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Dazibao Cinema-video - foto Enrico Campofreda
“Nello spazio di alcuni giorni abbiamo perduto ogni certezza. Ci troviamo
su una china tremenda e irresistibile. Niente di ciò che paventiamo è impossibile;
c’è da temere e immaginare tutto” (Paul Valéry, 18 giugno 1940).
di Enrico Campofreda
È l’opera più famosa del maestro della Nouvelle Vague per successo commerciale,
internazionale e della critica (ricevette dieci Césars) ma nei confronti dello
spettatore riesce a essere meno empatica di altre pellicole.
Scegliendo come soggetto la vita nella Parigi occupata dai nazisti il regista
fa quello che altri suoi colleghi avevano evitato: andare indietro con la memoria
e ricordare non solo il dramma dell’invasione tedesca e il peso del giogo nemico
ma l’onta del governo di Vichy. Va dunque a toccare una ferita mai sanata che
la popolazione sente ancora addosso: la vergogna del collaborazionismo filonazista,
con l’aggiunta della zona grigia di chi anziché combattere adottò la tattica
dell’attesa.
E posando lo sguardo su un gruppo di teatranti Truffaut esamina i comportamenti più generali della collettività. Questa, pur manifestando il disappunto per ciò che accade, sa attendere l’evoluzione degli eventi. Non è una forma di passività: la riprovazione per l’occupazione nazista traspare nettamente nella fermezza della madre che lava la testa del figlio carezzato da un soldato germanico o nella riprovazione mostrata dall’operaio tuttofare del Teatro Montmartre che dileggia Dixiat, il critico teatrale collaborazionista. Per tacere del risentimento provocato dai continui allarmi aerei che fanno correre la popolazione nei sotterranei del métro.
Ma proprio il métro testimonia la voglia di vivere dei parigini: l’ultima corsa è sempre piena di gente che rincasa dopo una serata nei teatri che, pur soggetti alla censura, fanno il pieno. Chi perde l’ultimo métro può avere guai nella notte diventando ostaggio di nazisti e spie; però anche nei momenti più bui della storia la vita deve proseguire. Lo spirito di adattamento è altissimo: si coltiva tabacco in uno spicchio di terra, si aggira il black-out azionando a pedali fari di automobili per illuminare casa o il palcoscenico.
Figura simbolo di tale spirito d’adattamento è Marion Steiner (Catherine Deneuve) che dopo la fuga - falsa - del marito e regista ebreo Lucas riesce a sostenere il gravoso peso di tenerlo nascosto nei sotterranei del teatro, accudirlo amorevolmente, far proseguire l’attività artistica mettendo su una compagnia che recita una pièce di Lucas stesso e trattare diplomaticamente l’acido e razzista critico teatrale Dexiat. In Marion tutto è flessibile, provvisorio, lei sa attuare compromessi che tornano a suo vantaggio anche nella vita, come poi si scoprirà con la passione celata per il compagno di scena Bernard Granger (Gérard Depardieu).
Quest’ultimo è l’esatto contrario di Marion, appare sempre per quello che è: inguaribile corteggiatore, uomo emotivo nella vita pubblica e privata, tanto che mostra l’aperta avversione all’occupazione tedesca sia aderendo con l’amico Christian alla Resistenza, sia aggredendo il collaborazionista Dixiat che con la sua critica aveva stroncato la rappresentazione della compagnia degli Steiner. Quanto Marion è enigmatica e distaccata tanto Bernard è esplicito e passionale. Eppure fra i due opposti nasce l’attrazione temuta e soffocata da Marion che si tradisce, lei fredda, con un bacio sulle labbra del collega a conclusione dell’applauditissima prima de ‘La disparue’. Ma sarà solo il via libera dato da Lucas a Bernard (i due s’incontrano nel sotterraneo durante una perquisizione della Gestapo) a consentire lo sblocco dell’attrazione fra Marion e l’attore del Grand Guignol.
E fra una coppia che s’allontana (Marion e Lucas) e una che s’unisce (Marion e Bernard) non prevarrà nessuno. Come in altre storia narrate il leit-motiv di Truffaut sulla coppia è critico e dubbioso. Ogni relazione ha tempi circoscritti, anche nella sua più elevata passionalità è destinata all’insuccesso. E sul finale del film, come in “Jules e Jim”, il regista infischiandosene delle convenzioni strizza l’occhio al triangolo amoroso: Marion, mentre conclude l’ennesima pièce in una Parigi ormai liberata, è fra i due uomini e stringe la mano al marito Lucas e all’amante Bernard. Ed è sempre la donna il fulcro della liaison.
Lucas impersona il grande saggio, la cultura l’aiuta a tollerare i rovesci del destino quando deve nascondersi per mesi per evitare la deportazione e continua, pur in quelle condizioni di ‘prigionia’, a lavorare per il teatro. Sia quando per non perdere l’amata Marion non ostacola la passione della donna per l’attore-rivale.
La carrellata dei personaggi, in un democratico spaccato dei gusti sessuali, presenta anche le tendenze omosex della costumista Arlette e dell’attore e poi vice-regista Jean-Loup. Con delicatezza e pudore, prima del ciclone Almòdovar.
Regia: François Truffaut
Soggetto: François Truffaut, Suzanne Schiffman
Sceneggiatura: François Truffaut, Suzanne Schiffman, Jean-Claude Grumberg.
Direttore della fotografia: Néstor Almendros
Montaggio: Martine Barraqué
Interpreti principali: Catherine Deneuve, Gerard Depardieu, Jean Poiret, Heinz Bennent
Musica originale: Georges Delerue
Produzione: François Truffaut
Origine: Francia, 1980.
Durata: 131 minuti
Info in rete: François Truffaut, a cura di Delpias