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"C’è posto per me?" - Come entrare alle poste raccomandati
Publie le martedì 13 settembre 2005 par Open-PublishingIl settimanale "L’espresso" ha trovato un database delle Poste contenente i nomi dei raccomandati da ministri, parlamentari, sindacalisti, cardinali e ci ha dedicato la copertina del numero in edicola dal 9 settembre.
Aspetto lo scandalo, temo il dimenticatoio.
Il parto televisivo di maggior successo di Maria De Filippi - “C’è posta per te” - più che un parto era un aborto, ma al confronto del programma in onda su “PT - Poste Italiane”, era il mio preferito.
Aspettate, non cambiate canale, vi spiego come funziona.
“C’è posto per me?”, il programma in onda in diretta da decenni, a sportelli unificati nei peggiori uffici postali d’Italia, prevede l’estromissione dei concorrenti meritevoli per far posto a “raccomandati”. (Notare che stavolta l’abbronzatissimo Carlo Conti conduttore di “I raccomandati” non c’entra niente - se non che anche lui, a modo suo, ha sdoganato la categoria)
Ebbene: ecco nel dettaglio le regole di “C’è posto per me?”
– Farsi un amico potente e disonesto. Non è facile, ma se lo trovate potente il più è fatto: quasi sicuramente è disonesto.
– Chiedergli un lavoro che spetterebbe a un’altra persona. Mi raccomando - pure io! - deve spettare a un’altra persona, altrimenti non è possibile parlare di raccomandazione.
Vi sembra difficile? Non lo è, tranquilli, lo hanno fatto politici di destra - soprattutto, par di capire - e (quasi)sinistra. Cardinali compresi.
Ecco qualche nome: Gasparri, Tremonti, Pezzotta, Mastella, Follini, Giovanardi, Enrico La Loggia, Veltroni - ma sembra che l’assunzione della signora indicata fosse per “cause umanitarie”.
E i cardinali? Eccoli: Achille Sivestrini e George Marie Cottier. Chissà - mi chiedo - se anche loro hanno votato Ratzinger. Elezioni da invalidare?
Insomma: volete partecipare a questo vecchio ma intramontabile giochino? Le regole le sapete. Il premio è un posto di lavoro.
Vi saluto con una massima: cambiare canale è riformismo, la rivoluzione è gettare il televisore.
Bertold Brecht? No, Saverio Tommasi




