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Ma il pericolo non aspetta

Publie le domenica 17 luglio 2005 par Open-Publishing

Ma il pericolo
non aspetta
di MASSIMO GIANNINI

"IL TERRORISMO bussa alle porte dell’Italia", aveva detto Giuseppe Pisanu martedì scorso, illustrando al Parlamento il pacchetto di misure urgenti sulla sicurezza predisposte dal Viminale dopo l’attentato di Londra. "In Italia ci sono cellule di Al Qaeda pronte a colpire", ha ribadito il direttore del Sismi Niccolò Pollari, nella sua audizione al Copaco dell’altro ieri. In questo clima di allarme crescente, al culmine di quella "globalizzazione del terrore" che ormai attraversa tutti i Paesi occidentali, Italia inclusa, il governo ha fatto la scelta più grave, insensata e irresponsabile che si potesse immaginare. Invece di approvare in fretta quei provvedimenti (efficaci o troppo blandi che fossero, il punto non è questo) ha rinviato tutto alla prossima settimana.

Il solito, vergognoso ricatto della Lega ha pesato più di ogni altra cosa. Più dei morti della capitale inglese. Più delle inquietanti informative dell’Intelligence. E dunque, alla fine, più della sicurezza dei cittadini, colpevolmente sacrificata in nome della "ragion politica", o della "logica di coalizione".

"C’è bisogno di unanimità", ha spiegato Roberto Castelli, ministro della Giustizia padano che si è incaricato di far pesare il veto leghista in Consiglio dei ministri. "Martedì faremo un vertice di maggioranza, e delle misure si occuperanno quattro saggi della Cdl". Questa la spiegazione, stupefacente, dell’ingegnere Guardasigilli. Come se la posta in gioco non fosse, stavolta, tragicamente elevata: cioè la vita delle persone. Come se in ballo non ci fossero uomini-bomba che si fanno esplodere su un autobus, o cellule capaci di usare bombe chimiche tra la popolazione civile. Ma routinarie e banalissime beghe da Montecitorio, come le nomine alla Rai o le riforme istituzionali, da scrivere bevendo un po’ di grappa in una qualsiasi baita di Lorenzago.

Cavalcando in senso contrario a quella dei terroristi la "comunicazione della paura", la Lega conferma la sua natura primitiva, incosciente e populista. Anche in un frangente così insidioso per i destini dell’Occidente e così pericoloso per l’ordine pubblico dell’Italia. Chiede tutto: le leggi eccezionali e il ministero contro il terrorismo, la rinuncia all’accordo di Schengen e la dichiarazione dello stato di guerra. E in questo modo non produce niente.

Il vero dramma è che Berlusconi - ancora una volta, ma stavolta con moventi odiosi e con effetti intollerabili - cede al ricatto. E fornisce spiegazioni che, se non fossero tragiche data la circostanza, sarebbero ridicole. Una settimana fa aveva dichiarato che "anche l’Italia è nel mirino dei terroristi". Ora spiega che "non c’è una particolare emergenza, non c’è un pericolo incombente". Domenica scorsa aveva preannunciato la mobilitazione del governo, proprio sul terreno della sicurezza. Ora dice che "sulla sicurezza non si può fare molto di più", e che comunque, testualmente, "c’è sempre un lasso di tempo tra un attentato e l’altro". Parole agghiaccianti. Contraddizioni inaccettabili, che nascondono solo la malafede e l’impotenza di chi non sa decidere. Di chi, per ripararsi nella politica dell’immobilità, rifiuta ormai sistematicamente anche l’etica della responsabilità. E a niente, davvero a niente serve che lo stesso premier, per compensare l’ennesimo smacco subito dal partito di Bossi, cerchi una rivincita tirando fuori a freddo (e con ritardo grottesco rispetto all’accaduto) una nota di solidarietà con il presidente della Repubblica, per gli attacchi che la Lega ha riservato a Ciampi nel suo discorso all’Europarlamento di una settimana fa. È una toppa strumentale e indegna. Ed è addirittura peggiore del buco che vorrebbe coprire.

Si consuma così quello che mercoledì scorso, su queste colonne, Giuseppe D’Avanzo aveva profeticamente definito "il dramma di Pisanu". Ministro solo. Dato in pasto alle fameliche camicie verdi dal suo stesso presidente del Consiglio, se è vero che ieri il responsabile del Viminale era sul punto di dimettersi. Costretto a cercare una sponda più negli oppositori di ieri (quegli "ex comunisti" che negli anni del terrorismo rosso e del rapimento Moro seppero garantire al Paese l’unità nazionale) che non negli alleati di oggi (quegli ex democristiani confluiti dentro Forza Italia, inerti al cospetto delle spallate anti-sistema della Lega e incapaci di esprimere anche solo un briciolo di quel senso dello Stato che fu proprio della vecchia Dc). Ma rischia di consumarsi, così, anche il dramma di un Paese guidato da un non-governo di pavidi e di opportunisti, che ormai giocano non solo sulla tolda di una nave che affonda, ma anche (e addirittura) sulla pelle dei cittadini.

Il terrorismo bussa alle porte dell’Italia. Ma nella Casa delle Libertà nessuno può sentirlo. Gli "inquilini" sono troppo impegnati a litigare. A questo punto, dopo aver detto "siamo tutti americani" l’11 settembre 2001, "siamo tutti madrileni" l’11 marzo 2005, "siamo tutti inglesi" il 7 luglio 2005, ci resta solo una speranza: che non arrivi mai quel giorno in cui, con la morte nel cuore, ci toccherà anche dire "siamo tutti italiani".

http://www.repubblica.it/2005/c/sezioni/politica/terroallarmeitalia/perico/perico.html