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TRAINSTOPPING, DIRITTO, GUERRA

Publie le jeudi 27 février 2003 par Open-Publishing

TRAINSTOPPING, DIRITTO, GUERRA
Avv. Nicola Canestrini
Direttore del Centro Italiano Studi per la Pace
www.studiperlapace.it

Le recentissime manifestazioni da parte di società civile, movimenti,
partiti contro la guerra in Irak da tempo annunciata (perché
indispensabile per preservare il disordine mondiale che garantisce a
pochi il controllo planetario ?) costringe anche i giuristi a
confrontarsi nuovamente con il problema della rilevanza giuridica della
pace.

Vi sono numerose norme nell’ordinamento internazionale che fanno
riferimento ad un "diritto alla pace". Ne sono esempio il Preambolo
della Carta delle Nazioni Unite del 1945 (ratificata dall’Italia nel
1957), l’articolo 20 del Patto sui diritti civili e Politici del 1966,
ma anche la risoluzione 33/73 dell’Assemblea generale dell’Onu che
all’articolo 1 recita : "Ogni nazione e ogni essere umano, a prescindere
da considerazioni di razza, coscienza, lingua o sesso, ha il diritto
intrinseco a vivere in pace. Il rispetto di tale diritto, al pari degli
altri diritti umani, risponde agli interessi comuni di tutta l’umanità
e
costituisce una condizione indispensabile per il progresso di tutte le
nazioni, grandi e piccole, in tutti i campi." Infine, la stessa
Assemblea generale ha adottato nel 1984 la Dichiarazione sul diritto
dei
popoli alla pace che "proclama solennemente che i popoli del nostro
pianeta hanno un sacro diritto alla pace" e "dichiara solennemente che
la tutela del diritto dei popoli alla pace e l’impegno alla sua
attuazione costituiscono un obbligo fondamentale di ogni stato".

Nei giorni scorsi l’argomento è divenuto di scottante attualità per il
fatto che dei manifestanti hanno bloccato i cd. treni della morte, cioè
quei treni carichi di materiale bellico destinati alla base USA di Camp
Darby vicino a Pisa da dove saranno inviati al Golfo Persico per la
imminente guerra.

Vi è il pericolo che - come già è successo in passato - detti
manifestanti vengano incriminati, ad esempio per il reato previsto dal
DLGS 66/1948, che nella parte della norma non toccata dalla
depenalizzazione del 1999 punisce "chi depone o abbandona oggetti in
una
strada ferrata al fine di ostruirla" con la reclusione da uno a sei
anni, o ancora per il reato di cui all’articolo 340 Codice Penale che
sanziona l’interruzione di un servizio pubblico con pene che possono
arrivare fino a cinque anni di reclusione.

Si pone dunque il problema di individuare, oltre alle norme di diritto
internazionali citate che peraltro non sono cogenti nel nostro
ordinamento essendo considerate norme di cd. di soft law, anche
nell’ordinamento italiano disposizioni utili a definire la portata del
diritto alla pace e/o di eventuali altri strumenti giuridici per
trasformare l’istanza etica rappresentata dai manifestati in chiave
giuridica.

Una prima indicazione in tal senso, e senza voler ricordare che secondo
il filosofo del diritto Hans Kelsen la pace è il fine minimo di ogni
ordinamento giuridico, o che Sant’Agostino riteneva che il bellare
fosse
semper illicitum, può essere offerta dal sempre attualissimo articolo
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della Costituzione italiana, secondo la quale l’Italia "ripudia la
guerra".

Pur se non delineato a chiare lettere nel disegno costituzionale,
l’imposizione per il Tramite della nostra Costituzione di regole di
condotta vincolanti per gli organi statali - la cui osservanza
garantisce la legittimità delle scelte e degli atti adottati,
altrimenti
illegittimi ! - è venuta a fondare, secondo autorevoli giuristi, un cero
e proprio "diritto della collettività all’instaurazione di rapporti
pacifici con altri popoli", cioè un nostro diritto a pretendere che i
nostri governanti attuino nei loro comportamenti i principi
fondamentali
della nostra Costituzione, primo fra tutti quello di astenersi dall’uso
della forza nei rapporti internazionali, o meglio del ripudio della
guerra. Riconosciuto tale diritto, si aprirebbe la strada - per i
manifestanti eventualmente incriminati per essersi opposti al transito
dei treni della morte - all’invocazione dell’articolo 51 del Codice
Penale, il quale esclude la punibilità dei comportamenti (impedire il
passaggio dei treni) fondati appunto su un diritto.

Un altra strada, per invero, è stata già percorsa dal Tribunale di
Trento (!), il quale nel gennaio 1992 in un analogo caso
coraggiosamente
statuì che "sussiste la scriminante dello stato di necessità putativo
nella partecipazione ad una manifestazione pacifista, con invasione dei
binari di una stazione ferroviaria al fine d’impedire il trasporto di
carri armati destinati ad operazioni militari in Irak e di salvare, per
tal modo, un numero indeterminato di persone". In altre parole, il
Tribunale di Trento - che ha posto un importante precedente
giurisprudenziale, per quanto non vincolante negli ordinamenti di civil
law - ha sancito la legittimità dell’occupazione dei binari da parte
dei
manifestanti che si opponevano alla guerra in Irak perché così facendo
gli stessi erano convinti di salvare moltissime vite umane dai
bombardamenti angloamericani.

A tale pronuncia del Tribunale di Trento se ne sono aggiunte molte
altre, tra le quali Grosseto, Milano, Rovereto, Torino, Mantova,
Cremona, Verona : alcune delle dette pronunce giustamente indicano il
primo criterio interpretativo delle norme penali invocate nella
Costituzione, e segnatamente nei principi di libera manifestazione del
pensiero e della libertà di riunione. La stessa legge 185/90, di cui
tanto si parla anche negli ultimi tempi, che disciplina il controllo
dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento
all’articolo 1 dice che "il transito di materiale di armamento (.)
dev[e] essere conform[e] alla politica estera e di difesa dell’Italia.
Tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato secondo i princìpi
della Costituzione repubblicana che ripudia la guerra come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali." Lo tesso legislatore
recepisce dunque molto chiaramente il dettato della Carta
Costituzionale.

Un’ultima osservazione, senza voler entrare nel merito della cd. guerra
giusta che anche l’Italia si appresta a combattere in Iraq (ma le
guerre
non sono sempre giuste per chi le fa ?) : vi è una controversia
internazionale aperta in seno alle Nazioni Unite, i cui organi si
occupano del problema seguendo una complessa procedura che ha il fine
di
far vincere chi ha ragione. La guerra, invece, ha l’opposto fine di
dare
ragione a chi vince.

Ecco perché sono e rimango convinto che la prima e fondamentale legge
di
natura che permette di instaurare uno stato civile e democratico sia
quella stigmatizzata da Hobbes : pax est quaerenda, dobbiamo pretendere
la pace.

Avv. Nicola Canestrini
nicola.canestrini@canestrinilex.it
Direttore del Centro Italiano Studi per la Pace www.studiperlapace.it
Giuristi democratici Trentino - Südtirol