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ISLANDA - Un monito, un esempio

Publie le martedì 15 marzo 2011 par Open-Publishing
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Una nazione minuscola che ha avuto la forza di ribellarsi allo strapotere bancario. Una rivoluzione, che passa anche da un nuovo testo costituzionale, finalizzata a impedire che gli interessi del Paese vengano sacrificati a quelli delle oligarchie della finanza internazionale

Piccola e dimenticata, l’Islanda ci fa da monito. L’isola solitaria fra il Polo Nord e la Gran Bretagna, appena 300 mila anime, una piccola patria di pescatori, ha osato l’inosabile: ribellarsi alla plutocrazia globale.

Ecco la storia. Alla fine del 2008 la crisi finanziaria si abbatte come un ciclone sugli islandesi, che nell’ottobre decidono di nazionalizzare la banca più importante del paese, Landsbanki.

Seguono a ruota la Kaupthing e la Glitnir. I debiti degli istituti falliti sono in gran parte con la City di Londra e con l’Olanda. La moneta nazionale, la corona, è carta straccia e la Borsa arriva a un ribasso del 76%. Il governo conservatore di Geir H. Haarden chiede l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale, che approva un prestito di 2 miliardi e 100 milioni di dollari, integrato da altri 2 miliardi e mezzo di alcuni Paesi nordici. Le proteste popolari si susseguono in un crescendo che porta alle dimissioni del primo ministro nel gennaio 2009 e a elezioni anticipate nell’aprile successivo. Dalle urne esce vincitrice una coalizione di sinistra, che non riesce a frenare la caduta dell’economia. L’anno si chiude con una diminuzione del 7% del Pil.

Il nuovo esecutivo propone la restituzione dei debiti a Regno Unito e Olanda mediante il pagamento di 3 miliardi e mezzo di euro, somma che pagheranno tutte le famiglie islandesi mensilmente per i prossimi 15 anni al 5,5% di interesse. Nel gennaio 2010 il capo dello Stato, Ólafur Ragnar Grímsson, si rifiuta di ratificarla e dà soddisfazione al popolo che reclama un referendum sulla questione. Il risultato della consultazione che si tiene a marzo è schiacciante: il 93% dei votanti dice no. La ragione è semplice: perché dover pagare tutti gli effetti di una crisi di cui sono responsabili i banchieri, protetti e coccolati dall’Fmi e dal sistema finanziario che tiene sotto ricatto il paese? La rappresaglia non si fa attendere: l’Fmi congela immediatamente gli aiuti.

Solo a questo punto il governo di sinistra, coi forconi puntati davanti al parlamento, si decide al gran passo: denuncia e fa arrestare i bankers. L’Interpol emana un ordine internazionale di arresto contro l’ex-Presidente della Kaupthing, Sigurdur Einarsson.

In questo clima da resa dei conti, lo scorso novembre si riunisce un’assemblea costituente per scrivere una nuova Costituzione che rifondi il piccolo Stato islandese sottraendolo allo strapotere del denaro virtuale. Il criterio con cui essa viene eletta vuol dare il segnale di un rinnovamento reale, profondo: si scelgono 25 cittadini senza appartenenza politica tra i 522 che hanno presentato la loro candidatura, per la quale era necessario solo essere maggiorenni ed avere l’appoggio di trenta persone. La nuova magna charta sta per essere presentata proprio in questo periodo.

Nulla si è saputo da noi di questa Rivoluzione d’Islanda. Pacifica ma dura e determinata. A rileggerne i punti fondamentali, nel paragone con l’immobilismo conservatore che vige dalle nostre parti c’è di che farsi venire un brivido lungo la schiena: dimissioni in blocco di un governo, nazionalizzazione delle banche, referendum perché il popolo decida sulle decisioni economiche fondamentali, carcere per i responsabili della crisi, riscrittura della costituzione da parte dei cittadini. L’unica ombra che grava sul corso politico dell’isola è la richiesta di ingresso nell’Unione Europea. Perché voler buttare nel gelido mare del Nord tutto il magnifico lavoro fatto finora, esempio per gli uomini liberi d’Europa, per aderire a un superstato controllato da banchieri e manager delle multinazionali? Perché i fieri islandesi non provano a perseverare nella retta via, imitando i loro ovini e cavalli, lasciati liberi di in ampi pascoli senza recinti e senza cani da guardia?

Alessio Mannino

http://www.ilribelle.com/la-voce-del-ribelle/2011/3/11/islanda-un-monito-un-esempio-free.html

11.03.2011

Messaggi

  • Non cadiamo nell’inganno minimalista, la disfatta economica islandese non è soltanto la disfatta di un certo tipo di capitalismo, quello "nuovo" ,della finanza creativa, dei banchieri ladroni ma di tutto il capitalismo, in qualsiasi forma esso si sia presentato. I banchieri ladroni, non solo ci sono sempre stati da quando il capitalismo esiste, ma sono sempre stati uno strumento essenziale di questo sistema ,basato sulla legge del piu’ forte ,che vuol dire anche del piu’ furbo e disonestoQuello islandese è stato il primo cedimento,seguito a ruota da tutti gli altri che sono seguiti, in una incredibile successione Un’evento epocale che tuttora è ben lungi dall’aver raggiunto il culmine, dagli Usa ai Piigs,al Dubai ed ora al Magrheb ed al Giappone (altro "gioiellino"capitalista) che, anche prima di terremoto tsunami,radiazioni,aveva il rapporto debito/ pil al 220%!E’ una disfatta di un sistema intero, non di un certo tipo particolare,di un sistema che per sopravvivere nel suo stadio terminale ,aveva inventato la finanza creativa,gli insaccati, gli schemi di Ponzi adoprati a livello di fondi sovrani, nel tentativo disperato di sostenere l’economia. Quindi è proprio il contrario di quanto vogliono farci credere gli ultimi e disperati riformisti,la finanza creativa è stata appositamente creata come ultima spiaggia del capitalismo, posto di fronte alle sue contraddizioni, non solo con il consenso ma con il pieno appoggio ed impiego di ogni stato del mondo occidentale e non solo. Contrariamente a quando ci hanno sempre raccontato il capitalismo non produce e non produceva prima che apparentemente ricchezza,la verità è che si produceva debito, a spese del pianeta ,dilapidando le sue risorse e di un’altra parte del mondo,ora che l’economia è globale e che il terzo mondo è stato in parte completamente spolpato,in parte è diventato concorrenza ,neanche il solito strumento "classico" della guerra serviva al capitalismo per uscire dall sua ultima definita crisi per questo aveva debordato nel sistema di finanza creativa come se il denaro si potesse riprodurre per partenogensi.Quindi compagni non cadiamo in questo nuovo inganno, la situazione non è piu’ risolvivibile con sistemi riformisti, perchè dalla situazione adesso, non si puo’ uscire che con un altro sistema che non puo’ essere che antitetico al capitalismo.Alex