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L’Iraq in casa
di ROSSANA ROSSANDA
Non è difficile capire l’origine delle tensioni nella coalizione di centro sinistra unito: i soli a impegnarvisi seriamente sono da una parte Prodi e la minoranza della Margherita e dall’altra Bertinotti e il drappello della sinistra radicale. In mezzo c’è una gran voglia di intavolare un negoziato con quella parte della Casa delle libertà che sente venire la crisi di Berlusconi, assiste a lotte micidiali in An, non ne può più di Calderoli. E nel medesimo tempo gli stessi amerebbero liberarsi da Rifondazione comunista e le sinistre non uliviste, non senza incastrare definitivamente la Cgil. Insomma c’è una spinta verso il centro, che ha le radici nell’ex bacino democristiano e socialista, ma alla quale anche la maggioranza dei Ds guarda con interesse, come lo Sdi. Dall’altra parte si sporgono in molti, e più ancora di Follini, il presidente della Camera Casini che come Marcello Pera, esce dal suo ruolo istituzionale come non era mai accaduto nella Repubblica. Forse non è uno scenario a breve termine ma a breve termine mette le due coalizioni in fibrillazione. Alle spalle di questi tentativi c’è del resto una storia della Dc e del Psi che la catastrofe degli anni 80 e dei primi90 non poteva cancellare d’un colpo. Il paradosso è che un passaggio della legge elettorale al proporzionale alla tedesca, di gran lunga il metodo più democratico, amplificherebbe le manovre rimaste finora sotto traccia. Altro che transizione: l’Italia è in piena crisi di fisionomia politica. Della quale potrebbe profittare ancora il blocco di interessi che si è coagulato attorno a Berlusconi, i cui colpi di coda restano temibili: si veda la levata di scudi sulla proposta di votare il 9 aprile. Il Cavaliere terrà e farà danni fino all’ultimo.
Di queste velleità di dialogo fra i poli il punto più torbido è la posizione da prendere nei confronti dell’amministrazione Bush. Anche qui gran parte dell’opposizione, elogiata dalla maggioranza e dalla grande stampa, ha voglia di ritrovare qualche accordo con gli Stati uniti nella forma - enunciata per primo credo da Fassino - di intonare «scordiamoci il passato e gestiamo assieme il presente». E’ già un miracolo che la coalizione abbia deciso di votare unita contro il rinnovo della missione militare italiana facendo indietreggiare la minaccia di mozioni diverse alla presentazione di documenti politici, che sotto il profilo parlamentare nulla contano.
Ha avuto ragione Bertinotti di tagliar corto, e non solo per decenza e coerenza con le scelte passate. Pochi errori degli Usa sono stati gravi come l’attacco all’Iraq. L’Iraq è preda già ora d’una guerra civile strisciante, anzi forse di due che solo in parte si incrociano: quella fra un governo avallato dagli occupanti e le resistenze e i terrorismi, e la vera e propria guerra di religione che si sta delineando fra minoranze sciite e la grande maggioranza sunnita del Medio oriente. Escludere i sunniti dalla formazione di un governo iracheno, cosa che avrebbe implicato un arretramento dell’occupazione militare, è stata una catastrofe che non sembra rimediabile. Malgrado lo scontro sanguinoso che li ha opposti, per otto anni e per conto terzi, i governi iracheno e iraniano hanno un interesse comune, consolidare un blocco sciita nella regione. Unitamente alla crescita esponenziale del terrorismo, ormai indipendente da Al Qaeda ma che ad Al Qaeda giova, si tratta di un’altra madornale incapacità di previsione dell’amministrazione degli Usa e di coloro che le reggono la coda. Sono errori di strategia che non si rimediano in fretta. Il più prestigioso centro di studi britannico, il Royal Institute for International Affair (non sospetto di estremismo) li stigmatizza con un vigore dalle nostre parti impensabile.
Disimpegnarci subito da quel fronte è la sola scelta ragionevolmente realistica. Non siamo alla fine d’una guerra sciagurata, siamo nel bel mezzo d’un incendio del quale anche l’Europa già porta ferite brucianti. Gli Stati uniti preferirebbero passare ad altri la patata bollente, tanto più che il reclutamento di volontari per l’Iraq si è ridotto a zero; e comunque hanno deciso di disincagliare parte delle proprie forze. Continuare a tenervi i nostri reparti, già seriamente provati è prova di un irresponsabile servaggio.




