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Indiani d’America e Briganti meridionali
Publie le mercoledì 16 marzo 2011 par Open-Publishing7 commenti
Nel quadro delle celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia, che mi procurano un senso di fastidio e di insofferenza, ripropongo questo articolo che ho scritto tre anni fa pensando ad un parallelismo storico tra il genocidio dei Pellerossa e il massacro del Sud Italia.
Indiani d’America e Briganti meridionali
Non c’è dubbio che nel campo delle interpretazioni storiografiche è opportuno evitare atteggiamenti troppo faziosi, dogmatici o apologetici per adottare un approccio possibilmente problematico verso le questioni e i processi storici. Francamente questo spirito libero non c’è nel clima di esaltazione retorica dei 150 anni dell’unità d’Italia.
Con questo articolo so di andare controcorrente per tentare di recuperare la memoria di due esperienze storiche che sono state letteralmente cancellate dalla storiografia ufficiale. Mi riferisco al destino parallelo degli Indiani d’America e di coloro che sono definiti i “Pellerossa” del Sud Italia: i briganti e i contadini del Regno delle Due Sicilie.
Partiamo dai nativi americani. Dopo la scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristoforo Colombo nel 1492, cominciarono a giungere i primi coloni europei. All’epoca il continente nordamericano era popolato da circa un milione di Pellerossa raggruppati in 400 tribù. Quando i coloni bianchi penetrarono nelle sterminate praterie abitate dai Pellerossa, iniziarono una caccia spietata ai bisonti, il cui numero calò rapidamente causando un rischio di estinzione. In tal modo i cacciatori bianchi contribuirono allo sterminio dei nativi che non potevano vivere senza questi animali da cui ricavavano cibo, pellicce e altro ancora. Ma la strage degli Indiani fu opera soprattutto dell’esercito yankee che per espandersi all’interno del Nord America cacciò ingiustamente i nativi dalle loro terre compiendo veri e propri massacri senza risparmiare donne e bambini.
I Pellerossa furono annientati attraverso un sanguinoso genocidio. Oggi i Pellerossa non costituiscono più una nazione essendo stati espropriati non solo della terra che abitavano, ma anche della memoria e dell’identità culturale. Infatti, una parte di essi si è pienamente integrata nella società bianca, mentre una parte minoritaria vive reclusa in alcune centinaia di riserve sparse nel territorio statunitense e in quello canadese.
Un destino simile, benché in momenti e con dinamiche differenti, associa i Pellerossa e i Meridionali d’Italia. Questi furono chiamati “Briganti”, furono trucidati, torturati, incarcerati, umiliati. Si contarono 266mila morti e quasi 500mila condannati. Uomini, donne, bambini, anziani subirono la stessa sorte. Processi manovrati o assenti, esecuzioni sommarie, confische dei beni. Ma noi Meridionali eravamo cittadini di uno Stato assai ricco. Il piccolo regno dei Savoia era fortemente indebitato con Francia e Inghilterra, per cui doveva rimpinguare le proprie finanze.
Il governo sabaudo, guidato dallo scaltro e cinico Camillo Benso conte di Cavour, progettò la più grande rapina della storia moderna: cominciò a denigrare il popolo Meridionale per poi asservirlo invadendone il territorio: il Regno delle Due Sicilie, uno Stato civile e pacifico. Nessuno giunse in nostro soccorso. Solo alcuni fedeli mercenari Svizzeri rimasero a combattere sugli spalti di Gaeta fino alla capitolazione. I vincitori furono spietati. Imposero tasse elevatissime, rastrellarono gli uomini per il servizio di leva obbligatoria (che era già facoltativo nel Regno delle Due Sicilie), si comportarono vigliaccamente verso la popolazione e verso il regolare ma disciolto esercito borbonico, per cui molti insorsero.
Ebbe così inizio la rivolta dei Meridionali. Le leggi repressive furono simili a quelle emanate contro i Pellerossa. Le bande di briganti che lottavano per la loro terra avevano un pizzico di dignità e ideali, combattevano un nemico invasore grazie anche al sostegno delle masse contadine, tradite e ingannate dalle false promesse concesse da Garibaldi.
Contrariamente ad altre interpretazioni storiche non intendo equiparare il Brigantaggio meridionale alla Resistenza antifascista del 1943-45. Anzitutto per la semplice ragione che nel primo caso si è trattato di una vile aggressione militare, di una sanguinosa guerra di conquista coloniale che ha avuto una durata molto più lunga della guerra di liberazione condotta dai partigiani: un intero decennio che va dal 1860 al 1870.
La repressione contro il Brigantaggio fu una vera e propria guerra civile che ha provocato eccidi spaventosi in cui furono massacrati e trucidati centinaia di migliaia di contadini meridionali, persino donne, anziani e bambini, insomma un vero genocidio perpetrato a scapito delle popolazioni del Sud Italia. Una guerra conclusa tragicamente e che ha prodotto drammatiche conseguenza, a cominciare dal fenomeno dell’emigrazione di massa dei meridionali, in pratica un esodo biblico paragonabile alla diaspora del popolo ebraico. Infatti, i meridionali sono sparsi nel mondo ad ogni latitudine, hanno messo radici ovunque facendo la fortuna di intere nazioni come l’Argentina, il Venezuela, l’Uruguay, gli Stati Uniti d’America, la Svizzera, il Belgio, la Germania, l’Australia, ecc.
Ripeto. Se si vuole comparare la triste vicenda del Brigantaggio e la brutale repressione subita dal popolo meridionale con altre esperienze storiche, credo che l’accostamento più giusto sia appunto quello con i Pellerossa e con le guerre indiane combattute nello stesso periodo, ossia verso la fine del XIX secolo. Guerre che hanno provocato una strage altrettanto raccapricciante, quella dei nativi americani. Un genocidio completamente ignorato e dimenticato, così come quello a danno del popolo del nostro Meridione.
In qualche modo condivido il giudizio rispetto al carattere retrivo e antiprogressista delle ragioni politiche che ispirarono le lotte dei briganti meridionali. In politica ciò che è vecchio è quasi sempre reazionario, tuttavia inviterei ad approfondire meglio i motivi sociali e le spinte ideali che animarono la resistenza contro i Piemontesi invasori.
Non voglio elencare i numerosi primati detenuti dal Regno delle Due Sicilie in vari settori dell’economia, dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione, nel campo sociale e così via, né intendo esternare sentimenti di nostalgia rispetto ad una società arcaica, dispotica e aristocratico-feudale, cioè rispetto ad un passato che fu di barbarie e oscurantismo, ingiustizia e miseria, sfruttamento e asservimento delle plebi rurali.
Ma un dato è innegabile: la monarchia sabauda era molto più arretrata, rozza ed ignorante, molto meno moderna e illuminata di quella borbonica. Il Regno delle Due Sicilie era uno Stato più ricco e avanzato del Regno sabaudo, tant’è vero che costituiva un boccone invitante per le principali potenze europee del tempo, Inghilterra e Francia in testa. Questo è un argomento talmente vasto e complesso da esigere un approfondimento adeguato.
Infine, una breve chiosa a riguardo delle presunte spinte progressiste che sarebbero incarnate nei processi di unificazione degli Stati nazionali nel XIX secolo e dello Stato europeo oggi. Non mi pare che tali processi “unitari” abbiano garantito un autentico progresso sociale, morale e civile, mentre hanno favorito uno sviluppo prettamente economico.
Non a caso l’unificazione dei mercati e dei capitali, prima a livello nazionale ed ora a livello europeo, o globale, non coincide con l’unificazione e l’integrazione dei popoli e delle culture, locali, regionali o nazionali. Ovviamente le forze autenticamente democratiche, progressiste e rivoluzionarie devono puntare al secondo traguardo.
Lucio Garofalo
Messaggi
1. Indiani d’America e Briganti meridionali, 17 marzo 2011, 06:51
"Ma un dato è innegabile: la monarchia sabauda era molto più arretrata, rozza ed ignorante, molto meno moderna e illuminata di quella borbonica."
Quante fesserie... lo stato borbonico aveva capacità militari pari a zero perché i suoi alti comandi erano stati acquistati con le mazzette piemontesi. Bastò una spintarella e il regno delle Due Sicilie cadde a scatafascio, marcio com’era. Uno stato che non ha forze armate affidabili è una finzione di stato.
Da Salvemini, a Gramsci, a Romeo le contraddizioni del Risorgimento e le incongruenze rispetto alla retorica imperante sono state da subito messe in evidenza, ma questa repellente ripresa di luoghi comuni dai pamphlet borbonici dell’epoca è francamente grottesca. E’ persino peggio della vulgata ufficiale. Che montagna di cazzate.
Franz
1. Indiani d’America e Briganti meridionali, 17 marzo 2011, 10:10, di Lucio
Appunto. Tu confermi che il vero volto della cosiddetta "unità d’Italia" fu quello della massoneria franco-piemontese e delle banche britanniche che finanziarono l’"epica impresa garibaldina". Corrompendo gli alti ammiragli della marina borbonica e i comandi militari dell’esercito.
Io non sono un filo-borbonico, o un neo-borbonico, ma ciò non mi impedisce di riconoscere una serie di differenze sostanziali tra le due monarchie.
Tu hai definito (usando molta finezza) una "montagna di cazzate" le mie considerazioni, ma non hai compreso una "beata minghia" (ti restituisco la finezza) in quanto non hai colto lo spirito con cui ho voluto scrivere un articolo come questo in un frangente che a me sta procurando letteralmente la nausea. Mi riferisco al clima di finta esaltazione "patriottica", così come mi infastidisce non poco l’atteggiamento di chi si avvicina al problema dell’unità d’Italia con uno spirito apologetico rispetto al cosiddetto "Risorgimento" e, nel contempo, con un pregiudizio mentale nei confronti dei “vinti”, cioè con la convinzione (assolutamente errata) che il Sud fosse arretrato e sottosviluppato economicamente e socialmente prima della cosiddetta "unità", ovvero all’epoca dei Borbone. L’idea per cui il Sud fosse una realtà da colonizzare militarmente e politicamente, oltre che culturalmente, come purtroppo è accaduto con l’annessione del Regno delle Due Sicilie da parte della monarchia sabauda.
Ho provato a compiere un parallelismo storico tra due esperienze che, seppure in momenti, forme e con dinamiche differenti, hanno in comune soprattutto il carattere sanguinario di un processo di colonizzazione che la storiografia ufficiale ha tramandato nei termini epici di una "epopea": non a caso l’epopea western assomiglia all’epopea risorgimentale. Preciso che non ho voluto compiere nessuna esaltazione acritica del brigantaggio e della rivolta sociale dei meridionali, che per molti versi è paragonabile alla resistenza dei pellerossa contro l’occupazione militare e la colonizzazione dei bianchi.
I luoghi comuni e le celebrazioni retoriche stanno altrove.
2. Indiani d’America e Briganti meridionali, 17 marzo 2011, 11:16
"Appunto. Tu confermi che il vero volto della cosiddetta "unità d’Italia" fu quello della massoneria franco-piemontese e delle banche britanniche che finanziarono l’"epica impresa garibaldina". Corrompendo gli alti ammiragli della marina borbonica e i comandi militari dell’esercito."
"Appunto" un par di ciufoli. Da dove le hai tirate fuori queste perle sulla "massoneria franco-piemontese e delle banche britanniche"? Aspetta fammi indovinare, devono essere articoli che hai letto su Come Don Chisciotte, vero? Sono sicuro che è quella la fonte di saggezza storica a cui ti abbeveri.
Le mazzette agli ufficiali borbonici venivano direttamente dalle casse dello stato sabaudo, e ci sono fior di documenti per questo. Era politica dello stato. E comunque non conta chi paga, ma il fatto che lo stato maggiore borbonico era pronto a vendersi al miglior offerente.
Nei fatti di guerra la corruzione decide gli eventi solo quando una delle parti in causa è corrotta e decadente. Nessuna mazzetta per quanto grossa poteva comprare gli ufficiali prussiani, francesi, inglesi, e persino i piemontesi, al punto di determinare le sorti di un conflitto. Funzionò solo con i borbonici, perché erano espressione di uno stato putrescente.
I funzionari borbonici sono gli stessi che forniranno in seguito, nel parlamento italiano, i quadri parlamentari del blocco agrario che, alleato agli industriali del nord, spolpò il meridione. Corrotti e inetti prima, traditori della loro stessa gente meridionale poi. Altro che panegirici del Regno delle Due Sicilie.
Franz
3. Indiani d’America e Briganti meridionali, 17 marzo 2011, 12:29, di Mirko P.
L’intervento della massoneria nelle vicende della conquista italiana da parte del regno del Piemonte sono storia.
Non voglio esaltare i Borbone ma è un dato storico che il sud sia stato conquistato e colonizzato. E’ un dato storico che quando i contadini chiesero quello che gli era stato promesso dai garibaldini (spartizione della terra) furono sterminati. E’ storia che l’unità d’Italia fu costruita sul sangue di popolazioni inermi e su plebisciti truccati.
La cosa vergognosa di questi giorni è l’esaltazione dei valori della patria e dell’eroe. Un penoso Benigni che esalta le virtù eroiche del morire per la patria. Una retorica che in questi termini non si vedeva dal ventennio fascista.
4. Indiani d’America e Briganti meridionali, 17 marzo 2011, 12:41, di Lucio
Punto primo: forse tu mi confondi con qualcun altro. Anche se conosco e frequento il sito Come Don Chisciotte, non significa che quel blog sia per me una "fonte" di conoscenza assoluta ed esclusiva a cui attingere. Chiunque ragioni con la propria testa può leggere in modo critico le informazioni e le tesi espresse e sostenute da quel sito come da qualsiasi altro strumento di informazione. Il fatto di aver citato il ruolo della "massoneria franco-piemontese" non significa che abbia preso spunto dalle posizioni di Come Don Chisciotte. A quanto pare, tu ragioni per facili schemi precostituiti e frasi fatte.
In ogni caso, al di là di chia abbia pagato, come tu stesso hai notato, non conta chi paga, ma il fatto in sé, cioé che l’opera di annessione e conquista del Regno delle Due Sicile sia avvenuta anche attraverso il ricorso alla corruzione dello "stato maggiore borbonico". Non c’è dubbio su questo punto.
Per quanto riguarda l’accusa che alla fine rivolgi nei miei confronti, sono costretto a ribadire un’altra volta il concetto. E’ evidente che tu non leggi ciò che poi pretendi di criticare. Infatti, non hai letto alcuni brani del mio articolo, ma hai estrapolato comodamente solo alcune frasi che più ti conviene.
Perciò, ti riporto questo passaggio estratto dal mia articolo: "condivido il giudizio rispetto al carattere retrivo e antiprogressista delle ragioni politiche che ispirarono le lotte dei briganti meridionali. In politica ciò che è vecchio è quasi sempre reazionario, tuttavia inviterei ad approfondire meglio i motivi sociali e le spinte ideali che animarono la resistenza contro i Piemontesi invasori." Oppure questa frase: "non intendo esternare sentimenti di nostalgia rispetto ad una società arcaica, dispotica e aristocratico-feudale, cioè rispetto ad un passato che fu di barbarie e oscurantismo, ingiustizia e miseria, sfruttamento e asservimento delle plebi rurali."
In altri termini, ribadisco e chiarisco ulteriormente alcuni concetti essenziali:
1) Io non provo alcuna nostalgia sentimentale per il passato, specie per un passato dispotico e feudale, segnato dalla barbarie, dall’oscurantismo, dallo sfruttamento e dall’oppressione delle masse contadine. Non ho mai nascosto, anzi ho sempre ammesso la natura reazionaria della causa borbonica, pur riconoscendo una certa dose di legittimità nelle rivendicazioni sociali rispetto alle violenze, ai soprusi e ai massacri commessi dalle truppe piemontesi. Pur riconoscendo il carattere antiprogressista e sanfedista del brigantaggio meridionale, ciò non mi può impedire di indagare meglio le ragioni che spinsero i contadini meridionali a resistere contro gli invasori sabaudi.
2) La rilettura storiografica del Risorgimento è un serio tentativo di controinformazione storica, da non confondere con il revisionismo, e comporta una fatica intellettuale notevole e un impegno critico costante, come ogni battaglia di controinformazione. Anzitutto, occorre comprendere che i popoli oppressi non si affrancano mai grazie all’intervento "provvidenziale" compiuto da "eroici liberatori" esterni, che si tratti di Garibaldi, dei Savoia o degli Americani (vedi il caso Iraq). Al contrario, i popoli oppressi possono conquistare un livello superiore di progresso e di emancipazione solo attraverso la lotta rivoluzionaria, altrimenti restano in uno stato di sottomissione.
Io sono comunista e non credo negli stati nazionali, ma nell’internazionalismo. Io non propugno affatto uno "stato meridionale indipendente". Solo un pazzo o uno stolto può immaginare una simile prospettiva. Preferisco ipotizzare un’altra situazione, cioè una prospettiva transnazionale o, come si diceva una volta, internazionalista, vale a dire l’idea dell’abbandono e del superamento definitivo degli stati-nazione, nella misura in cui lo stesso capitalismo è da tempo proiettato in una dimensione transnazionale.
Sono convinto che il capitalismo stia impazzendo. Basta osservare il terremoto economico e sociale che nelle rivolte del Maghreb vede solo l’inizio. Ormai i sommovimenti tellurici e sociali del pianeta ci costringono ad assumere posizioni nette e coraggiose rispetto ad eventi epocali che stanno sconvolgendo soprattutto la fisionomia economica e politica del capitalismo.
In quanto comunista internazionalista, il patriottismo non mi interessa. So che il nazionalismo appartiene all’epopea della borghesia ed ha già mietuto milioni di morti durante la prima e la seconda guerra mondiale. L’unico patriottismo che dobbiamo riconoscere e sostenere è l’internazionalismo e la lotta rivoluzionaria delle masse proletarie, sapendo che il proletariato non ha patria.
5. Indiani d’America e Briganti meridionali, 17 marzo 2011, 13:17
Io non vedo come tu faccia a conciliare frasi come:
“"Ma un dato è innegabile: la monarchia sabauda era molto più arretrata, rozza ed ignorante, molto meno moderna e illuminata di quella borbonica."”
E:
“Io non provo alcuna nostalgia sentimentale per il passato, specie per un passato dispotico e feudale, segnato dalla barbarie, dall’oscurantismo, dallo sfruttamento e dall’oppressione delle masse contadine. Non ho mai nascosto, anzi ho sempre ammesso la natura reazionaria della causa borbonica, pur riconoscendo una certa dose di legittimità nelle rivendicazioni sociali rispetto alle violenze, ai soprusi e ai massacri commessi dalle truppe piemontesi.”
A parte il fatto che il dato della prima frase è senza dubbio falso, dato che a partire già ai tempi della seconda guerra d’Indipendenza il Piemonte era ormai una dinamica società borghese-mercantile, di respiro europeo e ormai almeno al livello della Lombardia. Oltre ad essere una monarchia costituzionale, cosa che il Regno delle Due Sicilie non era. Se era “molto più arretrata, rozza ed ignorante, molto meno moderna e illuminata di quella borbonica”, come si concilia questo pensiero con la natura “dispotica e feudale,segnata dalla barbarie, dall’oscurantismo” del regno delle Due Sicilie?
E inutile che continui a sfondare le porte aperte con la questione della sollevazione contadina post-unitaria. La discussione è sulla natura autentica dello stato borbonico prima della conquista, e sul vittimismo borbonico per la sconfitta subita per mano di un regno come quello sabaudo molto più abile e determinato sul piano diplomatico e militare.
Franz
6. Indiani d’America e Briganti meridionali, 17 marzo 2011, 17:59
http://www.youtube.com/watch?v=WE-h12f-Mfs