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Il governo contro nave migranti nel Canale di Sicilia
Publie le domenica 4 luglio 2004 par Open-Publishingdi Stefano Galieni
La nave umanitaria di una ong tedesca raccoglie 37 chiedenti asili che rischiano di annegare nel Mediterraneo. Da giornio attende a largo di Porto Empedocle l’autorizzazione a raggiungere la Sicilia. L’irresponsabile rifiuto del governo italiano.
«Erano 37, sfiniti, col motore in avaria e senza più acqua da bere. Non sarebbero sopravvissuti a lungo. Li abbiamo trovati in tempo». A parlare non è il comandante di una delle tante navi militari che pattugliano costantemente il canale di Sicilia, né tanto meno di un peschereccio che ha ricevuto l’sos o che li ha avvistati. Si tratta di una nave civile che da settimane perlustra l’area che dalle coste siciliane e da Lampedusa si estende fino ai paesi del Nord Africa, sapendo che prima o poi qualche barcone bisognoso di aiuto, transiterà.
E’ la nave di Cap Anamur, organizzazione umanitaria tedesca che da anni cerca di soccorrere i boat people sparsi nel pianeta. Quest’anno ha scelto questa zona che reputa altamente rischiosa per prestare la propria opera di intervento marino, che inevitabilmente finisce con l’assumere anche un significato politico. Già da anni si tratta di un’area di stabile emergenza, era prevedibile che con la bella stagione gli sbarchi sarebbero ripresi.
Il gommone, con a bordo i 37 richiedenti asilo, provenienti da paesi dell’Africa Sub Sahariana, probabilmente dal Sudan, è stato intercettato il 21 giugno. Non sarà parso vero ai naufraghi di trovare accoglienza, cure mediche e una branda confortevole per riprendersi dalle fatiche. Erano a 90 miglia dalle coste libiche e probabilmente non avrebbero potuto andare avanti né tornare indietro, ma rappresentano solo una percentuale minima di coloro che cercano di sfuggire alle guerre.
La maggioranza neanche riesce a raggiungere le coste dei paesi del Maghreb, o si trascinano per itinerari che durano mesi. Eppure i numeri parlano chiaro, come ricorda lo stesso Elias Birdel, presidente di Cap Anamour: tra il 20 e il 22 giugno, solo a Lampedusa sono giunte due imbarcazioni per un totale di 335 persone, un ragazzo di nazionalità incerta è morto, in seguito a mai chiarite fratture, nell’ospedale di Palermo, dove era stato ricoverato.
La frontiera dell’Europa meridionale è divenuta una delle zone più militarizzate del pianeta. Accanto alle motovedette delle marine nazionali, c’è un pattugliamento costante della Nato, elicotteri ed aeroplani sorvolano a bassa quota le onde; invece di pensare a come soccorrere persone che rischiano la vita se rispedite al proprio paese, ci si preoccupa di blindare le coste, di respingere, di rendere più rischioso l’approdo.
I servizi di sicurezza, nel delineare gli scenari del 2004 per l’immigrazione parlano chiaro: si dice che bisogna rendere più "rischiosi" i viaggi per renderli più costosi e meno accessibili, sperando così di ridurne la portata. E poi progetti fantascientifici che ogni tanto riaffiorano: armi intelligenti, siluri, reti, liquidi scivolosi, tragica parodia di James Bond e grandi affari per chi gestisce simili investimenti.
Anche tenendo conto di queste informazioni, la missione di Cap Anamur è rimasta in ombra per settimane, nonostante sul sito dell’organizzazione circolassero già notizie. Sarà interessante vedere come verrà accolta dalla capitaneria di porto e dalle autorità una missione destinata a provocare e a suscitare scalpore. Difficilmente si impedirà l’attracco ad una nave di un paese influente dell’Unione Europea, per precauzione è però pronta una task force di parlamentari decisi a recarsi sul posto.
Altra preoccupazione, per un governo riottoso ad occuparsi di simili problemi e per un parlamento che sta per discutere un disegno di legge atteso da 50 anni che definisca le procedure per ottenere l’asilo politico in Italia, la gestione dei 37 sudanesi a bordo. Teoricamente la richiesta di asilo potrebbe essere fatta direttamente alla Germania - la nave batte bandiera tedesca - ma, come ricorda Fulvio Vassallo Paleologo dell’Asgi, esiste un’altra possibilità. La convenzione di Dublino, che disciplina la materia in sede Ue, prevede che la richiesta, per ragioni umanitarie, possa essere fatta anche al paese in cui i profughi sbarcano. Decisione non facile a cui sarà chiamato in tempi brevi il governo anche se simili procedure potrebbero richiedere giorni e giorni.
La nave comunque entrerà nelle acque italiane nelle prossime ore, sempre che nel frattempo non vengano individuati altri natanti da soccorrere; non attraccherà come previsto a Lampedusa, il cui porto è troppo piccolo rispetto alle dimensioni della Cap Anamur, ma più probabilmente in una località siciliana da concordare con le autorità italiane.
Una piccola provocazione, quella di Cap Anamur, verso la società civile e verso la politica: sorda. Verso chi si commuoveva di fronte alle tante vittime consumate un quarto di secolo fa, nel Mar della Cina, ma che oggi chiede di sparare contro persone che fuggono da condizioni altrettanto inaccettabili verso il Mare Nostrum, faro di diritti e di democrazia.
Parla il regista dell’operazione, Elias Bierdel, presidente di "Cap Anamur"
Elias Bierdel dirige "Cap Anamur", un’organizzazione umanitaria storica che opera da anni con una sua specificità, il soccorso in mare. Lo raggiungiamo telefonicamente mentre dal quartier generale di Colonia coordina l’operazione nel Mediterraneo.
Perché proprio il mare?
In realtà la nostra Ong non opera soltanto in mare. È vero che abbiamo iniziato con il soccorso dei boat people vietnamiti 25 anni fa, portando in Europa e negli Stati Uniti 11 mila persone e recuperandone tante altre ma quello era solo l’inizio. In realtà siamo nati per operare in ogni luogo in cui ce ne fosse stato bisogno. Abbiamo lavorato in Africa, in Cambogia, in Cecenia, portando aiuti, medicine, costruendo scuole, ospedali, strade. In Afghanistan tre anni fa abbiamo realizzato 38 scuole e un grande ospedale.
Come vi finanziate?
Abbiamo sempre rifiutato i soldi dei governi, delle chiese e dei partiti. Ci teniamo a conservare la nostra indipendenza totale e quindi accettiamo i tanti aiuti che ci arrivano dalle persone comuni, da quella società civile che di fronte a certi drammi non si volta dall’altra parte.
Perché il nome "Cap Anamur"?
Abbiamo scelto questo nome da quando abbiamo cominciato a lavorare in Africa. Cap Anamur è il nome della nave che abbiamo acquistato a dicembre 2002, è anche il nome di una località della Turchia ma a noi piaceva molto il suono, fa venire in mente l’importanza dell’amore.
Siete in molti?
Circa 500 divisi nei diversi progetti, molti in Africa: occidentale - Sierra Leone, Angola, Liberia - e orientale, l’Etiopia per esempio, da cui si fugge verso l’Europa per chiedere asilo.
Come è nata la missione nel Canale di Sicilia?
Nei mesi scorsi abbiamo tentato di andare in Iraq, siamo finiti nel porto di Aqaba, sul Mar Rosso. Poi siamo approdati a Malta e abbiamo visto con i nostri occhi i livelli di militarizzazione dell’isola per reprimere il traffico delle persone. Ci ha incuriosito, sapevamo che il Mediterraneo era una zona complessa.
Poi, una volta in mare?
Un pullulare continuo di controlli, gli aerei militari che ci riprendevano, una corvetta che ci ha raggiunto e i militari che ci hanno cominciato a fare domande sul carico, sui documenti, sulla nazionalità dei presenti a bordo. Lo hanno fatto in acque internazionali senza chiedere autorizzazioni.
Avete contattato il governo italiano?
No. Del resto neanche le autorità italiane ci hanno voluto contattare, eppure lo sanno che abbiamo a bordo 37 richiedenti asilo sudanesi in cattivo stato di salute. Hanno sofferto il viaggio e la sete e li stiamo curando.
Ora cosa intendete fare?
Tra stasera e domani mattina chiederemo di approdare. La nostra nave è troppo grande per il porto di Lampedusa quindi sbarcheremo in Sicilia ma dobbiamo decidere dove in accordo con le autorità marittime del vostro paese. L’importante è che i naufraghi vengano accolti e messi in condizione di potersi riprendere e chiedere asilo.
Approva le politiche italiane sulle frontiere?
La nostra è una organizzazione umanitaria e quello che esprimo è un parere personale. In 10 anni - ma è una cifra per difetto - sono morte nelle vicinanze di Italia, Spagna e Grecia almeno 5mila persone. Solo il 50% delle imbarcazioni che partono dalle coste africane arriva a destinazione. Io penso che questa sia una vergogna per tutta l’Europa. L’immigrazione è un fatto strutturale in tutto il mondo: pensare di poterla fermare è non solo sbagliato ma irrealizzabile. Se la "fortezza Europa" resterà chiusa ci sarà sempre chi tenterà di scavalcarla, pagando anche con la vita il tentativo. Un costo enorme è stato già pagato.
Liberazione