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INTERVENTO UNITARIO DEL COMITATO FERMIAMO LA GUERRA

Publie le mercoledì 24 marzo 2004 par Open-Publishing

A un anno dall’inizio della guerra in Iraq, abbiamo risposto oggi
all’appello del movimento per la pace degli Stati Uniti, rilanciato daI
Forum Sociale Europeo di Parigi e dal Forum Sociale Mondiale di Mumbai, per
fermare la guerra e l’occupazione.

Siamo tornati in piazza dopo aver attraversato l’Italia con Carovane di pace
dal sud e dal nord mentre altre carovane sono in Medio Oriente a chiedere
pace e giustizia.

Torniamo in piazza insieme ai movimenti di tutto il mondo, dopo un anno
drammatico e giorni bui -di atrocità e di lutti.

UN ANNO FA una coalizione di Stati guidata dagli Usa decise di
utilizzare tutta la sua potenza per muovere guerra all’Iraq.

Lo ha fatto contro il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, violando il
diritto internazionale e contro la volontà della grande maggioranza dei
popoli del pianeta.

Lo ha fatto con la menzogna, dichiarando che l’Iraq possedeva armi
terribili e che era pronta ad usarle e dichiarando legami tra l’Iraq e
il terribile attentato alle Torri gemelle.

Lo ha fatto dichiarando che avrebbe portato pace e democrazia per il
popolo iracheno e in tutto il Medio Oriente.

Lo ha fatto teorizzando, con la "guerra preventiva", il diritto di
imporre la propria volontà e la difesa dei propri interessi, in
qualunque luogo della terra.

Questa guerra è già costata decine di migliaia di vittime civili e
militari irachene, più di 600 vittime - tra cui 19 soldati italiani
caduti a Nassiriya - tra le truppe di occupazione, ha comportato
distruzioni immani e devastazioni ambientali, ha bruciato miliardi di
dollari. Le armi non si sono trovate.

Gli attentati contro civili inermi si sono susseguiti in molte parti del
mondo.

Pace e democrazia non sono arrivate né in Iraq né in Medio Oriente.

AD UN ANNO DI DISTANZA in Iraq la guerra continua a mietere vittime.
La situazione umanitaria in Iraq continua ad essere terribile mentre
crescono pericoli di guerra civile. Alla dittatura di Saddam Hussein si
è sostituita una occupazione militare che trova crescenti resistenze da
parte della popolazione.

Invece di organizzare libere elezioni si nominano governi dall’alto, si
privatizzano le ricchezze irachene e si chiede di abolire il codice di
famiglia facendo arretrare lo status delle donne. La ricostruzione non è
nemmeno iniziata e già è una torta da spartire con i paesi "amici".

A un anno di distanza in tutto il Medio Oriente la pace è più lontana
che mai. In Palestina l’occupazione prosegue brutalmente, mietendo
migliaia di vittime e rischia di diventare irreversibile con la
costruzione del Muro. In Israele si susseguono attentati contro civili
inermi, cresce l’ insicurezza e la crisi economica.

Il governo Sharon, applica la dottrina della guerra permanente, negando
qualsiasi prospettiva negoziale e imponendo il terreno dello scontro
militare.

Il Muro è una vergogna che calpesta il diritto internazionale, segrega
un popolo intero, espropria altra terra, nega la possibilità di
convivenza pacifica fondata sul principio di "due popoli due stati" e
sulle risoluzioni dell’Onu che sono alla base di diverse iniziative di
pace delle società civili palestinese e israeliana.

Ad un anno di distanza dall’inizio della guerra in Iraq il mondo è un
luogo meno sicuro e più ingiusto. La dottrina della guerra "preventiva"
ci minaccia tutti. Minaccia di guerra altri paesi e legittima le guerre
e le occupazioni militari, dall’Iraq alla Palestina, all’Afghanistan e
alla Cecenia.

Spinge al riarmo e alla militarizzazione e minaccia la democrazia in
tutto il pianeta, dai paesi ricchi a quelli poveri.

Rafforza, nel nord e nel sud del mondo, le culture che predicano lo
"scontro di civiltà", le guerre di religione, i tanti integralismi
impegnati a distruggere i valori e le pratiche di convivenza.

Rafforza il razzismo, la discriminazione contro i migranti e tutte le
diversità e spinge verso l’omologazione sociale e culturale.

Nel frattempo, numerose "guerre dimenticate" continuano a provocare
vittime, sofferenze e miseria in Africa, in Asia e in Sudamerica senza
che nessuno intervenga per mettervi fine.

La povertà e le ingiustizie dilagano nel nord come nel sud del mondo a
causa di un sistema neoliberista che la guerra preventiva perpetua.
ANCHE IL GOVERNO ITALIANO è corresponsabile di tanto disastro. Un
Governo che, violando l’articolo 11 della Costituzione, nonostante la
grande contrarietà della popolazione italiana, ha deciso di appoggiare
la guerra in Iraq e ha inviato 3000 soldati sotto il comando britannico
nei luoghi in cui giacciono i campi petroliferi destinati all’Eni,
assumendosi la responsabilità di esporli a rischi altissimi.

Un Governo che ha deciso di partecipare all’"Autorità Provvisoria" delle
forze di occupazione condividendo così la responsabilità delle sue
scelte politiche. Un Governo che ha esautorato il Parlamento dei suoi
poteri a cominciare dalla concessione dell’uso dello spazio aereo, delle
basi e delle infrastrutture per la guerra.

Un Governo che continua ad ingannare gli italiani: ha detto che i
soldati servono a portare gli aiuti umanitari, ma di aiuti se ne sono
visti pochi mentre il Pentagono si appresta ad assegnare a alcune ditte
italiane qualche contratto per la ricostruzione.

CI SIAMO MOBILITATI per evitare tutto questo. Dicemmo allora, in
milioni in tutto il mondo, che quella potenza e quella ricchezza poteva
e doveva essere utilizzata per combattere la fame e la sete e la miseria
che uccide milioni di esseri umani. Dicemmo allora che si doveva porre
fine alle tante guerre dimenticate, invece che cominciarne un’altra.

Dicemmo che la produzione di armi doveva essere riconvertita in
produzioni di pace invece che essere rilanciata, che sono le spese
militari a dover essere tagliate: non le spese sociali.

Dicemmo allora e ribadiamo oggi che queste sono iniziative urgenti,
perché il peso dell’ingiustizia è intollerabile. Sono iniziative che non
possono essere più rinviate se non vogliamo scivolare tutti in un abisso
di barbarie, di disperazione, di conflitti, di insicurezza.

NON ABBIAMO CAMBIATO PARERE e continuiamo ad essere la maggioranza del
popolo italiano, nonostante un sistema dell’informazione sempre più
succube dei tamburi di guerra.

L’Iraq deve tornare agli iracheni, la legalità internazionale deve
essere ripristinata e perché questo avvenga è necessario innanzitutto
che cessi l’occupazione militare. Tutte le truppe occupanti devono
essere ritirate. Serve una iniziativa politica internazionale per la
restituzione della sovranità agli iracheni e la ricostruzione del paese
guidata da un governo legittimo.

Per questo ci siamo battuti e continueremo a batterci per il ritiro
delle nostre truppe.

Il voto del Parlamento a favore del rifinanziamento della missione
italiana è stata una decisione profondamente sbagliata.

Il governo Berlusconi e la sua maggioranza parlamentare sono
corresponsabili della tragedia che sta vivendo il popolo iracheno.
L’adesione del nostro governo alla dottrina dell’amministrazione
americana della guerra preventiva produce solo morte e distruzione.

E’ per questo che la scelta di una parte delle opposizioni di non
esprimere un voto contrario si è posta in contraddizione con le ragioni
e la piattaforma di questa manifestazione. La pace ha bisogno di parole
e atti coerenti.

CHIEDIAMO che l’Italia rinunci a partecipare all’occupazione militare
dell’Iraq e ritiri le proprie truppe. E’ un atto necessario per ricucire
lo strappo costituzionale operato un anno fa e per aprire la strada a
una nuova strategia.

Chiediamo che l’Unione Europea svolga un ruolo di pace e includa il
ripudio della guerra nel proprio trattato costituzionale. Chiediamo che
la comunità internazionale metta le Nazioni Unite in condizione di
sostenere il ritorno della legalità in Iraq, favorendo così la
restituzione della sovranità agli iracheni.

Con la stessa urgenza chiediamo che una decisa iniziativa internazionale
crei le condizioni per una pace giusta in Palestina e in Israele,
imponendo la rimozione del muro, la protezione dei civili e un negoziato
fondato sulle risoluzioni dell’Onu per la fine dell’occupazione e la
convivenza pacifica, ascoltando anche la voce coraggiosa dei giovani
israeliani che rifiutano, pagando di persona, di partecipare alla guerra
e all’occupazione.

IN QUESTO LUNGO ANNO DI GUERRA, abbiamo continuato a sostenere con mezzi
pacifici le ragioni della pace - progetto alternativo di civiltà - nelle
scuole, nelle città, nei luoghi di lavoro, davanti alle basi militari,
dai nostri balconi con le bandiere della pace, nella solidarietà
internazionale, nella lotta per il disarmo, nel dibattito sul trattato
costituzionale europeo, nella solidarietà con le popolazioni migranti,
con la disobbedienza civile, nell’impegno quotidiano per i diritti
umani, sociali e di cittadinanza.

Lo abbiamo fatto insieme ai movimenti di tutto il mondo, che oggi sono
in piazza, perché la resistenza alla guerra, alla sopraffazione,
all’ingiustizia è un diritto per tutti e per tutte, in tutto il mondo.

L’impegno dei pacifisti statunitensi per riportare le truppe a casa, che
reclamano "giustizia e non vendetta", che denunciano la restrizione dei
diritti civili nella loro patria, che si battono per un’altra America è
anche il nostro.

Oggi, ci sentiamo profondamente vicini ai pacifisti e all’intero popolo
spagnolo colpito da un terribile attentato.

Di nuovo è la popolazione civile, sono lavoratori, studenti, immigrati
ad essere colpiti da una strage che non ha precedenti in Europa - e che
drammaticamente accumuna il nostro continente a tutte le aree del mondo
che vivono ogni giorno inaudite violenze contro le popolazioni civili.

Noi ripudiamo tutte le forme di terrorismo da chiunque siano perpetrate
 siano essi Stati, organizzazioni o individui. Allo stesso modo ci
opponiamo all’uso della "lotta al terrorismo" per giustificare le
guerre, criminalizzare i movimenti popolari e restringere le libertà
civili.

La politica della guerra preventiva e permanente, la mancanza di soluzione
alle grandi ingiustizie e ai problemi globali hanno finito per
rendere più insicuro e fragile questo nostro pianeta, dando alimento
alla strategia del terrore.

Contro questa drammatica situazione, noi movimenti rispondiamo non certo
con le politiche di unità con i governi della guerra, ma con la
mobilitazione di massa, con il protagonismo diretto ed autorganizzato
della gente, promuovendo una idea di democrazia che ripudia la barbarie
della guerra e delle stragi e quella dello sfruttamento delle persone,
dei popoli e dell’ambiente.

Proprio per questo il ruolo dei movimenti sociali, per la pace,
antiliberisti, democratici diventa ancora più importante per tenere
aperta la speranza di un mondo diverso e più giusto.

La straordinaria mobilitazione della Spagna dopo la strage dell’11
marzo e il voto di domenica dimostrano che esiste una alternativa alla
logica della guerra permanente, all’orrore dei terrorismi, alla
rassegnazione all’ingiustizia.

Milioni di persone in Spagna sono scesi nelle piazze per dire una sola e
inequivocabile parola: "Paz", per dire "da Baghdad a Madrid no alla
guerra e al terrore", "vostre le guerre, nostre le vittime", per reagire
alla strage chiedendo la fuoriuscita della Spagna dalla guerra.

Il loro messaggio è chiaro: si può cambiare dal basso, con la
partecipazione di tante donne e uomini si possono portare i nostri paesi
fuori dalla guerra. Il nostro impegno dunque continua, incessante.

Non torniamo a casa. Continueremo a lottare, fino a quando l’Iraq sarà
riconsegnato agli iracheni e finiranno le loro sofferenze, fino a quando
l’Italia sarà fuori dalla guerra, fino a quando non ci sarà pace in
Medio Oriente, in Palestina, in Israele e nel resto del mondo, fino a
quando guerra e ingiustizia saranno fuori dalla storia.

Un mondo diverso è possibile, è necessario e noi vogliamo costruirlo.

FUORI LE TRUPPE DI OCCUPAZIONE DALL’IRAQ
L’IRAQ AGLI IRACHENI

PACE IN MEDIO ORIENTE

BASTA ARMI - BASTA GUERRE