato diventeranno incubi ricorrenti, visioni notturne che turberanno tutti. Ma di notte prosegue il filo diretto delle radio. Danila,madre di Fausto Tinelli, telefona a Radio Popolare. E’ l’1,51. "Pronto? Sono la mamma di Fausto. Volevo smentire che mio figlio era nel mondo della droga. Sono tutte calunnie. Basta che sia povera gente che subito gli buttano calunnie addosso. Se una donna muore per strada è una puttana. Se un giovane muore è un drogato. Non voglio che ci vadano di mezzo altri giovani. Voi dovete aiutarmi a trovare i killer di mio figlio. Quelli li voglio, li voglio far fuori con le mie mani. Ero sola a casa questa sera. Me lo ha detto la polizia che è stato ucciso. Fausto ha sempre odiato la droga, non mangiava neanche la carne perché voleva bene alle bestie. "Danila piange, si dispera. "Fausto ha un fratello di 18 mesi, Bruno, erano molto attaccati, non voglio che vadano di mezzo altri ragazzi come mio figlio, voglio solo indagare per scoprire i responsabili".

Una viuzza stretta con poche case, costeggiata da un lungo muro grigiastro.In mezzo quattro transenne delimitano da alcune ore il luogo dove Lorenzo Iannucci e Fausto Tinelli sono caduti. Via Mancinelli vede arrivare fino al giorno del funerale, mercoledì 22 marzo, ragazzi e ragazze sconvolti dal dolore, dal pianto,dalla commozione. E’ il pianto di una città. Immensi cortei di studenti e operai lasciano spazio ad un grande senso di impotenza. Nelle prime ore di Domenica 19 marzo si ammucchiano sul selciato mazzi di fiori,quasi tutti anonimi. Con l’arrivo delle prime luci, agli amici che hanno passato la notte al freddo si aggiunge una piccola folla che si ingrossa in continuazione. Alle 10 al centro sociale Leoncavallo prende forma un’assemblea: parlano gli amici di Fausto e Jaio. "Bisogna rispondere all’agguato teso da killer fascisti". Ma la gente che c’è lì attorno non ha una gran voglia di discutere. Piange e sta zitta. Poi inizia la manifestazione. Sono tanti. Tremila sono di Avanguardia Operaia e Mls, duemila quelli di Lotta Continua e Autonomia. Sfilano incattiviti in una città più deserta del solito.Là davanti c’è un solo striscione, "Fuori i fascisti dal quartiere". La gente si affaccia dalle finestre, stringe il pugno, saluta. Un vecchietto si toglie il cappello e si avvicina al corrispondente di Radio Popolare. E’ in diretta. "Bisogna dire basta. Basta dì de si ai padrun e alura te ’masen no; sì, sì, signorsì, alzare il cappello e andare. E già, adess dighen tucc sì. No, minga tucc. Varda lì, ghreren du compagn, e adess qui davanti a noi ci sono le bandiere rosse". Il responsabile del servizio d’ordine di Lotta Continua si reca a parlare con il Comitato permanente antifascista che si è convocato d’urgenza alla sede dell’Anpi di via Mascagni. "Abbiamo scioperato contro la strage di Roma, dove uomini della scorta di Moro sono stati uccisi, scioperiamo anche per l’uccisione di questi due compagni. Sono vittime o no della stessa strategia?". E’ un’attività febbrile,si tessono nuovi rapporti politici con i partiti e con i sindacati.

Arriva la sera e molti vanno a casa. Non dormono da ventiquattro ore e li aspettano altre giornate cariche di passione. In via Mancinelli c’è sempre chi presidia. Lunedì 20 marzo tocca alle scuole: cortei improvvisati formano una marea di giovani. Sono ventimila. La parte più dura del corteo esprime la volontà di andare in via Mancini, sede milanese del Movimento Sociale Italiano, ma nelle discussioni e negli alterchi c’è chi ricorda cosa accadde dopo la morte di Claudio Varalli, ucciso dal fascista Antonio Braggion e il corteo del 17 aprile 1975 quando un gippone dei carabinieri investì,uccidendolo,il militante dell’MLS Giannino Zibecchi. "Bisogna bruciare le sedi" - urlano gli autonomi. I gruppi tentano di riportare la calma. Si va avanti per ore poi la tensione si è stempera.

Gli slogan s’interrompono soltanto quando entra in piazza il corteo della scuola di Fausto Tinelli: l’artistico Brera di via Hajeck. Fragili ragazzini portano uno striscione che sarà grande cento volte più di loro: è una tela bianca con i nomi e i volti di Fausto e Jaio. Un grido rabbioso echeggia di colpo in Piazza Duomo. "Fausto,Lorenzo non siete morti invano". Da un altoparlante si chiede lo sciopero generale per giovedì 23. Il sindaco Tognoli s’impegna a portare in consiglio comunale la proposta di un funerale in forma pubblica. Sono migliaia, giovanissimi, vecchi, bambini tenuti in spalla dai genitori. Urlano la loro rabbia sotto un cielo livido. Assomigliano a tanti Fausto nel modo di parlare e di vestire che era quello di tutti noi, allora. Accanto agli studenti più politicizzati si mischiano nella folla quelli delle prime e seconde superiori con i libri da disegno sotto braccio e le cartelle in spalla.

(...) Si prepara il giorno dei funerali, il più triste. L’addio a Fausto e Jaio è previsto mercoledì 22 marzo alle 11, in Piazzale Loreto. Nelle prime ore del mattino il mondo del lavoro si scuote: consigli di fabbrica, delegati sindacali, singoli operai decidono di aderire alla manifestazione. "Noi dell’Innocenti faremo tre ore di sciopero, al di là di quello che comunicheranno i sindacati". Telefonate alle radio, comunicati, volantini. Le adesioni sono molte,articolate e poi ce ne sono altre sei in arrivo: Sip, Pirelli, Montedison, Honeywell, Cge, interi consigli di zona, i sindacati delle scuole e dei telefonici. Alle 22 di martedì 21 marzo giunge l’annuncio dei sindacati unitari. "La federazione Cgil Cisl Uil ha deciso che tutti i lavoratori di Milano e provincia sospenderanno il lavoro nella giornata di domani riunendosi in assemblee,dalle 11 alle 12 verrà discusso il documento confederale sulla violenza e sul terrorismo. I consigli di fabbrica della città potranno organizzare una fermata dal lavoro tale da consentire la partecipazione dei lavoratori ai funerali". Il giorno inizia presto. Milano si sveglia con il frastuono dei camion che entrano nelle tangenziali, con l’odore acre dei fumi di scarico, con le colazioni consumate in pochi minuti nei bar della metropolitana. Gli autobus vengono presi di corsa,la gente guarda basso e tira dritto. E’ un giorno diverso per Danila Tinelli. E’ stata alzata tutta la notte,a guardare le fotografie. Apre quella camera e vede le cose di Fausto,il letto vicino alla finestra dove dorme da sempre,il piccolo Bruno che piange. La finestra da su via Montenevoso, e’ deserta, nessuna macchina passa per interrompere quello strano silenzio di morte. "Quel mercoledì 22 marzo non finirò mai di dimenticarlo. Stetti lì senza piangere, tenevo tutto dentro. Mi venivano in mente gli anni vissuti con Fausto, le discussioni, le litigate, lui che mi confidava tutto. Le estati a Trento, guardando le montagne e correndo felici per i prati. Era tutto nascosto dentro me, lo conservavo gelosamente,non volevo che nessuno entrasse. Vedevo i volti scuri delle persone, amici di Fausto e Jaio, ragazzini come loro che giocavano per ore da piccoli. La mia vita scorreva davanti. Poi le immagini belle scomparivano e tutto mi sembrava più difficile. Guardavo al futuro con angoscia, il mio piccolo Bruno che si staccava così bruscamente dal rapporto con Fausto, la vita,il lavoro, le difficoltà di farlo crescere bene, la casa troppo piccola, i sogni di cambiamento. Quello che ricordo era tanta gente, bella, triste, con le bandiere rosse che sventolavano e quel vento di marzo che mi portava via tutto,anche la vita". Per Fausto e Jaio e’ stata allestita una camera ardente,in una stanzetta spoglia. Là in mezzo ci sono le due bare, aperte a metà. Danila se ne sta lì, in disparte, appoggiata al muro, come tutti gli altri parenti. Dalla porta principale entrano ed escono migliaia di ragazzi, in silenzio, i compagni di scuola, gli amici, i vicini di casa, quelli del Casoretto. Non sono condoglianze prestate con noia ma abbracci sinceri. "Prima i compagni del Leoncavallo, un migliaio - riferiva il cronista di Canale 96 - Poi due bandiere della Federazione Lavoratori Metalmeccanici. Le due bare vengono portate a braccia, prima quella di Fausto e poi quella di Jaio.Poi dietro ancora,un mare di gente". Si cambia lunghezza d’onda .Il corrispondente chiede la linea a Radio Popolare. "Sono arrivate le bare - dice in diretta. Subito dopo si ascolta un grande silenzio che forse comunica più di tante parole. Nel lontano 78 non esistono i telefonini, i cronisti registrano sui Geloso, sui Grundig, come se fossero in diretta. Poi schizzano lungo le scalette della metropolitana, si attaccano al telefono, danno la radiocronaca differita di soli pochi minuti.

Chi racconta quel funerale ha la voce rotta dai singhiozzi, i registratori si inceppavano, la linea era sporca ma la resa era straordinaria. Quella moltitudine di persone, centomila dirà la polizia, tutte insieme e in silenzio. Gli operai dell’officina di riparazione dell’Atm sono tutti sui cancelli, qualcuno ha messo pure la bandiera rossa, salutano le bare con il pugno alzato. In Piazza San Materno, di fronte a casa di Jaio,si diffondono le note dell’Internazionale. Un gruppo di donne che avranno cinquant’anni ha deciso di portare una corona di fiori. C’è una frase. "Le madri dei compagni del Leoncavallo". Adriana era una di loro. "Ascoltavo la radio. Ad un certo punto interviene Carmen, fa un appello. Ci siamo trovate ai funerali, eravamo tante ma ci sentivamo troppo sole". Intorno alle 10,30 giungono i furgoni funebri con le corone già pronte. Servono a poco perché i ragazzi vogliono portare le casse a spalla. E lo fanno per un chilometro e mezzo fino a piazza San Materno, il cuore del quartiere, a pochi passi dalla chiesa di Don Perego, Santa Maria Bianca del Casoretto. Poi la bara di Jaio sfiora per un attimo il portone di casa sua, nella piazza: la madre gli da l’ultimo saluto, piange, si dispera.

Il corteo arriva da Piazzale Loreto e comincia a sfilare con il pugno chiuso. Questo continuo via e vai proseguirà per almeno un’ora e mezza. In chiesa Don Perego inizia la messa. Un ragazzo che avrà vent’anni si avvicina, mi guarda e giura che "se Jaio fosse ancora vivo tirerebbe le palline al parroco". Poi le bare vengono portate via. Jaio va al cimitero di Lambrate, Fausto torna nella sua Trento. Le persone si accalcano in via Mancinelli dove i mazzi di fiori sono diventati un grande ammasso colorato. Si fischietta l’Internazionale e la canzone che ricorda i morti di Reggio Emilia. Passano con gli striscioni, gli operai della Fiat Mirafiori, i gonfaloni del Comune, della Provincia, della Regione. Finito di sfilare se ne vanno. Rimangono i ragazzini e i militanti dei gruppi che si infilano in corso Buenos Aires, poi percorrono corso Venezia e arrivano a piazza San Babila. Duemila persone si trovano improvvisamente davanti alla sede della Camera del Lavoro,in Corso di Porta Vittoria. Una ventina i giovani corre avanti e sale gli scalini. Esce il servizio d’ordine del sindacato, volano pugni, spintoni. La Cgil chiude il cancellone di ferro. I ragazzi gridano: "Ieri per Moro eravate qui, oggi dove siete buffoni del Pci". Cresce la tensione ma all’improvviso i dirigenti dei gruppi riescono ad allontanare il corteo. La manifestazione finisce mentre le radio di movimento continuano il tam tam fatto di notiziari e musica sinfonica. Passano pochi giorni e le Brigate Rosse emettono il loro comunicato numero 2. "I proletari hanno dimostrato anche a Milano di saper scegliere i propri amici dai propri nemici, i propri interessi da quelli dei padroni. La manifestazione dei 40 mila dello sciopero per Moro, organizzata intorno alle forze reazionarie come la Dc, ha avuto giusta risposta da 100 mila proletari in piazza per la morte dei compagni Fausto e Iaio, assassinati dai sicari del regime". Ma i giovani del Leoncavallo non ci stanno. Da un comunicato del Centro Sociale. "Respingiamo l’uso strumentale dei due compagni da parte di un gruppo che ha scelto di inserirsi organicamente nella strategia della tensione". Franco Bonisoli faceva parte della direzione delle Brigate Rosse. Il fatto se lo ricorda bene. "Noi eravamo in via Montenevoso 8 da diversi mesi. Facevamo una vita naturalmente riservata. Avevamo l’appartamento da molto prima del rapimento Moro. Era il nostro quartiere generale. L’omicidio di Fausto e Iaio ci scosse non poco. Mi aveva sorpreso la potenza di fuoco di chi sparò in via Mancinelli. Pensai subito che fossero fascisti". Lo chiamo al telefono che è sera. Una domanda mi viene spontanea. "Lei sapeva che Fausto Tinelli abitava in via Montenevoso 9, al primo piano, esattamente davanti alle tre finestre dell’appartamento covo delle Brigate Rosse?". Dall’altra parte della cornetta c’è un attimo di silenzio. "Proprio non lo sapevo. Noi facevamo una vita ritirata, non sapevamo niente di quello che accadeva in quel quartiere".

Messaggi

  • Fra qualche ora saremo a Bruxelles per la manifestazione, ma non riesco a dormire, sono ammalato come un cane e non ho piu’ voce, ma sarò in manifestazione... se riesco a stare in piedi...

    I ricordi del 18 marzo 1978 mi assalgono... a quel epoca lavoravo per Canale 96 una radio "alternativa" ero il tecnico delle trasmissioni "ponti radio" cioè le dirette in altri posti della citta’ di Milano, mi occupavo dei problemi tecnici ma facevo anche delle interviste...

    Abitavo a Lambrate, e come d’abitudine passavo non molto lontano dal Leoncavallo per andare a casa un poco piu’ lontano del Casoretto, in modo quasi automatico, accendo la radio, e ascolto Canale 96, una notizia mi stronca... non ci credo e passo ad ascoltare Radio popolare, che purtroppo la conferma... Fausto e Iaio sono stati uccisi pochi minuti prima, proprio dove ero passato...

    Telefono immediatamente ai compagni del partito (Avanguardia Operaia) e ai responsabili del S.O., mi confermano e ci diamo appuntamento al Leoncavallo per organizzare la manifestazione...

    Dall’Italia, ci e’ arrivato un articolo tratto dai testi di Daniele Biacchessi, spedito da Andrea Cegna, con Daniele ci siamo di gia’ scritto nel passato... leggendo il testo, in un certo momento, mi accorgo che sto’ rivivendo gli stessi momenti della manifestazione che finisce in notte fonda e il funerale...

    Per il Collettivo Bellaciao
    Roberto Ferrario