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Silvio "à la guerre" con l’amico Sarkozy

Publie le martedì 22 marzo 2011 par Open-Publishing
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Baciamano per baciamano, ora per Silvio nostro è meglio inchinarsi a Sarkozy
che al Puzzone di Tripoli (già fatto). Chissà, verranno buone tutte quelle
chanson francesi che ama tanto. Ora ci tocca tirar giù a colpi di missile gli
aerei di Gheddafi per difendere i libici, i francesi sapranno bene come fare
visto che i caccia al Colonnello glieli hanno venduti loro. Noi, invece, lo
abbiamo riempito di soldi per far fare ai libici i lavori che gli italiani non
vogliono più fare, tipo i campi di concentramento per migranti. Silvio si è
detto “amico del popolo libico”, anche se abbracciava e baciava il tipo che “il
popolo libico” lo bombarda, ma non è il momento di cercare il pelo nell’uovo.
Per la riunione delle commissioni Esteri e Difesa, l’altro giorno, è scattato
l’allarme rosso, tutti al telefono per cercare i leghisti che si erano dati
alla macchia: spiacente, il numero chiamato non è disponibile, riprovare più
tardi. Suonava a vuoto anche il cellulare dei Responsabili, i Calearo, gli
Scilipoti, gente così, tutta presa dalla sacra missione etica di portare a casa
un paio di sottosegretari e il ministero dell’agricoltura per un tale Saverio
Romano, chiunque sia. Per Silvio nostro, una guerra è una guerra, altroché, gli
evita di andare al processo Mills, che non è male, meglio di Ghedini. I
leghisti non ci stanno per un afflato pacifista: vedono già arrivare barconi di
profughi che sarà impossibile rimpatriare durante una guerra e quindi, pur di
non essere umani, si fingono umanitari. Il colonnello La Russa dott. Ignazio si
batte per il “diritto” di bombardare. D’Alema Massimo chiede l’ombrello della
Nato. Frattini è Frattini e francamente non gli si può chiedere di più, prima
dice che la democrazia non si esporta, ora invece che si esporta, uno stratega
di prima grandezza. Questo, più o meno, il punto della situazione. Ma mi
mancano due righe per chiudere la rubrica, che ci metto? Ah, si: i diritti
umani, la democrazia dal basso, le moltitudini del Maghreb in rivolta e i
ragazzi di Bengasi che rischiano il massacro. Vabbé, dettagli. Un’altra volta,
eh?

il manifesto, 20 marzo 2011

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