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HAROLD PINTER Intervista al drammaturgo inglese, che esprime tutta la sua
rabbia politica. Così grande che non vuole più scrivere testi teatrali
MILANO
«George Bush è un criminale: gli Stati uniti sempre di più faranno quello
che vogliono, sono un regno criminale dal mio punto di vista, sostenuto
purtroppo dallo spaventoso governo del mio paese presieduto da Tony Blair,
e sostenuto purtroppo anche dal vostro altrettanto spaventoso governo».
Non usa mezzi termini Harold Pinter per esprimere il suo stato d’animo
attuale di fronte a quanto sta succedendo. Tutto ciò lo turba talmente che
dichiara di non voler più scrivere testi per il teatro, o meglio «di non
esserne più capace». Ne ha già scritti 29 del resto, e molti di questi
risultano tra i capolavori assoluti del 900. Non nasconde che il cancro da
cui è stato affetto due anni fa ha cambiato la sua vita nel profondo,
oltre ai fastidiosi strascichi fisici che gli ha lasciato, ma si impegna a
non negarsi mai, «fino alla morte!», all’impegno politico e civile. «Si è
fatta sempre più grottesca la differenza tra i ricchi e i poveri nel
mondo: come cittadini dobbiamo combattere senza sosta contro questa
diseguaglianza».
Non usa mezzi termini Pinter, e la sua dichiarazione di guerra a Bush, a
Blair e a Berlusconi la butta in faccia alle autorità costituite che quei
governi sostengono. Nella sua breve visita milanese per assistere alla
messinscena di Vecchi tempi in questi giorni al Piccolo teatro, gli è
stato consegnato un diploma dell’Accademia dei Filodrammatici che gli
dedica una programmazione di due mesi, e alla cerimonia le sue
dichiarazioni suscitano le reazioni infastidite e la fuga conseguente
dell’assessore Carrubba che gli aveva appena consegnato l’Ambrogino d’oro
di milanesità a nome dell’amministrazione comunale.
A 73 anni Harold Pinter, maestro riconosciuto nel mondo (e molto
rappresentato dovunque) della scrittura per il teatro e per il cinema, ha
dovuto smettere da due anni di giocare a tennis, che si limita a seguire
da spettatore così come il cricket, ma non allenta nemmeno per un secondo
la sua passione politica. D’altra parte è diventato celebre a partire dal
1960 proprio per quei suoi testi dove protagonista è una umanità sotto la
pressione di una minaccia oscura. Dapprima ambientate nel chiuso di un
ambiente familiare o magari condominiale, quelle sue commedie hanno
allargato la propria ambientazione, fino ad assumere dagli anni ottanta il
volto dichiaratamente politico di regimi totalitari. La sua «stanza di
contenzione» è divenuta così la cella degli interrogatori di qualche
malcapitato oppositore da parte di un aguzzino, o il salotto dissipato
dove una borghesia ingorda e violenta gestisce in maniera cinica e cruenta
lo stato di cui gestisce ogni potere come fosse un club privato. Una sorta
di aghiacciante visione profetica, rileggere oggi Party Time, scritto nel
1992, in cui qualcuno ha riconosciuto la morte di Carlo Giuliani al G8 di
Genova.
Con naturalezza quindi risponde, a chi gli chiede come sia evoluta la
«minaccia» evocata nei suoi primi lavori, di guardarsi intorno, alle
condizioni di vita di tutta l’umanità: lui, ricorda, non ha scritto altro
per tutta la vita. E si aspetta un futuro ancora più triste se, alle
prossime elezioni presidenziali, Bush dovesse sconfiggere il candidato
democratico. La sua politica è già oggi una catastrofe, vincendo sarebbe
libero di bombardare dove vuole. Ma anche sui «democratici» non si fa
eccessive illusioni: «Anche Blair avrebbe dovuto essere un politico
progressista, in realtà la sua scelta di sottomissione a Bush si è
trasformata nella sfida mancante agli Usa che avrebbe potuto costituire».
«Gli Stati uniti - spiega Pinter pensieroso - prima hanno appoggiato il
regime di Saddam e gli hanno fornito le armi chimiche, poi per farlo fuori
quando è risultato scomodo hanno invaso l’Iraq. Ma quella invasione non è
stata umanitaria né tanto meno liberatoria: aveva come solo scopo il
petrolio. Ci sono dittatori da per tutto nel nostro pianeta, ma la
risposta non può essere quella di uccidere diecimila civili, per
liberarli. Li hanno liberati solamente della loro vita! Con una guerra che
è contro ogni legge.»
Il suo sarcasmo è feroce come radicale è la sua posizione, con una unica
speranza riposta nei diritti e nell’onestà dei cittadini di ogni parte del
mondo. E qui fa un riferimento esplicito e commosso alla Spagna colpita
dal terrorismo: «In Spagna i cittadini hanno trovato voce, e hanno buttato
fuori Aznar che di quella guerra si era fatto complice». Ogni tanto torna
su Blair, sulle sue iniziative sbagliate e sul suo decisionismo servile.
In maniera molto inglese (e come sempre padrone impareggiabile dei tempi
teatrali di una battuta e del suo effetto) sembra dispiaciuto di non aver
mai avuto occasione di conoscere il signor Berlusconi. Per dichiarare
subito dopo con un sorriso ineffabile: «E non vorrei neanche conoscerlo!»