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Discorso del Presidente del Venezuela, Hugo Chavez, alla sessione per 60.mo anniversario dell’ONU
Publie le martedì 20 settembre 2005 par Open-PublishingEccellenze, amiche e amici, buon pomeriggio:
Il proposito originale di questa riunione è stato
completemente
sviato. Ci hanno imposto come centralità del dibattito
un male
chiamato processo per le riforme che relega in secondo
piano ciò che è
più urgente, ciò che i popoli del mondo reclamano con
urgenza, come
l’adottare misure per fronteggiare i veri problemi che
ostacolano e
impediscono gli sforzi dei nostri paesi per lo
sviluppo e la vita.
Cinque anni dopo il Summit del Millenio, la cruda
realtà è che la gran
parte delle mete designate, nonostante fossero già di
per sé
modestissime, non saranno raggiunte.
Pretendevamo di ridurre alla metà 842 millones di
affamati entro il
2015. Al ritmo attuale la meta si raggiungerebbe nel
2215, vedremo chi
di noi sarà lì per celebrarla, posto che la specie
umana riesca a
sopravvivere alla distruzione che minaccia il nostro
ambiente.
Avevamo proclamato l’aspirazione di raggiungere per il
2015 la meta
della scuola dell’obbligo universale. Al ritmo attuale
la meta si
raggiungerà dopo il 2100, prepariamoci dunque a
celebrarla.
Questo, amiche e amici del mondo, ci conduce
irreversibilmente a
un’amara conclusione: le Nazioni Unite hanno esaurito
il loro modello,
e non si tratta semplicemente di procedere a una
riforma, il XXI
secolo reclama cambiamenti profondi che sono possibili
solo con una
rifondazione di questa organizzazione. Quella attuale
non ci serve,
bisogna dirlo, è la pura verità.
Per le trasformazioni, alle quali dal Venezuela ci
riferiamo, il mondo
scandisce, dal nostro punto di vista, due tempi.
L’immediato, quello
del qui e subito; e quello dei sogni, dell’utopia. Il
primo è segnato
dagli accordi presi dal vecchio schema, non lo
rifiutiamo, e estraiamo
persino proposte concrete all’interno di questo
modello a breve
scadenza. Tuttavia il sogno di quella pace mondiale,
il sogno di un
"noi" che non ci faccia vergognare per la fame, la
malattia,
l’analfabetismo, la necessità estrema, necessita
– oltre che di radici-
di ali per volare. Sappiamo che vi è una
globalizzazione neoliberista
distruttiva, ma vi è anche un mondo interconnesso che
dobbiamo
affrontare non come un problema ma come una sfida,
possiamo, sulla
base delle realtà nazionali, intercambiare conoscenza,
complementarci,
integrare mercati, ma al tempo stesso dobbiamo
intendere che vi sono
problemi che ormai non hanno più soluzione nazionale,
né una nube
radioattiva, né i costi mondiali, né un’epidemia, né
il riscaldamento
del pianeta o il buco dell’ozono sono problemi
nazionali. Mentre
progrediamo verso un nuovo modello delle Nazioni Unite
che faccia suo
e vero questo "noi" dei popoli, vi sono quattro
riforme urgenti e
irrinunciabili che estrapoliamo da questa Assemblea.
La prima è
l’espansione del Consiglio di Sicurezza tanto nelle
sue categorie
permanenti come nelle non permanenti, permettendo
l’entrata a nuovi
paesi sviluppati e a paesi in via di sviluppo come
nuovi membri
permanenti. La seconda, è il necessario miglioramento
dei metodi di
lavoro per aumentare la trasparenza e non per ridurla,
per aumentare
l’inclusione. La terza, consiste nella soppressione
immediata -lo
diciamo da anni dal Venezuela- del veto nelle
decisioni del Consiglio
di Sicurezza, questa vestige elitaria è incompatibile
con la
democrazia, incompatibile anche solo con l’idea di
uguaglianza e di
democrazia.
In quarto luogo il rafforzamento del ruolo del
Segretario Generale, le
sue funzioni politiche nell’ambito della democrazia
preventiva, deve
essere consolidato. La gravità dei problemi chiama a
trasformazioni
profonde, le mere riforme non bastano per recuperare
il "noi" che
aspettano i popoli del mondo, al di là delle riforme
reclamiamo dal
Venezuela la rifondazione delle Nazioni Unite, e come
ben sappiamo in
Venezuela, grazie alle parole di Simón Rodríguez, il
Robinson di
Caracas: "O inventiamo o sbagliamo".
Nella riunione del passato gennaio di quest’anno 2005
al Social Forum
Mondiale di Porto Alegre, diverse personalità hanno
chiesto che la
sede delle Nazioni Unite uscisse dagli Stati Uniti se
continuano le
violazioni della legalità internazionale da parte di
questo paese.
Oggi sappiamo che non sono mai esistite armi di
distruzione di massa
in Iraq, il popolo statunitense è sempre stato molto
rigoroso
nell’esigere la verità ai propri governanti, i popoli
del mondo anche:
non ci sono mai state armi di distruzione di massa e
malgrado ciò, e
al di sopra delle Nazioni Unite, l’Iraq è stato
bombardato, occupato e
continua ad esserlo. Perciò proponiamo a questa
Assemblea che le
Nazioni Unite escano da un paese che non rispetta le
risoluzioni di
questa Assemblea. Altre personalità, allo scorso
Social Forum, hanno
proposto come alternativa una Gerusalemme trasformata
in città
internazionale. E’ una proposta che racchiude la
generosità di
proporre una risposta al conflitto che vive la
Palestina, ma forse ha
spigolosità che rendono difficile portarla a
compimento. Per questo
portiamo qui un’altra proposta, ancorata nella
"Lettera di Giamaica",
che scrisse Simón Bolívar, il grande Liberatore del
Sud, in Giamaica,
nel 1815, 190 anni orsono. Lì, Bolívar propose la
creazione di una
città internazionale che servisse come sede all’idea
dell’unità che
pianificava. Bolívar era un sognatore che sognò ciò
che oggi è la
nostra realtà.
Crediamo che sia tempo di creare una città
internazionale aliena alla
sovranità di qualsivoglia Stato, con propria forza
morale per
rappresentare le Nazioni del mondo, ma questa città
internazionale
deve riequilibrare cinque secoli di disequilibrio. La
nuova sede delle
Nazioni Unite dovrà essere al Sud. "Anche il Sud
esiste!" ha detto
Mario Benedetti. Questa città che può essere già
esistente, o possiamo
inventarla, potrebbe trovarsi laddove sono collocate
varie frontiere o
in un territorio che simbolizzi il mondo, il nostro
Continente è a
disposizione per offrire il suolo sul quale edificare
l’equilibrio
dell’universo del quale parlò Bolívar en 1825.
Signore, signori, affrontiamo oggi una crisi
energetica senza
precedenti, in un mondo nel quale si combinano
pericolosamente un
inarrestabile incremento del consumo energetico,
l’incapacità di
aumentare l’offerta di idrocarburi e la prospettiva di
un declino
delle riserve provate di combustibili fossili. Inizia
a scarseggiare
il petrolio.
Nel 2020 la domanda diaria di petrolio sarà di 120
milioni di barili
il che significa, anche senza tenere conto della
futura crescita della
domanda, che si consumerà in 20 anni una quantità
simile a tutto il
petrolio che l’umanità ha consumato fino ad ora, ciò
significherà
inevitabilmente un aumento delle emissioni di diossido
di carbonio
che, come si sa, incrementa ogni giorno la temperatura
nel nostro pianeta.
Katrina è stato un doloroso esempio delle conseguenze
che può
provocare l’uomo ignorando queste realtà. Il
riscaldamento degli
oceani è, a sua volta, il fattore fondamentale che sta
dietro il
terribile incremento nella forza degli uragani che
abbiamo visto negli
ultimi anni. Cogliamo l’occasione per trasmettere
ancora una volta il
nostro dolore al popolo degli Stati Uniti, che è un
popolo fratello ai
popoli dell’America e ai popoli del mondo.
In pratica, è eticamente inammissibile sacrificare la
specie umana
invocando in modo demenziale la vigenza di un modello
socioeconomico
con una galoppante capacità distruttiva. E’ suicida
insistere nel
disseminarlo e imporlo come rimedio infallibile per i
mali di cui esso
è, precisamente, la principale causa.
Poco tempo fa il signor Presidente degli Stati Uniti
nel corso di una
riunione dell’Organizzazione degli Stati Americani, ha
proposto
all’America Latina e ai Caraibi di incrementare le
politiche di
mercato, l’apertura al mercato, vale a dire, il
neoliberismo, quando
questo è precisamente la causa fondamentale dei grandi
mali e delle
grandi tragedie che vivono i nostri popoli: il
capitalismo
neoliberista, il Consenso di Washington che lo ha
generado è il
maggior responsabile di miseria, diseguaglianza e
tragedia infinita
dei popoli di questi continenti.
Ora più che mai abbiamo bisogno, signor Presidente, un
nuovo ordine
internazionale. Ricordiamo che all’Assemblea Generale
delle Nazioni
Unite, celebrata nel 1974, alcuni di quelli che sono
qui non erano
ancora nati o erano molto giovani.
Nel 1974, 31 anni fa, si adottò la dichiarazione e il
programma di
azione del nuovo Ordine Economico Internazionale,
insieme al piano di
azione l’Assemblea Generale adottò, il 14 dicembre di
quel medesimo
1974, la Carta dei Diritti e dei Doveri Economici
degli Stati che rese
concreto il Nuovo Ordine Economico Internazionale.
Esso fu approvato
con la schiacciante maggioranza di 120 voti a favore,
6 contro e 10
astenzioni. Ciò accadde quando ancora si votava alle
Nazioni Unite.
Ora qui non si vota più, ora qui si approvano i
documenti come questo
documento che denuncio a nome del Venezuela, nullo e
illegale, perché
viola la normativa delle nazioni Unite, questo non è
un documento
valido! Bisogna discutere questo documento, il Governo
del Venezuela
lo farà conoscere al mondo, ma nel frattempo noi non
possiamo
accettare la dittatura aperta e schiacciante delle
Nazioni Unite,
queste cose sono fatte per essere discusse e a questo
proposito mi
appello molto rispettosamente ai miei colleghi Capi di
Stato e Capi di
Governo.
Questo documento, scritto solo in inglese, è stato
consegnato cinque
minuti fa ai delegati e si è approvato con un
martellamento
dittatoriale, che denuncio dinnanzi al mondo come
illegale, nullo e
illegittimo.
Ascolti una cosa, signor Presidente, se noi accettiamo
questo
documento, siamo spacciati, abbiamo spento la luce e
chiuso le
finestre! Se accettiamo la dittatura di questa sala, è
la fine.
Ora più che mai -dicevamo- abbiamo bisogno di
ritessere cose che
abbiamo smarrito nel cammino, come la proposta
approvata in questa
Assemblea nel 1974 di un Nuovo Ordine Economico
Internazionale.
Ricordiamo che l’Articolo 2 del testo di quella Carta,
conferma il
diritto degli Stati di nazionalizzare le proprietà e
le risorse
naturali che si trovano in mano ad investitori
stranieri, proponendo
al tempo stesso la creazione di cartelli di produttori
di materie
prime. Nella Risoluzione 3.201 del maggio del 1974, è
espressa la
determinazione ad agire con urgenza per stabilire un
Nuovo Ordine
Economico Internazionale basato - ascoltatemi bene, vi
prego-
"nell’equità sovrana, l’interdipendenza,
nell’interesse comune e la
cooperazione fra gli Stati qualsiasi siano i loro
sistemi economici e
sociali, che correggano le diseguaglianze e riparino
le ingiustizie
fra i paesi sviluppati e i paesi in via di sviluppo, e
assicurino alle
generazioni presenti e future, che la pace, la
giustizia e lo sviluppo
economico e sociale si acceleri a ritmo sostenuto",
chiudo le
virgolette, stavo leggendo parte di quella Risoluzione
storica del 1974.
L’obbiettivo del Nuovo Ordine Economico Internazionale
era modificare
il vecchio ordine concepito a Breton Woods.
Credo che il Presidente degli Stati Uniti abbia
parlato quasi 20
minuti ieri, qui, così mi hanno detto, io chiedo il
permesso,
Eccellenza, di terminare il mio discorso.
L’obbiettivo del Nuovo Ordine Economico Internazionale
era modificare
il vecchio ordine economico concepito a Breton Woods
nel 1944, e che
aveva vigenza fino al 1971, con il crollo del sistema
monetario
internazionale: solo buone intenzioni, nessuna volontà
per progredire
in questa strada, e noi crediamo che questa fosse e
continui ad essere
la strada.
Oggi i popoli reclamano, in questo caso il popolo del
Venezuela, un
nuovo ordine economico internazionale, ma risulta
anche
imprescindibile un nuovo ordine politico
internazionale, non
permettiamo che un pugno di paesi tenti di
reinterpretare impunemente
i principi del Diritto Internazionale per dare
copertura a dottrine
come la "Guerra Preventiva" adesso ci minacciano con
la guerra
preventiva! e la ora chiamata "Responsabilità di
Proteggere", ma
dobbiamo chiederci chi ci proteggerà e come ci
proteggerà.
Io credo che uno dei popoli che richiede protezione
sia il popolo
degli Stati Uniti, lo abbiamo ora visto dolorosamente
con la tragedia
del Katrina: non ha un governo che lo protegga dai
disastri annunciati
della natura, se quello di cui stiamo parlando è di
proteggerci l’uno
con l’altro; questi sono concetti molto pericolosi che
va delineando
l’imperialismo, esso va delineando l’interventismo e
cerca di
legalizzare la mancanza di rispetto e di sovranità. Il
pieno rispetto
dei principi del Diritto Internazionale e alla Carta
delle Nazioni
debbono costituire, signor Presidente, la pietra
miliare delle
relazioni internazionali nel mondo di oggi, e la base
del nuovo ordine
che propugnamo.
Permettetemi una volta ancora, in conclusione, di
citare Simón
Bolívar, il nostro Libertatore, quando parla
dell’integrazione del
mondo, del Parlamento Mondiale, del Congresso di
Parlamenti, è
necessario riprendere molte proposte come quella
bolivariana. Diceva
Bolívar in Jamaica, nel 1815 - l’ho già citato- leggo
una frase della
Carta di Giamaica. "Che bello sarebbe sarebbe se
l’istmo di Panama
fosse per noi ciò che è quello di Corinto per i greci,
magari un
giorno avessimo la fortuna di istallare lì un
congresso dei
rappresentanti delle repubbliche, dei regni, per
trattare e discute
degli alti interessi della pace e della guerra, con le
nazioni delle
altre parti del mondo. Questa specie di corporazione
potrà avere luogo
in qualche epoca della nostra rigenerazione".
Ceramente, urge
affrontare in modo efficace il terrorismo
internazionale, ma non
usandolo come pretesto per scatenare aggressioni
militari
ingiustificate che violano il Diritto Internazionale e
sono diventate
dottrina dopo l’11 settembre. Solo una vera strategia
di cooperazione,
e la fine della doppia morale che alcuni paesi del
Nord applicano al
tema del terrorismo, potranno porre termine a questo
orribile flagello.
Signor Presidente:
In appena 7 anni di Rivoluzione Bolivariana, il popolo
venezuelano può
esibire importanti conquiste sociali ed economiche.
Un milione e 406 mila venezuelani hanno imparato a
leggere e scrivere
in un anno e mezzo, noi siamo circa 25 milioni e, fra
qualche
settimana, il paese potrà dichiararsi libero
dall’analfabetismo, e tre
milioni di venezuelani prima esclusi a causa della
povertà, sono stati
inseriti nell’educazione primaria, secondaria e
universitaria.
Diciassette milioni di venezuelani e venezuelane
– quasi il 70% della
popolazione- ricevono, per la prima volta nella nostra
storia,
assistenza medica gratuita, comprese le medicine e, in
pochi anni,
tutti i venezuelani avranno accesso gratuito
all’attenzione medica per
eccellenza.
Si somministrano oggi più di 1 milione e 700 mila
tonnellate di
alimenti a prezzi modici a 12 milioni di persone,
quasi la metà dei
venezuelani, un milione dei quali li ricevano
gratuitamente, in forma
transitoria. Queste misure hanno generato un alto
livello di sicurezza
alimentare nei più necessitati.
Signor Presidente, si sono creati 700 mila posti di
lavoro, riducendo
la disoccupazione di 9 punti percentuali, tutto ciò
nel mezzo delle
aggressioni interne ed esterne, che includono un golpe
militare
preparato a Washington, e un golpe petrolifero
preparato anch’esso a
Washington, malgrado le cospirazioni, le calunnie del
potere
mediatico, e la permanente minaccia dell’impero e dei
suoi alleati,
che stimola perfino il magnicidio (assassinato di un
capo di governo
NdT). L’unico paese dove una persona si può permettere
il lusso di
chiedere il magnicidio di un Capo di Stato sono gli
Stati Uniti, come
è accaduto poco tempo fa con un reverendo chiamato Pat
Robertson molto
amico della Casa Bianca: ha chiesto pubblicamente
davanti al mondo la
mia uccisione e gira a piede libero, questo è un
delitto
internazionale, è terrorismo internazionale!
Ebbene, noi lotteremo per il Venezuela, per
l’integrazione
latinoamericana e per il mondo.
Riaffermiamo qui, in questa sala, la nostra infinita
fiducia
nell’uomo, oggi assetato di pace e giustizia al fine
di riuscire a
sopravvivere come specie. Simón Bolívar, padre della
nostra Patria e
guida della nostra Rivoluzione, giurò di non dare
riposo alle sue
braccia, né dare riposo alla sua anima, fino a vedere
l’America
libera. Noi non daremo riposo alle nostre braccia, né
riposo alla
nostra anima fino a quando non sarà salva l’umanità.
Signori, molte grazie.
Traduzione perlumanita.it di Marina Minicuci




