Home > Lo schifo di Bush all’ONU
da aprileonline-articolo di Stefano Rizzo
Più Nazioni, meno Unite
La storia diplomatica è piena di occasioni mancate, di vertici falliti, di speranze risposte nel cassetto e di delusioni nascoste con un sorriso e una stretta di mano. Così è stato anche per questa sessione straordinaria dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel sessantesimo anniversario dalla sua fondazione.
Per fare sorridere (ai fini della foto ufficiale) i 171 capi di stato e di governo che vi hanno partecipato è stato necessario issare, dietro al fotografo, un cartello con la scritta “smile!” in sei lingue e l’immagine di un volto sorridente.
Le ragioni del fallimento sono naturalmente tante e imputabili agli interessi e egoismi particolari dei singoli stati membri.
Le Nazioni Unite, dopotutto, per quanto nate nel lontano 1945 intorno a nobili proclamazioni ideali di pace e di giustizia sociale, non sono un’entità sovranazionale, un supergoverno del mondo, ma una semplice organizzazione internazionale con poteri assai limitati. La sua storia è costellata di fallimenti, e di qualche successo, sia nel mantenimento della pace, che nella promozione della giustizia sociale e del rispetto dei diritti umani.
Ma il fallimento di questi giorni a New York ha cause particolari e nasce dalla storia recente. La responsabilità maggiore ricade sul paese ospitante la sede dell’organizzazione e suo maggior contribuente finanziario (per il 22% del totale): gli Stati Uniti (ma se non pagano mai le quote?!).
Il mondo aveva assistito nel corso di tutto il 2002 e inizio 2003 alle manifestazioni di insofferenza, al limite dell’offesa personale, di vari esponenti dell’amministrazione Bush nei confronti del segretario generale dell’ONU Kofi Annan e di Hans Blix, il capo degli ispettori cui il Consiglio di sicurezza aveva attribuito il compito di verificare l’esistenza di armi di distruzione di massa in Iraq. Non le avevano trovate e Blix lo aveva detto con chiarezza, ma questo era inaccettabile per un paese che aveva già deciso di fare la guerra e aveva soltanto bisogno di un pretesto.
Così, oltre che per verificare possibili violazioni e irregolarità, fu lanciata l’offensiva denominata “scandalo oil for food”, con riferimento al progetto, gestito dall’ONU, di aiuti alimentari e medicinali all’Iraq sottoposto ad embargo, in cambio della vendita limitata di petrolio. La presidenza della commissione di inchiesta “indipendente” fu affidata ad un ex presidente della Federal Reserve, Paul Volcker. La stampa legata ai repubblicani colse ogni occasione per attaccare il segretario generale Annan per fargli capire che, se voleva rimanere al suo posto e eventualmente ottenere il rinnovo del suo mandato, avrebbe dovuto mostrarsi più sollecito degli interessi del paese che lo ospitava e lo finanziava.
Nel dicembre del 2004, secondo una indiscrezione del New York Times, ci fu una riunione segreta in un albergo di New York tra rappresentanti dell’amministrazione Bush e Annan, una riunione condotta sotto la minaccia della commissione Volcker.
Le cose non dovettero andare troppo bene, la controparte americana non dovette sentirsi rassicurata, perché fu allora che gli Stati Uniti decisero di andare allo scontro finale con Annan e l’intera organizzazione delle Nazioni Unite.
Il primo passo fu il licenziamento dell’ambasciatore in carica, il repubblicano moderato John Danforth, e la nomina di John Bolton, un “uomo di mano” dell’amministrazione, membro del gruppo interno degli amici della famiglia Bush, noto in particolare, oltre che per i suoi servigi nel falsificare le prove dell’esistenza di armi di distruzione di massa, per la sua ostilità nei confronti delle Nazioni Unite.
Tra le sue dichiarazioni rimaste memorabili c’è questa: “se dal palazzo delle Nazioni Unite si togliessero dieci piani non ci sarebbe una grande differenza: in realtà le Nazioni Unite non esistono.”
L’estremismo del neonominato ambasciatore provocò la radicale opposizione da parte dei democratici (ricordiamo che nel sistema costituzionale americano la nomina di un ambasciatore deve essere confermata dal Senato) e anche di alcuni repubblicani. Ne nacque una disputa sulla consegna di carte riservate in possesso della Casa bianca, cosicché a fine luglio ancora la nomina di Bolton non era stata confermata.
Ai primi di agosto Bush, con una furbizia procedurale al limite della legalità e con il pretesto che il parlamento era in vacanza, rese la nomina immediatamente operativa. I tempi stringevano, la sessione di settembre si avvicinava e bisognava agire rapidamente. E così fece Bolton.
Come prima cosa bloccò la bozza di documento finale, in corso di elaborazione da oltre un anno attraverso gruppi di lavoro formati da seri esperti internazionali sotto la direzione del gabonese Jean Ping. Bolton presentò centinaia di emendamenti e pretese la ridiscussione dell’intero documento, cui pure la delegazione americana aveva dato il suo contributo.
Di fronte all’impossibilità di arrivare ad un accordo, il documento è stato ridotto a poche pagine e invece di elencare specifici progetti e obbiettivi si limita ad enunciare o riconfermare principi generali già contenuti in precedenti documenti. Questo è il testo annacquato che sarà firmato oggi dai capi di stato e di governo.
Intanto, con un tempismo che in Italia sarebbe stato sospetto, la commissione Volcker, a pochi giorni dall’inizio dell’assemblea, ha presentato il suo rapporto finale (di cui erano state date alla stampa per mesi anticipazioni in un martellamento continuo) che, pur senza imputare ad Annan alcun reato specifico, lo accusa di non avere sufficientemente vigilato affinché altri non ne commettessero. Quale che sia la verità della questione, l’operazione di delegittimazione ha funzionato e Kofi Annan ha dovuto mandare giù il boccone amaro di vedere fallire sostanzialmente la riforma delle Nazioni Unite cui aveva sperato di legare il suo nome.
In cosa consiste il fallimento? L’elenco è semplice:
1) la tanto auspicata riforma del Consiglio di sicurezza è rinviata a dicembre e non se ne farà nulla, dal momento che gli Stati Uniti sono interessati a mantenere lo status quo; per cui né le proposte dei “quattro” (Germania, Brasile, Giappone, India) né quella alternativa portata avanti da Italia e altri paesi passeranno;
2) la riforma organizzativa, pure necessaria, della macchina amministrativa dell’ONU non si farà, almeno finché ci sarà questo segretario generale;
3) forse verrà riformata la commissione per i diritti umani, ma con prudenza, perché se è vero che è uno scandalo che il Sudan o la Libia ne abbiano fatto parte, oggi gli Stati Uniti non vogliono correre il rischio di essere loro stessi messi sotto accusa per il loro comportamento a Guantanamo o ad Abu Ghraib;
4) il tanto auspicato rilancio degli Obiettivi di sviluppo per il Millennio, da attuare entro il 2015 e che vede quasi tutti i paesi in forte ritardo, non ci sarà.
Bolton aveva chiesto la cancellazione di tutti i punti specifici e voleva che il documento si limitasse all’enunciazione di vaghi principi generali. Ma poi ci ha ripensato. Era successo, nel frattempo, che l’uragano Katrina aveva distrutto New Orleans e per la prima volta nella storia gli Stati Uniti da donatori erano diventati percettori di aiuti: pertanto una posizione più “compassionevole” diventava opportuna.
Così nel suo discorso di mercoledì Bush ha ringraziato tutti i paesi che erano venuti in soccorso degli Stati Uniti e ha riconfermato l’impegno del suo governo sugli otto obbiettivi del Millennio. Ma naturalmente anche lui è rimasto nel vago.
Come nel vago è rimasto sui tempi in cui gli Stati Uniti intendono raggiungere gli obbiettivi del Monterrey Consensus e portare allo 0,70 del PIL i contributi allo sviluppo dei paesi poveri (attualmente gli Stati Uniti sono penultimi con il 0,16 del PIL, ultima è l’Italia).
E, naturalmente, è rimasto nel vago anche sul Doha Round, l’accordo che nel 2002 stabilì l’abolizione graduale delle sovvenz ioni all’agricoltura da parte dei paesi ricchi, che tanto danneggiano le economie agricole dei paesi in via di sviluppo. Con Katrina che ha allagato i campi, gli agricoltori americani al contrario reclamano aiuti e non la loro abolizione!
Se, al di là dei discorsi ufficiali e delle (forse) buone intenzioni, si vuole sapere quale sarà il futuro delle Nazioni Unite, basta semplicemente leggere quanto alla vigilia dell’assemblea generale ha detto Newt Gingrich, già presidente della camera bassa e autorevole esponente dei repubblicani più conservatori (oltre che grande estimatore di Bolton):
“L’unico metro per misurare qualunque programma di riforma delle Nazioni Unite è se esso favorisce la sicurezza degli Stati Uniti”.
E perché siano chiare le intenzioni del governo americano, conclude:
“se le riforme non saranno attuate tempestivamente penso che sia inevitabile che il Congresso approvi delle limitazioni all’esborso dei soldi dei contribuenti per le attività delle Nazioni Unite”; in fine: “dovremmo essere pronti ad esplorare altre strade di azione se le l’ONU non riesce a riformarsi.”
Il messaggio è chiaro ed è per tutti: fate come diciamo noi, altrimenti vi tagliamo i fondi e faremo per conto nostro. Dobbiamo essere grati a Newt Gingrich e John Bolton per questa non equivoca affermazione dell’unilateralismo.
[Stefano Rizzo]




