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Diecimila firme consegnate a Pera: «Mai più come al G8 di Genova»
Publie le giovedì 30 giugno 2005 par Open-Publishingdi Beatrice Montini
«Molto spesso bastava dire: “è per Genova” e la gente si fermava, leggeva con attenzione e poi firmava». Enrica Bartesaghi, 48 anni, presidente del Comitato Verità e Giustizia e madre di Sara («picchiata e arrestata alla Diaz, prelevata dall’ospedale, portata a Bolzaneto e letteralmente scomparsa per due giorni») presenta così la petizione popolare “Mai più come al G8” (promossa anche da Arci e Comitato Piazza Carlo Giuliani ) che in poco meno di tre mesi ha raccolto oltre 10mila firme un po’ da tutta Italia. «Lo sguardo della gente che si fermava a parlare con noi testimonia prima di tutto che quello che è accaduto a genova quattro anni fa non solo non deve essere dimenticato ma non deve ripetersi più. E questo è il senso della raccolta di firme»
La petizione (prevista dall’articolo 50 della Costituzione) è stata consegnata ufficialmente il 30 giugno al presidente del Senato Pera e lo stesso verrà fatto con presidente della Camera Casini per «chiedere di calendarizzare con urgenza la discussione di progetti di legge già depositati in Parlamento su una serie di argomenti di cui i gravi fatti accaduti durante il G8 di Genova nel 2001 hanno messo in luce la particolare rilevanza». Ossia: l’istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti di Napoli e Genova del 2001, l’approvazione di una legge sulla tortura, la messa al bando dei gas nocivi usati nei lacrimogeni, la riconoscibilità degli agenti in servizio di ordine pubblico tramite codici di riconoscimento su caschi e divise, l’introduzione delle tecniche e dei principi della nonviolenza nella formazione degli agenti. Insomma: «Punti di civiltà minima che ancora mancano all’Italia - come sottolinea la senatrice dei Verdi Tana de Zulueta. che insieme ad altri parlamentari dell’opposizione ha partecipato alla presentazione ufficiale della raccolta di firme - ma che sono già legge in praticamente tutti i paesi dell’Ue. Vedi ad esempio l’identificativo sulle divise».
In realtà anche in Italia progetti di legge su tutti questi argomenti hanno già iniziato il loro iter parlamentare. Ma in molti casi vengono “osteggiati” e bloccati dalla maggioranza. Come nel caso del Ddl per la creazione di una commissione d’inchiesta bicamerale sui fatti di Genova e Napoli che, racconta il senatore Malabarba del Prc «è rimasto sempre al secondo punto del calendario dei lavori del Senato da tre anni ma non è mai stato discusso». O come la legge sull’introduzione del reato di tortura che lo scorso anno, nel primo passaggio alla Camera, fu così stravolta dalla Lega (in sostanza con l’emendamento del Carroccio per esserci il reato di tortura, le violenze o le minacce gravi dovevano essere «reiterate») tanto che, dopo la protesta delle opposizioni, il testo tornò all’esame del comitato ristretto.
In questo scenario la consegna alle massime istituzioni del Parlamento della petizione popolare “Mai più come il g8” rappresenta per i promotori una duplice occasione: un modo per impedire che quello che è accaduto a Genova venga cancellato dalla memoria e dalla storia del nostro paese ma anche un’occasione per iniziare a “pungolare” le forze politiche dell’opposizione in vista delle elezioni del 2006. «La giustizia nelle aule di tribunale è ovviamente fondamentale ma è solo uno dei passi che servono per uscire in modi civile da quell’abisso della democrazia che abbiamo vissuto a Genova» sottolinea Lorenzo Guadagnucci (giornalista, picchiato e arrestato alla Diaz la notte del 20 luglio e fra i fondatori de Comitato verità e Giustizia) ricordando che nella città ligure sono ancora in corso i processi per gli abusi subiti da migliaia di manifestanti che vedono imputati circa 70 rappresentanti delle forze dell’ordine. Processi che rischiano di non vedere mai la fine per il rischio di prescrizione. «Amnesty International dice che ci sono tre condizioni fondamentali da rispettare quando in un paese accadono episodi di violazione dei diritti umani e civili - ricorda ancora Guadagnucci - primo che si arrivi a una condanna penale dei responsabili, secondo che coloro che sono sotto processo siano comunque sospesi dai loro incarichi istituzionali, terzo che il potere politico condanni le violazioni. In Italia, per Genova, nessuna di queste condizioni è stata rispettata e anzi semmai in alcuni casi queste basilari regole sono state ribaltate. Tant’è che molti dei funzionari delle forze dell’ordine che sono stati coinvolti nei fatti di Genova sono stati promossi e il potere politico ha spesso fornito copertura e giustificazioni a quanto accaduto».
Insomma: accanto alle alla giustizia amministrativa e penale, per i promotori della petizione, occorre anche una svolta politica e culturale. «A Genova abbiamo assistito alla sospensione della democrazia e dei diritti minimi, come ad esempio quello di manifestare liberamente il proprio dissenso - spiega Paolo Beni, presidente dell’Arci - Abbiamo rischiato una frattura irreparabile fra cittadini e istituzioni. La ferita aperta in quei giorni non si sana con il semplice accertamento giudiziario, ma con una cultura della legalità e della democrazia». «Consideriamo questa petizione come un primo “pacchetto" di riforme in materia di diritti civili che vogliamo sottoporre alle forze politiche in vista della prossima campagna elettorale» dice Enrica Bartesaghi mentre Peppino Coscione (ex-insegnante di Carlo e attuale presidente del Comitato Piazza Carlo Giuliani) chiede esplicitamente che «nel programma dell’Unione ci sia un impegno preciso per la creazione della commissione d’inchiesta sui fatti di Genova e Napoli».
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