Home > Faccendieri, preti e prestanome in un "giallo" all’italiana

Faccendieri, preti e prestanome in un "giallo" all’italiana

Publie le sabato 10 settembre 2005 par Open-Publishing

Umanità Nova, numero 28 dell’11 settembre 2005, Anno 85

Banche, palazzi e politica

Faccendieri, preti e prestanome in un "giallo" all’italiana

Forse è meglio partire dalla fine, da quel miliardo e duecento milioni di
Euro che ha fruttato ai "furbetti del quartierino" la cessione di azioni BNL
alla compagnia assicurativa Unipol.

O, forse, si potrebbe partire da prima, dall’ultima riforma fiscale, che gli
consentirà di pagare solo 20 milioni di tasse, pari all’1,7% del guadagno.
Forse, invece di parlare di cifre è meglio però parlare di persone e vedere
chi sono questi signori che stanno facendo un mare di soldi esentasse con
queste scalate bancarie.

Personaggi ed interpreti

Il primo dei protagonisti è nato 38 anni fa nella borgata Finocchio, una
delle tante borgate abusive che circondano Roma, e si chiama Danilo Coppola.
Il padre, morto nel 1995, era un impiegato statale, la madre è una casalinga
ed ancora abita nella borgata, in un villino bifamiliare a Via Bolognetta,
dove fino all’anno scorso abitava pure lui con moglie e figlia. Danilo
Coppola infatti fino a tre anni fa faceva l’agente immobiliare proprio nella
zona di Borgata Finocchio, tra Borghesiana e Tor Bella Monaca. Una zonaccia
della periferia degradata di Roma, sulla Casilina, dove si beccava anche gli
sberleffi dei coatti del bar, visto che per il lavoro che faceva era
talmente sfortunato da dover andare in giro in giacca e cravatta anche
d’estate. Oggi si è potuto permettere l’acquisto del 4,9% della BNL e di
essere uno dei partecipanti al tentativo di scalata della Banca Antonveneta.
Sempre 38 anni fa nasceva nell’agro aversano un altro dei vincitori della
partita BNL, anche lui con il 4,9% delle azioni: Giuseppe Statuto. Il padre
era quasi del ramo: aveva una cava di brecciolino nel casertano. Di lui
almeno si può immaginare come abbia fatto un po’ di soldi: il terremoto e
gli appalti per la terza corsia della Roma-Napoli non gli sono sfuggiti ed è
riuscito ad ingrandire un po’ l’attività familiare. Per quanto le sue
imprese mantengano la sede a Caserta, lui ha spostato il centro dei suoi
affari immobiliari a Milano, riuscendo ad avere anche partner di chiara
fama, come la Fininvest, impegnata nella ristrutturazione dell’area di
Rozzano.

Più noto alle cronache rosa oltre che economiche è Stefano Ricucci,
l’odontotecnico di Zagarolo, denunciato per esercizio abusivo della
professione medica, ridotto quasi alla fame, e miracolosamente risorto pochi
anni fa e che oggi dichiara di avere due miliardi di euro di patrimonio
"frutto di duro lavoro personale" e possiede anche lui un 4,9% della BNL ed
è nella scalata di Antonveneta con il 5%.

Ad arricchire il pedigree della compagnia ci sono Ettore e Tiberio Lonati, i
più ricchi contribuenti di Brescia. Sono i titolari di un gruppo leader
nella produzione di macchine per realizzare calze e collant. Già in passato
avevano fatto i soldi con la borsa, magari esagerando, visto che si sono
beccati una denuncia per insider trading. Hanno festeggiato la ricca
plusvalenza ottenuta con la vendita del 2,5% di BNL chiudendo la Matec a
Scandicci e gettando nel lastrico trecento famiglie di operai.

Dalla cronache politiche proviene invece Vito Bonsignore europarlamentare
siciliano dell’UDC, che si è riuscito ad accaparrare un bel 4% della BNL.
Lui con i palazzi e con le banche ci fa poco, si occupa di autostrade. È
riuscito ad ottenere l’appalto per la costruzione della Orte-Venezia e a
diventare il futuro gestore dell’autostrada, un affare da 11 miliardi di
Euro in cui lo stato gliene fornirà la metà a fondo perduto. Si è unito alla
allegra brigata solo per rapporti di partito e di portafoglio con il
capocordata: Francesco Gaetano Caltagirone.

Figlio e nipote di palazzinari, Caltagirone ha incrementato, e di molto, la
fortuna di famiglia con la lottizzazione selvaggia di Roma organizzata da
Giubilo e Sbardella, i ras della potentissima corrente andreottiana
capitolina. Dopo tangentopoli è rimasto ben introdotto in politica. Sua
figlia Azzurra convive con Pierferdinando Casini, il presidente della
camera. È senza dubbio il più autorevole di tutta la cordata, tanto che è
stato eletto dagli altri alla presidenza dei concertisti per la scalata BNL.
Un altro capofila, seppure defilato, è Emilio Gnutti. Bresciano anche lui,
proprietario della Hopa e di un sacco di altre cose, divenne famoso quando
D’Alema premier decise di privatizzare la Telecom. La vendette a lui, a
Colaninno e ad un esordiente Riccucci a due lire. Licenziarono 13.500
lavoratori, D’Alema li etichettò come "capitani coraggiosi" e se ne andarono
dopo aver guadagnato 14.000 miliardi di lire rivendendola a Tronchetti
Provera. È uno che ha rapporti buoni con tutto il mondo politico, tra gli
azionisti della sua società ci sono Mediaset, Unipol e Monte dei Paschi,
cioè Berlusconi e i DS. E’ in corsa solo per la scalata alla Antonveneta con
il 5% delle azioni.

A furia di parlare di persone però non si capisce nulla di cosa è successo.

Le banche

E allora ricominciamo parlando delle banche che sono le vere protagoniste
dell’operazione.

All’inizio della storia ci sono quattro banche. C’è una banca spagnola che
vuole comprare una banca italiana e c’è una banca olandese che vuole
comprare un’altra banca italiana.

Una delle due banche italiane è la Banca Nazionale del Lavoro (BNL). Ve la
ricordate, era una banca pubblica e veniva utilizzata, di fatto, come
tesoreria da parte dello stato. Per anni è stata gestita da Nerio Nesi, il
banchiere craxiano, che, dopo la crisi del PSI, è stato accolto a braccia
aperte in Rifondazione ed attualmente è nel Partito Dei Comunisti Italiani,
in attesa di qualche incarico governativo. Si, insomma, è quella banca a cui
il governo italiano ordinò, per conto del governo statunitense, di far
prestare migliaia di miliardi, dalla propria filiale di Atlanta, all’Iraq di
Saddam Hussein (all’epoca in guerra con l’Iran) per finanziarne i progetti
bellici: la bomba atomica ed il supercannone.

Per consentirgli di recuperare i miliardi persi nell’operazione, nel 1997,
con una delle solite privatizzazioni all’italiana, gli fu praticamente
regalato (a 61,6 miliardi di lire) il Banco di Napoli, non prima però di
averlo ripulito delle perdite e dei crediti inesigibili con 12.000 miliardi
di lire di denaro pubblico.

Il Banco di Napoli sarà poi rivenduto a 3.000 miliardi di lire al San Paolo
di Torino.

La BNL, quotata in borsa, era controllata da un gruppetto di azionisti:
Della Valle, il Monte dei Paschi, le assicurazioni Generali e, con una quota
del 14,72 %, dalla banca spagnola protagonista di questa storia, il Banco
Bilbao.

Il nome completo della banca è Banco Bilbao y Vizcaya Argentaria (BBVA), è
il secondo istituto di credito spagnolo, il nono in Europa, e, dopo essere
stato per un po’ di anni il primo azionista della BNL, decide di comprarla
tutta e, come da legge, comunica ufficialmente che vuole acquistare le
azioni della banca. Gli altri azionisti nicchiano un po’, ma poi danno il
via libera agli spagnoli.

Prima di vedere come è andata a finire occupiamoci dell’altra banca italiana
protagonista di questa storia: la banca Antonveneta.

È nata nel 1996 dalla fusione di due banche padovane cattoliche: la Banca
Antoniana e la Banca Popolare Veneta. Ha comprato un po’ di piccole banche,
soprattutto al sud Italia, ed ha fatto il colpaccio acquistando nel 2000 la
Banca Nazionale dell’Agricoltura e riuscendo ad avere una dimensione
nazionale. Fin dal 1995 tra i proprietari della Banca Antoniana c’è la banca
olandese che adesso ha deciso di comprarla tutta: l’ABN AMRO.
Questa banca olandese, frutto della fusione tra l’Algemene Bank Nederland
(ABN) la Banca di Amsterdam (AM) e quella di Rotterdam (RO), è la
tredicesima banca europea per capitalizzazione.

L’attuale presidente, Rijkman Groenink, aveva promesso nel 2000 di farla
diventare, entro i successivi 5 anni, una delle 5 banche più redditizie
d’Europa. I 5 anni sono passati, lui non c’è riuscito, ma è rimasto comunque
al suo posto a differenza del 20% dei dipendenti che ha licenziato nel
frattempo.

Gli olandesi considerano la loro presenza in Italia strategica, tant’è che
oltre al 12,67% di AntonVeneta possiedono anche il 9% di Capitalia.

Quando hanno proposto di comprare tutte le azioni della Antonveneta a 25
euro (con quella che in gergo si chiama O.P.A. Offerta Pubblica d’Acquisto)
nessuno si è meravigliato più di tanto e, visto che pochi mesi prima, in
occasione di un aumento di capitale, le stesse azioni erano state messe in
vendita a 10,5 euro, la maggioranza degli azionisti si è dichiarata disposta
a vendere.

Insomma, in quella che sarebbe stata una tranquilla e pacifica acquisizione
di due banche da parte di altre due banche, con gli azionisti delle due
banche acquistate che vengono convinti con un po’ di quattrini a venderle.

Un governatore dell’Opus Dei

Sembrerebbe tutto fatto, quando entra in gioco la quinta banca di questa
vicenda, la più importante di tutte. La Banca d’Italia e, soprattutto, il
suo governatore: Antonio Fazio da Alvito (Frosinone).

È un fervente cattolico, il Fazio banchiere. È soprannumerario dell’Opus
Dei. Ogni 20 settembre partecipa alla messa in suffragio degli zuavi
pontifici caduti a Porta Pia. Una sua figlia si sta addirittura facendo
suora in questi giorni (poverina).

La sua nomina a governatore è stata salutata come un successo personale dal
suo protettore d’oltretevere, il cardinal Camillo Ruini.

E c’è da dire che è riuscito a far aumentare, e di molto, il peso dei
cattolici nel mondo della finanza in Italia.

Si pensi che, solo qualche anno fa, i più quotati banchieri cattolici erano
Calvi, Sindona e Marcinkus, e che tutto il resto della finanza era "laica",
portava il grembiulino e rispondeva ai desiderata di Palazzo Giustiniani con
il Vaticano in un angolo.

Oggi i cattolici riescono a controllare la maggior parte del mondo bancario:
Cesare Geronzi a Capitalia, Giovanni Bazoli a Banca Intesa, Paolo Biasi ago
della bilancia in Generali, Unicredito e Mediobanca, Enrico Gotti Tedeschi
al San Paolo IMI ed a scrivere libri sulla funzione dei banchieri cattolici.
Perfino il Monte dei Paschi, la banca dei DS, ha concesso alla curia senese
di nominare un "deputato" nella fondazione che amministra la banca.
Insomma Fazio ha fatto un gran servizio ai suoi mentori. Peccato per lui che
intanto, per colpa dell’Euro, la politica monetaria ormai la faccia
Bruxelles e non più Via Nazionale.

Niente di strano che si appigli con tutte le forze all’unica competenza
rimastagli: la vigilanza sul sistema bancario italiano.

Oltretutto Fazio con gli spagnoli del BBVA ce l’aveva da tempo. Qualche anno
fa causò una mezza crisi diplomatica tra Aznar e Berlusconi quando bloccò un
loro tentativo di contare qualcosa di più in BNL. Figurarsi oggi che in
Spagna c’è Zapatero, considerato un anticlericale dai suoi protettori. Per
non parlare degli olandesi, per i quali la chiesa cattolica conta nulla e
che sono in odore di massoneria.

Fazio decide quindi di mettersi di traverso. E qui compare un’altra banca
protagonista della vicenda: la Banca Popolare di Lodi, che nel corso di
questa vicenda ha cambiato nome divenendo Banca Popolare Italiana.
La banca ha nobili ascendenze, avendo incorporato la Banca Rasini, quella
dove lavorava il padre di Silvio Berlusconi e dove sono transitati i conti
delle holding in cui è diviso il pacchetto azionario della Finivest, ma era
rimasta una banchetta. Fino a una decina d’anni fa era la quarantesima banca
italiana, oggi è tra le prime dieci, grazie soprattutto a Giampiero Fiorani.
In otto anni ha acquisito 21 banche e 13 società per un totale di 5,3
miliardi di euro d’investimenti, molti ottenuti con aumenti di capitale
successivi alle acquisizioni.

Fiorani, infatti, per poter ingrandire la propria banca ha usato un metodo
geniale: comprare le banche con i soldi dei correntisti delle banche
acquistate!

In pratica la cosa funziona così: si compra la banca indebitandosi, si
coprono i debiti con la liquidità della banca acquistata e si emettono nuove
azioni (con quello che si chiama in gergo aumento di capitale) vendendole
proprio ai nuovi correntisti, fidando nell’abilità dei propri promotori
finanziari.

Peccato che questo geniale trovata finanziaria violi qualche legge e,
peccato ancor più grave, che gli ispettori della Banca d’Italia se ne
fossero accorti già da cinque anni.

Fazio fa finta di niente, in fondo le acquisizioni riguardavano, fino a quel
momento o banche dissestate, pagate pochissimo, o piccole banche che, seppur
pagate a caro prezzo, non determinavano scompensi particolari.

D’altro canto Fiorani si sa far volere bene. È cattolico devoto, è stato
addirittura giornalista all’Avvenire, il quotidiano dei vescovi. Finanzia
generosamente le iniziative culturali della Conferenza Episcopale Italiana e
le singole diocesi. Ha assunto alle sue dipendenze due ispettori della
vigilanza della Banca d’Italia che avevano fatto ispezioni su di lui.

Poi è riuscito a salvare Fazio dagli attacchi della Lega per la mancata
vigilanza sulle banche per le vicende Cirio, bond argentini e Parmalat.
La Lega infatti aveva creato una banca, l’ultima di cui ci occupiamo, la
Crediteuronord, "la banca della Padania". Ora, secondo me, se tu affidi a
Calderoli o a un suo simile, un incarico commerciale facile, tipo la vendita
di salvagente a chi sta per affogare, quelli riescono a fallire anche in
quello. Figurarsi con una banca. Ed infatti la banca leghista stava per
fallire, bruciando i soldi dei militanti della Lega e facendo finire sotto
inchiesta per bancarotta fraudolenta i vertici del partito.

Per salvarla dal fallimento la offrono a varie banche (Popolare di Milano,
Banca Sella) che, visti i conti, rifiutano. La Banca Popolare di Lodi, a
sorpresa, accetta di assorbirla, salvandola dal fallimento e guadagnandosi
la riconoscenza della Lega che, non solo non attaccherà più Fazio ma, come
nelle ultime settimane, ne diverrà la più accanita sostenitrice.

Alla Popolare di Lodi sembrerebbe andare tutto bene ed invece no! Ancora una
volta ci si mette di mezzo l’Europa e, per colpa di una direttiva europea,
dal prossimo anno devono cambiare le modalità di contabilizzazione
(International Accounting Standard in sigla IAS), e la Banca Popolare di
Lodi si troverebbe completamente scoperta, visto che dovrebbe contabilizzare
le operazioni fuori bilancio ai valori di mercato e salterebbero fuori tutte
le magagne che finora le sono state permesse.

L’unico modo per salvarsi è comprare la Antonveneta, più solida e che le
consentirebbe di annacquare il passivo e le esposizioni.

Solo che comprare una banca più grande e con i conti migliori non è così
facile, bisogna muoversi con circospezione e utilizzare amici fidati.

Questo è quello che fa Fiorani. Da novembre 2004 comincia a finanziare "i
furbetti del quartierino", loro amici e sodali (36 persone in tutto),
mettendogli a disposizione, in più riprese 1.118 milioni di Euro e
prendendo, come garanzia, le azioni che questi venivano acquistando.

Poi, quando si viene a sapere della volontà di ABN AMRO di comprare la
Antonveneta, Fiorani annuncia un’offerta superiore. Invece dei 25 Euro per
azione offerti dalla ABN AMRO, lui ne offre 26,5, non in soldi ma in azioni
della Banca Popolare di Lodi (in gergo questa si chiama OPS Offerta Pubblica
di Scambio).

Mentre annuncia questa proposta, chiede alla Banca d’Italia il permesso fare
l’operazione.

La Banca d’Italia, incredibilmente, lo autorizza. L’autorizzazione ha
dell’incredibile perché la Lodi non aveva i soldi per poterlo fare e perché
non aveva alcuna speranza di poterlo pagare, visto che la Antonveneta vale 4
volte la Popolare di Lodi.

Mentre si attende l’esito delle due offerte, viene eletto un nuovo consiglio
d’amministrazione formato dai candidati della Lodi. Ora, siccome la Lodi
aveva molte meno azioni di ABN AMRO, si scopre il patto nascosto tra Fiorani
e quelli a cui aveva prestato i soldi e che avevano votato per i suoi
candidati: Ricucci, i Lonati, Coppola e Gnutti.

Ovviamente tutto questo è illegale, per cui si mette in mezzo la
magistratura, che, oltre ad indagare sui protagonisti, congelarne le azioni,
diffonde i testi delle telefonate tra gli indagati.

La storia finisce qui.

Due scalate parallele. I protagonisti sono più o meno gli stessi. Le
dinamiche (una società più piccola che ne compra una più grande) anche. La
difesa del principio d’italianità delle banche, che suona sempre strano
pronunciato dagli alfieri della globalizzazione, pure.

Solo i finali sono, per ora, diversi. La scalata su Antonveneta è bloccata
dalla magistratura. L’altra, quella sulla BNL, sta andando a buon fine, come
si diceva all’inizio, grazie all’interessamento dell’Unipol.

Aspettando di vedere come andrà a finire la Banca Popolare Italiana mi è
rimasta una curiosità.

Non capisco che cosa ci fa un’assicurazione legata alle coop rosse, nata per
fare le assicurazioni ai lavoratori (il nome significa UNIca POLizza), di
una banca che, tra le altre cose, è la seconda finanziatrice delle
esportazioni di armi dell’Italia (la prima, ma guarda tu il caso, è proprio
il Banco di Bilbao).

Se qualcuno incontra Fassino mi farebbe un favore a chiederglielo? Lui lo sa
sicuramente, ha addirittura telefonato a Giovanni Consorte, il presidente
dell’Unipol, per informarsi, e poi ha dichiarato ai giornali che era tutto a
posto.

Fricche

www.uenne.org