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Dopo la caduta forse l’Europa ci salverà dall’uomo più ricco e più incapace di governare del mondo

Publie le domenica 4 luglio 2004 par Open-Publishing

di Furio Colombo

No, non è il caso di cantare "Bella Ciao" dopo la caduta di Tremonti. Il ricordo evocato da questo oscuro episodio di palazzo corre piuttosto al 25 luglio. La frase che viene in mente è quella triste e porta-sfortuna di Badoglio: «La guerra continua». Avverto subito coloro che - su tutti i giornali della Repubblica - assistono con serenità buddista a incredibili eventi di governo che sono fuori dal buon senso, fuori dalla Costituzione, fuori dall’Europa.

No, in questo caso, dicendo guerra, non stiamo parlando della guerra dell’opposizione. Il riferimento è alla loro guerra, quella contro le leggi, contro le istituzioni, contro il Paese, al solo fine di allargare il loro potere personale.

Perché questa guerra finisca, o almeno ci sia un armistizio fra l’Italia e il suo rovinoso governo, sabato tutta l’opposizione, per prima cosa, ha chiesto le dimissioni di Berlusconi e dei suoi.

Nonostante che il momento sia insieme farsesco e tragico, perché il governo è inciampato malamente e in pubblico là dove un qualunque imprenditore di media esperienza avrebbe scambiato in poche ore ruolo e responsabilità dei suoi collaboratori, mostrando continuità ai concorrenti ed evitando piazzate, lui, il modesto eroe che alla fine lascerà di se stesso solo un ricordo un po’ ridicolo e un po’ sgradevole, non si dimetterà, se appena appena gli riuscirà di tenere testa al Quirinale. Perché, contro ogni buon senso e vera necessità, cercherà di non farlo? La spiegazione è in uno dei due grandi fili che legano e spiegano la sequenza di terribili performance politiche berlusconiane.

Il primo filo, come sappiamo, è l’interesse personale. Basti ricordare un episodio di questi giorni. Subito dopo la approvazione della Legge Gasparri, che sposta tutto il peso delle comunicazioni italiane sul sistema digitale (e che questo giornale - esagerando come al solito - aveva dichiarato un colpo di mano della famiglia Berlusconi, tramite l’amico di famiglia Gasparri) la Fininvest ha messo fuori gioco la Rai e si è assicurata con il calcio, la parte più succosa del digitale, cioè del malloppo reso disponibile dalla nuova legge delle comunicazioni.

Ognuno ha le sue ossessioni e la nostra, come i lettori sanno, è Berlusconi e il suo governo. Ragioni, che tutti conoscono e pochi dicono sono l’immenso conflitto di interessi, i gravi danni all’Italia, e il distacco dall’Europa, la trasformazione del nostro Paese da buon alleato a colonia americana.

Ma l’altro grande filo che spiega il comportamento a volte risibile, a volte infantile, spesso poco sensato del primo ministro italiano è una vanagloria più da avanspettacolo (era il tipo di varietà con cui una volta si intratteneva il pubblico dei cinema prima del film) che da show business. È il giorno giusto per soffermarci su tre scenette tipiche di questo avanspettacolo.

La prima è il vezzo di Berlusconi di darsi in pubblico dei meriti che non ha. Il pubblico, specialmente fuori dall’Italia, dove le televisioni sono libere, ride. Ma lui ci crede, insiste e ripete.

Ma Berlusconi, al modo del compianto presidente cinese Mao, ha un altro vizietto: attribuisce a se stesso il merito di ogni azione di governo. Impresa azzardata, per un governo che di meriti ne ha pochi. Ma a Berlusconi sta a cuore l’avanspettacolo di cui si sente la star. Il suo lato vanesio, come dimostra il penoso e non molto utile episodio del lifting facciale, vince sempre sulla ambizione ad apparire statista.

Ma Berlusconi è anche il primo ministro che, senza pudore, senza interlocutori, e con la complicità di giornalisti servili, andava in televisione da solo, quando voleva lui, e recitava senza esitazione sfilze di numeri inventati, contando sul fatto di avere intimidito abbastanza il mondo dei media dai tempi del licenziamento in tronco di Enzo Biagi, per non dover temere una domanda impertinente di un solo giornalista od esperto.

Dunque lui ha preteso - da solo e con disprezzo per tutti - di essere, lui in persona, la vera anima e il vero cervello del piano e delle riforme economiche. Adesso Berlusconi ha inciampato in se stesso. L’uomo di avanspettacolo (Berlusconi) si è impigliato nel grande timoniere dell’economia (Berlusconi). Insieme non hanno saputo sbrogliare una obiezione dell’alleato Fini su numeri falsi e imbrogli contabili. E adesso chi darà risposte plausibili a Bruxelles?

Nella seconda scenetta vediamo Berlusconi trasformarsi da finto leader politico a vero padrone cattivo, come il miliardario di Charlie Chaplin disprezza e svilisce i suoi alleati. Sprezzante, si azzarda a dire loro in pubblico: ma dove andate senza di me? Adesso loro, che hanno anche incassato qualche voto in più alle elezioni, rispetto alla rotta di Forza Italia, fanno il gesto di alzarsi e di andarsene. Solo il gesto. Ma lui? Lui che ama i fondali finti di Pratica di Mare e i successi inesistenti però celebrati da tutti i Tg di regime, adesso si trova in un saloon con i tavoli rovesciati.

La terza scenetta non è allegra neppure per chi ha sempre cercato di far capire quanto danno Berlusconi ha fatto, e si accinge ancora a fare, a questo Paese. Si tratta di confessare in pubblico, in Europa, come in un grande rito protestante, la bancarotta italiana del governo Berlusconi. Il lavoro duro di tutti gli editorialisti e commentatori che per tre anni hanno infaticabilmente celebrato il regime, le sgridate di Vespa e di Aldo Forbice, in studio o in trasmissione a chi osa dire male, anche solo con una mite osservazione, di Silvio Berlusconi, tutto va in fumo in un giorno, anzi in una notte. Lo avevamo detto fin dall’inizio di questo confronto impari con l’uomo più ricco e più incapace di governare nel mondo: l’Europa ci salverà.

L’UNITA’