Home > Olivia Zemor: "Israele mente!"
UNA CAMPAGNA DI PROTESTA IN FRANCIA
Olivia Zemor, cofondatrice della CAPJPO (Coordinamento degli appelli per una pace giusta in Medio Oriente), diventata CAPJPO-Euro-Palestina, dopo la presentazione di una lista di candidati alle elezioni europee, traccia un bilancio delle azioni compiute in Francia per il rispetto dei Diritti dell’Uomo in Palestina. Risponde alle domande di Silvia Cattori nel momento in cui 60 associazioni francesi organizzano una campagna di protesta in occasione del primo anniversario della condanna del Muro da parte della Corte dell’Aja e della venuta a Parigi del generale Sharon.
Intervista realizzata da Silvia Cattori il 30 giugno 2005 tradotto dal francese da karl&rosa
Il 9 luglio 2004, la Corte internazionale dell’Aja ha chiesto ad Israele di porre fine alla costruzione del Muro. Israele non ne ha tenuto conto. Il 9 luglio 2005 é la data che le associazioni di difesa dei diritti dei Palestinesi hanno scelto per organizzare una grande manifestazione e dire "no" alla venuta di Ariel Sharon in Francia. Abbiamo chiesto a Olivia Zemor, che milita in questo movimento, se vi sono oggi in Francia forze capaci di resistere alla politica di oppressione di uno Stato che le autorità politiche francesi sembrano corteggiare. Dal 2002, di fronte alla brutalità ed all’impudenza del governo di Ariel Sharon, Olivia Zemor, come molti cittadini, si é impegnata per il riconoscimento del diritto del popolo palestinese.
Ha creato un’associazione, la CAPJPO (Coordinamento degli Appelli per una Pace Giusta in Medio Oriente), diventata CAPJPO-Euro-Palestina, dopo la presentazione di una lista di candidati alle elezioni europee. Quest’associazione, che raggruppa cittadini di tutte le confessioni ed origini, ha chiaramente rifiutato di cedere al ricatto dell’ "antisemitismo", particolarmente forte in Francia. [1]
S.C. L’invito di Ariel Sharon da parte del Presidente Jacques Chirac l’ha sorpresa? Cosa puo’ voler dire?
Olivia Zemor: Il ministro degli Esteri francese aveva già annunciato la venuta di Sharon nell’aprile 2004. C’era stata allora una grande campagna di protesta per dire no alla venuta di "questo criminale di guerra" in Francia; più di 30.000 cartoline erano state inviate al Presidente Jacques Chirac ed erano stati affissi dei manifesti. Alla fine la visita non é avvenuta, ma il governo francese ha continuato a impegnarsi con Israele ed a rinforzare le collaborazioni, compresa quella sul piano militare. Sarkozy, Raffarin, Barnier si sono recati in Israele esprimendo una sottomissione stupefacente nei confronti di Israele e del suo primo ministro, Ariel Sharon, che non ha perso nessuna occasione per insultare la Francia ed i Francesi. I dirigenti fanno anche da fedeli staffette della lobby pro-israeliana in Francia, del suo ricatto basato sull’antisemitismo. Siamo dunque portati a denunciare - contrariamente ad altre associazioni, che mntengono un pudico silenzio a questo proposito - la duplicità del linguaggio del governo francese, che da una parte sostiene, a parole, la creazione di uno Stato palestinese e riceve Arafat morente, ma dall’altra incoraggia Israele nella sua politica coloniale e annessionista inviando solo segnali positivi, accogliendo con tutti gli onori i suoi dirigenti, lasciando che l’esercito israeliano venga a raccogliere denaro sul suolo francese, rifiutando di fare la minima pressione per costringere Israele ad applicare il diritto internazionale. Oggi Jacques Chirac fa un passo supplementare invitando Sharon in Francia. E’ un colpo gravissimo ai diritti dell’uomo, che la nostra democrazia dovrebbe difendere. Non migliorerà certo la sua quota di popolarità. La visita di Sharon é annunciata "dopo le festività del 14 luglio". In ogni caso, abbiamo reagito subito (vedi manifesti, istruzioni, volantini e appelli a manifestare sul nostro sito http://www.europalestine.com). Oggi, tutte le organizzazioni fanno appello a manifestare massicciamente il 9 luglio 2005 a Parigi.
S.C. Resta che si tratta di un Ministro democraticamente eletto. Sabra e Chatila, Abou Graib, Guantanamo non hanno impedito alle istituzioni di continuare a considerare Sharon e Bush parte del gioco politico internazionale. L’ottanta per cento del mondo ha detto no alla guerra. Cio’ non ha impedito agli Stati Uniti di portare morte e distruzione in Irak. Come vivete questa realtà?
Olivia Zemor: Molto male. Siamo molti a risentirne duramente. I dirigenti, in tutti i paesi, prendono i loro concittadini per degli imbecilli; fanno il contrario di quello a cui la gente aspira. E questo vale anche sul piano sociale dove, quando i cittadini si pronunciano per una maggiore giustizia e democrazia, si risponde loro con minore uguaglianza e maggiore repressione. In Spagna, come si é visto, questo é costato caro ad Aznar. E’ il caso della Francia, dove le nostre autorità politiche, invece di dare ascolto al verdetto delle urne, un risoluto NO da parte del popolo, hanno scelto di rispondere col disprezzo. Si é visto come il potere ha risposto con la brutalità contro gli studenti medi che contestavano una legge destinata ad aggravare la differenza fra ricchi e poveri. Lo stesso per le privatizzazioni o per la precarietà dell’occupazione, che aumentano. Le lotte esistono: purtroppo sono frammentate, mancano del necessario coordinamento. Spero in un progresso su questo. In ogni caso, possiamo star certi che quando pieghiamo la schiena veniamo battuti ancora più forte.
S.C. Dunque, davanti ai media che non riportano le vostre azioni e ad autorità politiche molto sensibili ai gruppi di pressione pro-israeliani, la situazione é delle meno favorevoli per i diritti dei Palestinesi. Che possibilità avete di essere ascoltati?
Olivia Zemor: Mentre in Israele ci sono dei media che danno la parola agli oppositori della politica di Sharon, in Francia tutto é bloccato. Perfino i giornali detti "progressisti" come "Le Monde" e "Libération" rifiutano di dare una tribuna ad Israeliani in netta rottura con la politica coloniale di Israele, come Tanya Reinhart, Emmanuel Farjoun, Ilan Pappe. Mai una parola nemmeno sulle esazioni dell’estrema destra sionista, di gruppi come il Betar e la Lega di Difesa Ebraica, che hanno sedi ufficiali nel nostro paese, mentre sono vietati perfino negli Stati Uniti. Quanto alle lobbies pro-israeliane in Francia, sono presenti non solo nei media ma perfino nel nostro governo. Nicole Guedj, una dei responsabili del CRIF (Consiglio Rappresentativo delle Istituzioni Ebraiche) era fino a maggio segretaria di stato alle Vittime e non é un caso che abbia molto deprecato le false aggressioni antisemite (come la favola des RER D che ha volutamente esagerato) ignorando completamente i molti e ben reali atti contro Arabi o Neri. E’ una situazione che denunciamo continuamente, mentre le grandi organizzazioni di difesa dei Diritti dell’Uomo in generale si uniscono alle denunce dell’antisemitismo ma non delle altre forme di razzismo.
S.C. Il che significa che tutti i vostri sforzi sono facilmente neutralizzati da coloro che difendono interessi opposti?
Olivia Zemor: Quel che é certo é che, più gli interventi militari israeliani si intensificano nei territori palestinesi, più gli interventi delle lobbies pro-israeliane si moltiplicano nel mondo. Si tratta per loro di alimentare l’idea che Israele é la vittima, il che permette di allontanare i riflettori dalle violazioni che Israele commette contro i Palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Anche la situazione sul piano regionale é inquietante; il governo israeliano ha tutto l’interesse che le guerre si estendano in Irak, in Iran, in Siria, nel Libano, in modo da poter continuare ad eliminare più Palestinesi possibile. Questo progetto é chiamato "transfert". Ora, dato che i Palestinesi si attaccano alla loro terra costi quel che costi, Israele cerca di forzarli a partire con ogni sorta di soprusi. Infatti si tratta di una "deportazione mascherata" in modo da non impressionare l’opinione pubblica.
S.C. Dunque la difficoltà maggiore, per i difensori dei diritti della Palestina, é di arrivare a sensibilizzare il grande pubblico?
Olivia Zemor: una parte del pubblico é perfettamente informata, capta emittenti televisive arabe come Al-Jazeera, ma un’altra parte dell’opinione pubblica é troppo male informata per poter distinguere quel che accade veramente sul terreno. Il termine stesso di "conflitto israelo-palestinese" (che dovremmo bandire dal nostro vocabolario) fa credere che si tratti di una guerra fra due Stati, due eserciti e non che c’é un occupante e un occupato. La realtà dell’occupazione, il terrorismo dello Stato israeliano con il corollario di brutalità, di umiliazioni, di asfissia che accompagnano ogni occupazione sono sapientemente mascherati: i media confondono le carte con presentazioni falsate, del genere "attentati/rappresaglie", "ripresa del ciclo delle violenze"; il che tende a far credere che Israele non fa che "garantire la sua sicurezza". Certo, con qualche eccesso ogni tanto ma, "come in tutte le guerre". Sono 60 anni che Israele ha il monopolio della comunicazione. Forse non abbiamo gli stessi mezzi dei nostri avversari ma, raggruppandoci e unendo le energie, abbiamo la possibilità di far passare altri messaggi, di provare che Israele mente, di mostrare il vero volto dell’occupazione.
S.C.: La congiunzione che é sempre stata fatta fra il campo della pace israeliano - che, ed é comprensibile, ha degli interessi da salvaguardare - ed i difensori dei diritti dei Palestinesi - che hanno perduto tutto - non ha contribuito ad indebolire la solidarietà? Ieri il movimento non ha sbagliato strada?
Olivia Zemor: Un movimento di solidarietà diviso non puo’ essere efficace. Oggi il movimento parte su basi nuove. E’ la ragione della campagna lanciata da un mese e che ha per tema "Israele mente". In Francia vi partecipano una trentina di associazioni. Ci siamo uniti per sviluppare frontalmente una grande campagna di informazione. Dei manifesti, che mostrano l’annessione dei territori palestinesi da 60 anni e la brutalità dell’occupazione e degli autoadesivi con vari messaggi sono stati affissi nelle città francesi, in Belgio, in Lussemburgo, in Svizzera. Con questa campagna, che continuerà molti mesi, vogliamo mobilitare il più gran numero possibile di cittadini. E’ la condizione per creare il rapporto di forza che porterebbe i nostri governi ad applicare sanzioni contro Israele.
S.C.: Avete un esempio che dimostra patentemente in cosa Israele "mente"?
Olivia Zemor: Israele ha sempre mentito: c’é stato il concetto di "terra senza popolo per un popolo senza terra", poi la sedicente "fuga" dei Palestinesi nel 1948, versione destinata a coprire i massacri e le espulsioni dei Palestinesi; la guerra dei 6 giorni, presentata come una guerra di autodifesa quando si trattava di un attacco israeliano; la famosa "offerta generosa" di Ehoud Barak a Camp David ed ora "la calma" con morti e feriti palestinesi tutti i giorni e un Muro che annette sempre più terra palestinese. La lista delle bugie di Israele é lunga. Cosa pensa per esempio di un "Muro di separazione" dagli Israeliani dalle due parti del Muro?
S.C.: Non pensa che ci sia stanchezza fra la gente che si é mobilitata ed alla quale, da decenni, i dirigenti fanno balenare illusioni e promesse di pace che non erano, di fatto, che delle buffonate?
Olivia Zemor: Si’, ma non abbiamo scelta. I Palestinesi sono più che stanchi, ma resistono: é molto difficile per Israele, malgrado tutte le sue bugie, cacciarli tutti dalla loro terra. E’ evidente che la morsa si stringe intorno a loro: sono parcheggiati in quelle che assomigliano sempre di più a delle riserve indiane. Vedono regredire delle acquisizioni della società civile palestinese, in termini di accesso all’educazione e di organizzazione. In 38 anni di occupazione, Israele ha ucciso o imprigionato la maggior parte dei loro dirigenti, gli uomini e le donne più lucidi; e, altro pesante handicap, é riuscita a corrompere un certo numero di Palestinesi. Io non so se l’Autorità palestinese ha ragione di far finta di continuare a detenere un’autorità, quando non ha alcun margine di manovra. Mantiene l’illusione che i Palestinesi siano padroni del loro destino, che riforme interne possano migliorare le cose. Ora, sono sotto occupazione. L’Autorità non da ordine di agire alla popolazione palestinese, che ha saputo mobilitarsi massicciamente e con successo durante la prima Intifada, con azioni di disobbedienza civile spettacolari e che si ritrova paralizzata oggi.
S.C.: Lei é ottimista quanto alla possibilità di vedere tutte le forze unirsi in Francia?
Olivia Zemor: Sono numerosi i militanti di tutte le associazioni che si rendono conto che una mobilitazione popolare é indispensabile se si vuole poter pesare sui nostri dirigenti politici, che siano di destra o di sinistra, e per ottenere il rispetto del diritto internazionale. Purtroppo non si puo’ cambiare le cose solo attraverso le delegazioni, i comunicati stampa e le petizioni. Alcuni dirigenti di associazioni, in Francia o altrove, speravano che le relazioni che avevano con dei parlamentari avrebbero cambiato le cose. Ora, dopo tutto questo tempo, cosa hanno ottenuto dai governi in carica? Mi sembra che sia stato dimostrato che non si puo’ prescindere da una mobilitazione popolare, come al momento della guerra del Vietnam o d’Algeria o contro il Sudafrica dell’apartheid.
S.C.: E’ il senso delle campagne condotte attualmente dal collettivo "Resistenza Palestina"?
Olivia Zemor: Si’, i Francesi devono capire che la resistenza contro l’oppressione in Palestina é l’ultimo bastione contro la barbarie; che la Palestina é emblematica della società che si prepara, di quello che vediamo già all’opera in Irak; é la legge del più forte, la legge della giungla; se si lascia proseguire l’eliminazione dei Palestinesi, se si accetta che si faccia di loro quello che gli Stati Uniti hanno fatto degli Indiani dovremo tutti pagarne il prezzo. Tutti devono capire che questa battaglia per il diritto all’autodeterminazione dei Palestinesi non riguarda solo le persone di origine ebraica o mussulmana; non é una guerra di religione, ci riguarda tutti. Bisogna che la gente capisca che non si tratta di un dramma che tocca solo quelli che sono sul terreno, che non si tratta semplicemente di un’ingiustizia e di una sofferenza come un’altra. Ma che é qualcosa che ci mette direttamente in causa; che é emblematico di quello che si vuole ancora farci ingoiare. Un mondo dove, domani, i più deboli, quelli che non hanno niente, vivranno un inferno. Un oscuro avvenire si prepara. Dobbiamo dire che non vogliamo quel mondo, né per noi né per i nostri figli. Occorre ricordare quel che é avvenuto durante la seconda guerra mondiale. La gente che sapeva ha girato la testa dall’altra parte perché non si sentiva direttamente implicata. Oggi sappiamo. Non possiamo più sfuggire alle nostre responsabilità. Non possiamo più dire che non sapevamo.
S.C. Cosi’, i media che minimizzano la gravità delle esazioni in Palestina, i potenti che tacciono dovrebbero accettare di essere complici davanti alle vittime?
Olivia Zemor: Portano una pesante responsabilità nella difficoltà che incontriamo ad informare la pubblica opinione. Nessuno dei media é pronto a riportare le azioni che il movimento di solidarietà intraprende e che restano largamente ignorate dalla popolazione. E’ per questo che non ci resta che la strada e che dobbiamo occuparla con i manifesti, gli autoadesivi, le manifestazioni, gli spettacoli... finché i media non potranno più far finta d’ignorare la realtà.
S.C.: Lei non é né Israeliana né Palestinese, é molto impegnata nel movimento, vi mette tutte le Sue forze quando potrebbe fare una bella vita?
Olivia Zemor: Non sono più un’eccezione. Non sono la sola ad essere impegnata per questa causa. Conosco molte persone che danno il loro tempo e la loro energia nella misura dei loro mezzi. Credo che siamo sempre più numerosi e ribellarci a questa brutalità e a quest’arroganza, a questo non-diritto che la politica israeliana rappresenta. Non per questo considero la mia vita meno bella. Non sono nella situazione dei Palestinesi; non sono esposta ai rischi che corrono, non é stata rasa al suolo la mia casa, non ho bambini che rischiano di essere rapiti la notte o sulla strada per andare a scuola. Non é la prima volta nella mia vita che mi impegno. L’ingiustizia mi ripugna. Mi sono battuta per il riconoscimento dei crimini commessi dalla Francia nell’ottobre 1961, quando la polizia aveva gettato gli Algerini nella Senna. Non vedo quale vita migliore potrei avere se facessi un’altra cosa. Credo che, se non m’impegnassi, potrei avere solo una vita sempre peggiore, perché non avrei fatto niente per impedire che la società diventi sempre più ingiusta. Per me, la vita vissuta in piedi é più bella di quella vissuta distesi.
[1] Insieme ad altre associazioni, sensibili alla causa palestinese, CAPJPO ha lanciato iniziative di grande ampiezza: due grandi concerti per la Palestina con 15.000 persone in Francia, manifestazioni contro la tenuta, in Francia, di "gala" a beneficio dell’esercito israeliano, azioni in giudizio contro pro-israeliani di estrema destra ed i loro sostenitori. Oggi, l’associazione CAPJPO-Euro-Palestina" lavora con una ventina di associazioni nel collettivo "Resistenza Palestina", all’origine della grande campagna d’informazione nazionale in corso "ISRAELE MENTE: IL VERO VOLTO DELL’OCCUPAZIONE". Centinaia di militanti affiggono manifesti ed autoadesivi in Francia, Belgio e Lussemburgo. Il collettivo "Resistenza Palestina" in questo momento si mobilita anche contro la venuta di Sharon in Francia, prevista per il 9 luglio 2005.




