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Il centro muove

Publie le domenica 11 luglio 2004 par Open-Publishing

ROSSANA ROSSANDA

Nel tiro alla fune in atto nella Cdl è stata subito visibile la voglia di Fini e Follini di profittare del colpo inferto al premier, e soltanto a lui, dagli elettori. Ma appena Tremonti si è dimesso è diventato visibile che li muoveva un intento diverso: Fini s’è fermato di colpo, non perché avesse già ottenuto molto ma perché il suo destino come uomo di governo è legato a Forza Italia; Follini va avanti, perché punta sul formarsi a medio termine di un governo diverso. Un governo di centro. Che sbaraccherebbe Bossi e Fini, prendendosi forse una parte di Forza Italia, e che si delineerebbe nella raccolta delle sparse membra della Dc - si trovano oltreché nella Udc, nell’Udeur passata e presente, in D’Antoni, nella Cisl, in non pochi personaggi passati in Forza Italia dopo il diluvio.

E tosto la Margherita gli ha mandato vistosi segni di attenzione, mentre è noto che sia la Banca d’Italia di Fazio sia la Confindustria di Montezemolo gli farebbero buon viso: non hanno mai nascosto la diffidenza per la quadriga berlusconiana. Non si può dire se l’operazione approderà, in quali tempi e modi ma è stata delineata ed è ormai una carta politica sul tappeto. Che segnala, fra l’altro, la crisi del nostro bipolarismo. Berlusconi si batterà come un leone per soffocarla in fasce. Ha incassato già troppi colpi, dal voto all’alt al suo interim a tempo indeterminato. Ma non è uomo che lasci il campo. Reggerà con mano ferrea i tre tavoli, concedendo tutto fuorché l’essenziale, che è la sua leadership e la sua linea, versione italica della reaganomics, e la reaganomics è di moda. Giocherà a fondo la sola carta grossa che ha, la riduzione delle tasse, ma se Follini non rientrerà lo lascerà appeso alla maggioranza esterna prefiggendosi di togliere la Udc di mezzo a qualsiasi prossima elezione - aveva già tentato alle Europee.

Ma la maggior fibrillazione è nel campo riformista. Prodi mirava a un incontro con i Ds (Scoppola dice un nuovo compromesso storico) da opporre alla Cdl nello schema bipolare che gli è caro. D’Alema mirava allo stesso obiettivo. E malgrado che aver ottenuto il 31 per cento dei voti non fosse entusiasmante, sarebbe bastato ad andare avanti se Rutelli e Marini, puntando su una Margherita umiliata alle elezioni, non avessero colto al volo la mossa di Follini mandando a picco il partito riformista. Neanche la base Ds piange per l’affossamento del progetto, la sinistra perché così lo scontro è rimandato, gli eletti di ogni tipo perché senza l’esile Margherita ci saranno più posti da spartire. Insomma, Follini ha tirato in porta come una volta facevano Beckham e Zidane, le sinistre, che non hanno avuto alcun ruolo nella vicenda, si dividono fra moderati entusiasti e radicali preoccupati. In verità non c’è granché da festeggiare.

Che esca dall’orizzonte Berlusconi non è indifferente, ha mutato la costituzione materiale e formale del paese, è stato la sponda politica della mutazione culturale seguita al 1989, ha assorbito i peggiori umori della destra, ha corrotto l’idea stessa di potere personale e politico. Ma come non chiedersi perché l’opposizione non è riuscita né ad abbatterlo né a metterlo in difficoltà? Perché l’eventuale mutamento porta il marchio della classe dominante, e perdipiù con antiche tonalità democristiane? Non vedo perché l’Unità si entusiasmi per l’avviso di Standard & Poors. Come Fazio e Monti, quel che si vorrebbe è un paese meno indecente, un leader meno compromesso, un governo meno bovino verso il sindacato e, per gli industriali, la tregua di uno scontro sociale troppo acerbo. Ma anche dei conti meno imbarazzanti e quindi quelle riforme strutturali che significano secondo l’Ocse, Fazio e le agenzie di rating, una botta solenne alle pensioni e domani al bastione già intaccato della sanità. Insomma, un liberismo duro ma pulito.

Sono obiettivi legittimi della classe dominante. Non è il caso di vestirsi in lutto e sospettare di tradimento Epifani a ogni piè sospinto. Ma bisogna attrezzarsi a uno scenario del tutto imprevisto. Scriveva Lunghini ieri che il programma è bell’e fatto: è la Costituzione. Già. Ma chi l’ha messa - bicamerali incluse, federalismo incluso, pacchetto Treu incluso - sotto sterzo se non il governo delle sinistre? Chi, con quale blocco sociale - perché è sicuramente mutato - con quali tappe la proporrebbe oggi contro venti e maree? Un programma è un «che cosa» e un «come». Ma su questo nessuno si espone, se non per dichiarazioni general generiche, salvo la Fiom. Alla quale non toccherebbe e che da sola non può. Non cesseremo di insistere perché ci si dia una mossa.

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