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Dottor Folli ci consenta il pacifismo è altra cosa
Publie le mercoledì 24 marzo 2004 par Open-PublishingL’editoriale di Stefano Folli sul "Corriere della sera" all’indomani della grande manifestazione pacifista desta qualche preoccupazione e qualche inquietudine. Il direttore della più importante testata nazionale a proposito della manifestazione e dei fischi al segretario dei Ds fa la seguente analisi e lancia il seguente messaggio: Fassino è stato fischiato a Roma il 20 marzo 2004 esattamente come Luciano Lama il 17 febbraio 1977. Attraverso di loro si è attaccata ieri ed oggi una sinistra moderata e ragionevole da parte di partecipanti ad una manifestazione il cui «segno politico» è stato appunto «negli spintoni a Fassino e ai suoi accompagnatori e poi nell’esultanza per la cacciata dell’intruso».
Attenzione - dice Folli - nel ’77 è cominciata così, è cominciata con l’intolleranza di alcuni, con l’indifferenza di molti ed è finita come è finita. Quando Lama è stato fischiato e contestato all’università di Roma «mancavano tre mesi al ferimento di Montanelli, nove all’uccisione di Casalegno, poco più di un anno al rapimento di Aldo Moro e alla strage della scorta». Perché questa analisi e questo messaggio ci inquieta e ci preoccupa? Non per la condanna all’intolleranza di cui sarebbe stato fatto oggetto Piero Fassino. L’intolleranza non piace neppure a noi soprattutto quando è organizzata a fini strumentali ed elettorali. Aggiungiamo che non ci piace neanche quella verbale, quella per cui sono "assassini" quelli che sono contrari al ritiro delle truppe dall’Irak e sono "terroristi" quelli che lo chiedono.
Quanto all’indifferenza nei confronti della violenza ne siamo talmente lontani che, come lo stesso Stefano Folli ha puntualmente e prima di altri notato sul suo giornale, abbiamo fatto della nonviolenza - unici nella storia della sinistra - l’asse portante della nostra "rifondazione". Con molta audacia e molta radicalità, e qualche rischio, ci pare. Il punto quindi non è questo, ma un altro. Esso riguarda la comprensione di questo movimento per la pace, di quello che è sfilato a Roma e di quello che ha manifestato in tutto il mondo. Il paragone con il 1977 - lo diciamo con chiarezza al direttore del "Corriere" - non regge. Anzi per essere completamente chiari è del tutto sbagliato.
Il movimento del ’77 era il colpo di coda, l’ultimo sussulto del grande movimento di massa del ’68 ’69. Conteneva al suo interno quella cultura, la cultura di un secolo grande e terribile come il 900, unita ad una disillusione, alla rabbia impotente di chi vedeva le speranze di quel biennio straordinario affievolirsi in una istituzionalizzazione autoritaria, in un compromesso politico e sociale che per molti era solo l’inizio di una sconfitta. Esso era tutto interno alla storia del movimento operaio e alla sua cultura sebbene con una critica che non trovava un mezzo per esprimersi, per crescere, per essere vitale. E con una confusa insofferenza per molte sue espressioni. Per alcuni la via d’uscita fu la violenza. Una violenza diffusa, tragica, buia. Ricordo ancora l’orribile simbolo della P38 nei cortei che attraversavano i centri delle nostre città. Pochi di quelli che manifestavano le avrebbero usate davvero, ma erano comunque terrificanti e simbolo di una sconfitta politica. E so bene che alcuni quelle P38 le usarono veramente aprendo nella storia di questo paese una ferita che non si è ancora rimarginata, quella del terrorismo, delle morti ingiuste che esso portò, delle leggi autoritarie e liberticide che ne seguirono, della fine definitiva di una speranza di cambiamento sociale.
Tutto questo con il movimento della pace non c’entra niente. Questo movimento non nasce da quello, non è una sua propaggine o conseguenza. Se mai segna una discontinuità ed una rottura. Esso non è alla fine di un ciclo, è piuttosto l’inizio di un altro ciclo. Esso non è privo di strumenti, ma ne ha uno enorme, le cui conseguenze non sono state ancora del tutto adeguatemente ponderate: la nonviolenza. Se c’è un motivo per cui i suoi oppositori hanno da temerlo, se c’è uno strumento che può essere pericoloso per i sostenitori della guerra e delle guerre, se c’è una speranza per chi quelle guerre non le vuole, tutto questo sta esattamente nell’atteggiamento, nella cultura, nella pratica politica della nonviolenza.
Questo movimento contrariamente a quello del ’77 è già molto potente. In Spagna ha cacciato, attraverso gli strumenti della democrazia rappresentativa, Josè Maria Aznar. E lo ha fatto alzando le mani dipinte di bianco e gridando ai Popolari "domani voteremo e vi cacceremo". Sì, in questo Stefano Folli ha ragione, ci sono motivi, molti motivi concreti per temerlo. E crediamo - ma questa è una scommessa politica - che non lascerà intatti gli equilibri politici in molti altri paesi occidentali che hanno voluto la guerra. Noi ce lo aspettiamo. E come si può vedere dall’ultima copertina se lo aspetta anche un giornale dell’establishment economico internazionale come l’"Economist".
Sicuramente ce lo aspettiamo in Italia. E abbiamo l’impressione che questo sia il problema vero per il "Corriere della sera": l’intervento di un altro potente protagonista sulla scena politica italiana. Un protagonista che può con la sua presenza pacifica, ma con la sua critica intransigente alla guerra della globalizzazione e al terrorismo potente e anch’esso globale rompere quel nuovo equilibrio politico che in molti compreso il maggiore quotidiano nazionale tendono a costruire e che riassumiamo. Un quadro politico che sconta la sconfitta elettorale del centro destra, che cancella ed elimina l’anomalia berlusconiana (conflitto di interessi, leggi che agevolano le aziende Mediaset, populismo estremista ecc) ma che mantiene intatto il nocciolo della politica neoliberista e che in politica internazionale non esclude il ricorso alla guerra in determinate situazioni. Il protagonista ideale di questa operazione è sicuramente un centro sinistra che adotti, magari senza "se" e senza "ma" le politiche economiche e sociali del centro destra e che invece sulla pace di "se" e di "ma" ne faccia largo uso. Un progetto legittimo, intendiamoci, al quale è indirizzata parte consistente del centro sinistra. Ma oggi questo progetto potrebbe essere messo in discussione.
E potrebbe avvenire anche in Italia quello che avvenuto in Spagna dove un uomo politico come Zapatero che aveva ben poche chances di vittoria e che, sul piano delle politiche economiche e sociali, non si distingueva nettamente da Aznar ha vinto grazie ad un movimento che ha deciso - ha deciso - di farne il simbolo di un cambiamento. E che oggi a questo movimento suo magrado è legato, di questo movimento deve tener conto. Non c’è niente che possa disturbare di più la costruzione di un moderato e neoliberista dopoberlusconi di una altra seppure diversa operazione Zapatero. E comprendiamo che il "Corriere della sera" non la desideri. Ma per opporsi non è necessario accusare di violenza e terrorismo un movimento che fonda la sua esistenza esattamente contro di essi. Non c’è bisogno di richiamare gli avvenimenti del 1977. La storia, mi creda Folli, è proprio diversa.
Liberazione