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QUELLI CHE IL MAGGIORITARIO CE L’AVEVANO DURO

Publie le giovedì 15 settembre 2005 par Open-Publishing
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L’accelerato della sera- DI Marco Travaglio

Era sceso in campo, in missione per conto di Dio come i Blues Brothers. Aveva «bevuto l’amaro calice» perchè «il maggioritario è la nostra religione» (2/2/95) e «vogliamo una scelta chiara per l’uninominale maggioritario, senza più quota proporzionale» (7/6/94).

Scacciò i mercanti dal tempio: «Se vogliono tornare al proporzionale e al consociativismo si sbagliano di grosso!» (15/5/95), perché «io nutro diffidenza e paura per il tentativo di tornare al proporzionale, per questo disegno di ripristinare la logica dei pedaggi.

Il consociativismo fu il male oscuro della vecchia Repubblica proporzionalistica. Bisogna eliminare la quota proporzionale che ha travolto il maggioritario, per togliere alla nomenklatura la possibilità di entrare in Parlamento attraverso una scorciatoia» (29/6/95). Invocò «il turno unico senza la quota proporzionale» (2/8/95). Denunciò «chi vuol tornare al Grande Centro, al proporzionale, alla palude del consociativismo» (27/5/96). Ma non fece nomi.

Ora, dopo lunghe ricerche, s’è scoperto chi vuole tornare alla palude, ai pedaggi, al consociativismo, al male oscuro della vecchia Repubblica e vuole entrare in Parlamento con una scorciatoia: lui.

Ancora quattro mesi fa giurava: «Mai detto di voler tornare al proporzionale» (30/4/2005). E tutti a crederci. Si potrebbero riempire trenta volumi della Treccani con i peana dei Panebianco, Galli della Loggia e Ostellino con Pigi Cerchiobattista (battista del Corriere) al seguito, dei Platinette, Adornato, Bondi, Budget Bozzo, Foa (figlio), Guzzanti (padre) e PorompomPera al «salvatore del maggioritario», al «garante del bipolarismo».

Ora naturalmente, nella corte dei miracolati, tutti i devoti all’uninominale diventano tifosi accaniti del proporzionale: non si alza un sopracciglio per il ribaltone del padrone. Nemmeno dai celebri «moderati del Polo», gli Udc, con cui i buontemponi della sinistra «riformista» cercavano il dialogo e financo la desistenza fino a poche ore fa. Anzi, è proprio l’Udc lo sponsor del golpe. La stessa Udc che, sulla par condicio, intimava: «Non si cambiano le regole alla vigilia del voto».

In compenso, dal fronte terzista, qualcosa si muove. Pigi Cerchiobattista verga sul Corriere un vibrante commento contro chi «cambia radicalmente all’ultimo momento la legge elettorale», «il trionfo della convenienza privata a scapito dell’ interesse pubblico», «un atto d’imperio del giocatore più forte per darsi un vantaggio improprio e sfavorire platealmente l’avversario», «uno strappo al fair play istituzionale», un «espediente per raddrizzare un destino elettorale da tutti accreditato come negativo», «un abito elettorale cucito apposta per favorire l’attuale maggioranza», «un atto di prepotenza« su una materia che «non può essere decisa da una maggioranza a suo insindacabile piacimento».

Gliele ha cantate chiare, stavolta, il vecchio Pigi. Peccato che sia tardi. Nel ’94, conoscendo il Cavaliere fin troppo bene, Indro Montanelli annunciò sulla Voce il «regime» nascente. Dal ’99 al 2001, stavolta sul Corriere, tornò a ripetere con quanto fiato aveva in gola che «Berlusconi farà un regime», perché «non sa cosa sia la democrazia» e «lui non ha idee: solo interessi». Lo stesso, sempre sul Corriere, scrissero Biagi e Sartori. Prediche nel deserto.

Cerchiobattista e le altre allegre comari di Via Solferino continuarono a solfeggiare all’ora del tè: non esageriamo, non demonizziamo, basta con i «toni apocalittici».

Bobbio, Sylos Labini e Galante Garrone firmarono un appello sui «rischi per la democrazia» da una vittoria berlusconiana, ma Mieli, Salvati, Debenedetti e altri alzarono il ditino dalla tazzina e firmarono il contrappello del Foglio: nessun pericolo, «serena» alternanza. Poi l’Unto prese a fare il suo prevedibilissimo gioco. Una trentina di leggi ad personam, contro la Giustizia e la Costituzione.

L’Unità e pochi altri parlarono di «regime». Ma le allegre comari seguitavano a cinguettare: abbassate i toni, lasciatelo fare, così poi si placa. Prodi parlò di «dittatura della maggioranza», ma fu subito zittito: mica siamo al fascismo, diamine! Ora Cerchiobattista, questo accelerato del giornalismo, scopre all’improvviso che c’è «un uso disinvolto della maggioranza» e si «stravolge la cornice delle regole a colpi di maggioranza». Ma va? Che prontezza di riflessi! Purtroppo dimentica di scusarsi con chi aveva capito tutto 10 o 5 anni fa. Cari Indro, Enzo, Sandro, Norberto, Paolo, Giovanni, scusate il ritardo: sono un accelerato.

Messaggi

  • Sull’Unità delle precisazioni preziose sul perchè del cambio repentino della legge elettorale,a ridosso delle elezioni:

    Una legge abominevole, sarà un autogol»
    di Bruno Gravagnuolo

    Corsi e ricorsi. La storia italiana è costellata di tentativi strumentali di alterare la dinamica istituzionale, col marchingegno delle leggi elettorali.

    Non tutti illegittimi però. Ad esempio l’allargamento del suffragio nel 1882 con De Pretis, o quello del 1912 con Giolitti (suffragio universale maschile), erano vere riforme democratiche, capaci di allargare la partecipazione in un paese censitario. Così come le riforme elettorali dei nostri anni 90 inaugurarono in Italia il bipolarismo. Al culmine di una crisi di sistema e per via referendaria. E oggi? Indietro tutta. Dopo tanto scialo di fede maggioritaria, ecco che proprio il centrodestra sforna una nuova riforma. Proporzionalista. Per metà con liste bloccate dai partiti e l’altra metà con preferenza.

    E con un premio di maggioranza truffaldino e senza eguali nel mondo civile. Secondo cui il centrosinistra potrebbe perdere con il 51% a fronte del 48% avversario. E sol perché i voti di chi sta sotto il 4% - i piccoli di centrosinistra - non vengono conteggiati e si traducono in seggi per lo schieramento opposto! Un grimaldello concepito in fretta e furia dal centrodestra alla vigilia della prova elettorale che lo vede sfavorito. E che fa pensare ad altri grimaldelli, per premiare chi in passato governava. La legge Acerbo del 1924, voluta dai fascisti.

    Con premio di maggioranza del 75% alla coalizione vincente nel maggioritario. Oppure la legge truffa del 1953, con cui De Gasperi tentò di puntellare il centro insidiato da destra e da sinistra e che non scattò per pochi voti, anche grazie a una memorabile battaglia della sinistra.
    Che ne pensano gli storici e i politologi? Come leggere l’ennesimo tornante della storia elettorale italiana? Dice Massimo Salvadori, storico delle dottrine politiche: «Il nostro bipolarismo ha mostrato crepe formidabili. Mancano due requisiti di fondo: l’esistenza di due o tre partiti e il doppio turno. Il Mattarellum assicura una certa stabilità, ma non cura i mali a monte: la rendita di posizione delle minoranze nei due schieramenti.

    E tutto nasce dai ricatti della Lega che evocano il controricatto dei centristi, vogliosi di spaccare l’asse con Berlusconi». Di qui una reazione a catena, che per ora incontra «un’opposizione solo di metodo nei settori di centrosinistra non avversi al proporzionale». Legge Acerbo? Legge Truffa?

    http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=EDITO&TOPIC_TIPO=E&TOPIC_ID=44629