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LA CRONACA CINEMATOGRAFICA DI EMILE BRETON : INCONTRI A PERUGIA
Publie le giovedì 23 dicembre 2004 par Open-Publishing
di Émile Breton
Ci sono festival-vetrina, piattaforme di lancio per i film. Hanno la loro utilità,
ma perché attardarcisi, tutti ne parlano. Per loro lo spettacolo non é in una
sala ma sui gradini che permettono di accedervi: il pubblico é invitato, dietro
solide barriere, a guardare sfilare le star. E per coloro che, troppo lontani
dalle barriere di sicurezza, non possono assistere alla cerimonia, subentra la
televisione, che porta a casa loro le vedettes di una serata. E poi ci sono gli
altri, i festival che non temono di mostrare film già visti, di invitare autori
poco noti, ma che si fanno una certa idea del cinema e tengono a farla condividere.
Cosi’ "Batik", a Perugia (Italia), che esiste solo da qualche anno, afferma con
un vigore giovane la sua personalità, centrando ogni anno la programmazione ed
i dibattiti su un tema diverso. Invece di correre dietro l’ultimo grido della
moda, si tratta di imparare a vedere cio’ che passa da un film all’altro e quali
nuove letture possono generare questi corti-circuiti.
Quest’anno il festival festeggiava un quasi centenario, quello di Jean Vigo, nato nel 1905. L’idea stessa di mettersi fuori delle date commemorative partecipava del tema scelto: "Cinema ed eresia". Che questo termine, eresia, non sia stato scelto unicamente in funzione delle sue connotazioni abituali, una frase del programma lo annunciava chiaramente, ricordando la tentazione di parlare di tuffo a proposito di questa programmazione: "Occorre tuffarsi, era detto, é Vigo che ce lo dice, per ritrovare le immagini stesse della memoria." Vigo, dunque, ma anche Philippe Garrel con Sauvages innocents, Olivier Assayas e tutti i suoi film, il Cinese Jia Zhang Ke di Pickpocket, Plateforme, ai quali si aggiungeva il suo ultimo film, ancora inedito in Francia, Jean-Marie Straub e Danielle Huillet, Hou Hsiao-Hsien, una riflessione impegnata, sostenuta da film su "la televisione come utopia", le piste potevano incrociarsi, si potevano leggere le corrispondenze fra queste diverse "lezioni di cinema". Si trattava in effetti di film che prendevano poisizione rispetto alla società, ma a partire da vie nuove: il "fare cinema", si diceva laggiù, sottolineando l’importanza del "fare", inseparabile da quello che c’é da dire.
Bell’incontro con film che prendevano un senso "strusciandosi" gli uni agli altri, ma anzitutto sorpresa nel vedere l’affludenza ad ogni proiezione. Che a mezzanotte e mezza il "teatro del Pavone" - splendida sala all’italiana, certo, con stucchi dorati a tutti i piani, tre file di galleria e di palchi dipinti - sia pieno fino al soffitto per vedere l’Atalante, di Vigo, e che l’indomani lo stesso pubblico faccia al Morlacchi - altro capolavoro di architettura teatrale attrezzato per le proiezioni cinematografiche - la stessa accoglienza a Sauvage innocence, di Garrel, e a l’Eau froide, di Assayas, da la misura del lavoro fatto sul posto tutto l’anno da Alessandro Riccini Ricci ed dal suo giovanissimo gruppo. E rari sono senza dubbio i luoghi dove un sabato mattina alle dieci si potrebbero riunire settanta persone per ascoltare dei perfetti sconosciuti (in effetti erano tutti Francesi) che partecipano ad una tavola rotonda intorno ai diversi restauri dell’Atalante. Questo avveniva nella sala dei Notai, i muri e le volte ornati di splendidi affreschi del Quattrocento sui quali nessuno aveva voglia di alzare gli occhi. Non ci si stupirà: Perugia, antica città dove la dolcezza dei lineamenti dei morti scolpiti sulle tombe si ritrova nella grazia di un Cristo del Perugino, pittore del XVI secolo qui presente ovunque, ospita una delle più antiche università per stranieri. Città accogliente, città aperta dove si fiancheggiano tutti gli stili, dalle rovine dell’Antichità agli eleganti negozi del XX secolo, non ha niente della città museo. E’ giovane. Sugli alti scalini della cattedrale medievale, il sabato sera, ragazzi e ragazze si siedono a parlare, bere, fumare. E’ la loro aula, che occuperanno per tutta una notte di passioni. Ed é cosi’ il loro rapporto col cinema: lo guardano, amano parlarne. Rapporto d’amore che giova al festival. Non si avrà tuttavia l’ingenuità di credere che cio’ é dovuto solo alla storia della città. Sarà stato necessario, tutto l’anno, mobilitare le energie della municipalità (di sinistra, ovviamente) e delle associazioni cittadine per permettere questa festa di una settimana e perché le sale siano aperte gratuitamente. "Solo cosi’, scrive Cristina Piccioni sul Manifesto del 15 dicembre, si puo’ costruire un’opposizione risoluta alla politica culturale (dei finanziamenti) dell’attuale governo, che vorrebbe sopprimerli."
E’ quello che ricorderemo di questo festival, che é un esempio, non solo per l’Italia.
Tradotto dal francese da Karl&Rosa di Bellaciao
http://www.humanite.presse.fr/journal/2004-12-22/2004-12-22-453454