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G8 : L’intervento "I fiori in memoria di un giovane non si dovrebbero mai buttare via"
Publie le domenica 4 luglio 2004 par Open-PublishingDa mesi il parroco del Rimedio, mal sopportava quel murale di magliette,
sciarpe, fotografie, poesie e varie imprecazioni, sorto poche ore dopo la
morte di Carlo Giuliani, e subito diventato meta di pellegrinaggi e di
culto, da parte di giovani spesso scarsamente devoti. Un "sacrario
profano". Blasfemo, irriverente: così dev’essere sembrato al sacerdote,
che ha deciso di smantellare, almeno in parte, quel piccolo altarino,
forse perché troppo "laico", forse perché troppo vicino alla "sua" chiesa.
Oppure, è stata la forte connotazione politica di tutte quelle insegne,
insieme ai troppi "ti vendicheremo", a mettere tra parentesi il dolore, a
far dimenticare che quelle testimonianze erano state messe lì, perché di
lì era passata la morte.
Che i giovani si amministrino il dolore con riti alternativi a quelli
"ufficiali", mi era apparso chiaro mesi fa, quando un altro sacrario era
sorto in un’altra piazza, ad opera di un gruppo di ragazzi che avevano
perduto un loro coetaneo travolto in un incidente di strada. In piazza
Leopardi, quella costruzione di fiori e biglietti era diventata un luogo
di ritrovo di tanti ragazzi che non sapevano darsi pace per la perdita del
loro amico, uno spazio per il dolore e lo sconcerto di una morte venuta
all’improvviso, quando ancora non la si aspetta.
Si dirà che la morte del ragazzo investito in Albaro è un fatto troppo
diverso da quanto era accaduto nei giorni del G8. E’ vero: ma fino a un
certo punto. In entrambi i casi c’è stato un evento luttuoso che ha molto
addolorato e turbato una comunità giovanile. Inoltre, in tutte e due i
casi, mani anonime e collettive avevano eretto sacrari sostanzialmente
simili, in luoghi pubblici, esponendo fiori, biglietti, tessuti, il tutto
avvolto nel cellofan. Come a dire: il nostro ricordo deve durare più a
lungo possibile, ma non confidiamo nell’eternità, tant’è che lo scriviamo
su carta anziché sul marmo. L’incontro con la morte è sempre, per
l’adolescente, un momento di iniziazione ad una percezione diversa della
vita: superare il lutto significa poter accettare di vivere rassegnati
alla caducità di se stessi e delle cose, unica condizione possibile di
felicità.
Agli occhi dei giovani, i riti funerari tradizionali non
sembrano adatti a contenere il dolore: la Chiesa non ha più il monopolio
assoluto della pietà per chi muore, e la promessa di Resurrezione ha minor
ascolto di un tempo. I riti laici, spesso spogli e disorganizzati, paiono
interessare maggiormente altre generazioni. Tra i giovani, si diffondono
nuove e spontanee modalità di far fronte al lutto: qualcosa che appare
sorprendentemente "spirituale". Per queste ragioni, anche a chi non è
credente, non sembra irrealistico aspettarsi che la Chiesa sia capace di
cogliere un’esigenza di spiritualità tanto sentita e condivisa. O almeno
rispettarla in silenzio.
*Psichiatra
GIANNI GUASTO*
Secolo XIX