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Le ragioni della pace sfrattate dall’ assenza di una vera politica di pace.
Publie le mercoledì 24 marzo 2004 par Open-PublishingQuello che è successo nella rappresentazione mediatica della manifestazione di sabato è l’ennesimo sfratto che subisce il cittadino/a della pace, che per ogni dove si batte contro la demenzialità di un genere umano ancora incline ad utilizzare la guerra e il terrorismo come mezzi per la risoluzione dei suoi conflitti .
Il movimento per la pace italiano (se esiste) sembra dover giocare oggi un’altra partita imprevista (come se non ci bastasse quella aperta contro tutte le atrocità che succedono nel mondo): quella della sua autonomia dalla disputa dei partiti della sinistra e della destra, che sulla questione pace, hanno ormai costruito il loro “protocollo di guerra” anche in vista delle future scadenze elettorali.
È ormai evidente che siamo imbrigliati da questa dinamica e non basta più neppure scendere in piazza con un milione di persone per affermare il valore della pace e il tabù delle guerre e del terrore: questi contenuti non fanno notizia.
Si è finalmente colta la preminenza politica della ’pace’, il fatto che oggi la politica sia simbolizzata soprattutto dalle pratiche pacifiste; è un grande passo per la cultura politica planetaria; ma qui in Italia ecco che tutti, furbescamente, provano a salir sopra a questo carro e iniziano a pontificare, minacciare, manipolare e mistificare...
Questo movimento, se non vuole ancora una volta essere usato da altri, deve fare un passo in avanti lasciando indietro chi vuole fare della pace un terreno occasionale di scontro; oggi è la pace, ieri era l’articolo 18 o la costituzione europea, e così via ; continuando di questo passo le domande fondamentali di cambiamento continueranno a non aver voce, coperte dal frastuono mediatico di questi pezzi di potere autoreferenziale che non hanno alcun interesse a mettersi in gioco e sono sempre più incapaci di leggere quello che sta accadendo al di fuori della loro provinciale appartenenza.
Gli episodi terrificanti di questi giorni/ore continuano a lasciare sul terreno reale vittime innocenti e morti più o meno uguali anche se alcuni più uguali di altri e noi non riusciamo a proporre altro che inutili miserie di protagonismo, strazianti riunioni sul posizionamento politico e sterili comunicati stampa.
Dunque occorre uscirne, ma abbiamo l’impressione che molte parti di movimento si stiano facendo trascinare da questo vortice, “ubbidendo” ancora una volta o all’uso della violenza ed abbandonando completamente la strada a soluzione più creative e nonviolente per esprimere i propri dissensi, o viceversa “ubbidendo” ad altra violenza, quella dell’ordine gerarchico prodotto all’interno della sacra casta dei contenitori istituzionali. Non è accettabile lasciarsi trascinare da questa spirale, dobbiamo rifiutare lo schiacciamento su questa falsa contrapposizione, dobbiamo stare su altro.
Questo significa, secondo noi, continuare a non stare nè da una parte nè dall’altra: sono entrambe ’violenze’ inaccettabili, ubriacatura massmediatica, prepotenza e mistificazione...
La violenza oggi si esercita attraverso la costruzione legale di dominii strutturali e culturali, che limitano il loro ricorso all’aggressione palese ed esplicita, ma controllano idee, atti e contesti mediante una quotidiana aggressione coperta ai nostri pensieri e alle nostre emozioni.
I poteri che agiscono istituzionalmente e legalmente la violenza secondo queste modalità, e ne detengono il monopolio,
le istituzioni economico/finanziarie (multinazionali, banche, borse…)
le istituzioni politiche (i ceti politici professionali, le organizzazioni burocratiche...)
le istituzioni informative e dello ‘spettacolo’ (i mass-media, i circuiti produttivi di ‘cultura’)
le istituzioni militari (gli eserciti, le forze di polizia, i servizi segreti, le alleanze internazionali…).
ci attorniano e ci massacrano quotidianamente.
Le possibilità attuale di incidere su questi poteri istituzionali e di limitarne la violenza è limitatissima. La guerra in Iraq ne è stata l’ennesima controprova: nonostante l’attivazione di milioni di persone nel mondo, e la loro uscita dalla passività in cui il modello suddetto le induce, le istituzioni della violenza hanno deciso altrimenti e la guerra si è fatta ed è ancora in corso. Il rischio terroristico ci impaurisce e vuole chiuderci sempre più nelle nostre case.
Le attuali istituzioni politiche e partitiche, collaborano sostanzialmente e concretamente, ed a volte inconsapevolmente, al mantenimento e allo sviluppo di questo sistema di violenza. Ci sono certo differenze (tra i partiti, tra i parlamentari, tra gli attivisti…), ma -salve eccezioni minoritarie- non sul modello di fondo: sviluppo economico, professionismo politico, controllo dell’informazione e sicurezza militare rappresentano per loro i pilastri dell’unica vita possibile oggi. I programmi politici ed elettorali ne sono intrisi, e non lasciano speranza sulla loro disponibilità al cambiamento.
Le carovane sono passate e molto hanno prodotto e rappresentato di quel popolo della pace che nei territori “insorge” alla logica degli stati belligeranti, contrapponendo un modello di relazioni che riscopre la reciprocità e la solidarietà a fondamento del comune agire.
Come valorizzare questa umanità? Come costruire un nuovo rapporto tra le comunità territoriali?
Come far passare una politica di Disarmo? E’ su queste domande che dobbiamo elevare il conflitto nel movimento, sono finiti i tempi della mediazione al ribasso, proviamo a spostare l’obiettivo senza aver paura di rompere l’equilibrio fragile che rischia di farci scomparire nei continui distinguo, ma soprattutto rischia di non modificare per un nulla le “disumanità” che tanto ripudiamo.
Il problema dunque è quello di creare un luogo stabile che costruisca una vera politica di pace.
Un tavolo di reti o una rete di tavoli che si ponga alcuni obiettivi:
– non entrare in simmetria, essere ‘intelligenti’ ed innovativi nel nostro modo di agire (chiamiamola nonviolenza, non violenza, non-violenza, o come vi pare...)
– non essere dipendenti dai partiti, sia strutturalmente che culturalmente
– fare informazione indipendente
– proporre alternative credibili alla forza militare.
– porre la questione del disarmo nella sua più ampia accezione(culturale,economica,sociale...)
– proporre reti o anelli di solidarietà nei sud globali
– costruire partecipazione di pace nei territori.
Questo significa anche, secondo noi, iniziare a proporre una serie di iniziative e campagne più selettive, che creino di per sè una gradazione evidente e non mistificabile tra ’livelli’ di pacifismo: un corteo di massa non ha queste caratteristiche, una vaga campagna per la pace neppure...
Tutti con documenti propri possono parteciparvi e forse è anche giusto che sia così...
Ma se iniziassimo, con chi ci sta tra di noi, ad attuare, anche ed invece:
boicottaggi di massa mirati;
un’obiezione alle spese militari ben fatta;
azioni dirette coordinate su vasta scala;
se avviassimo una politica di riconversione dell’industria bellica;
un primo spostamento di risorse verso difese non militari (ad es. la proposta del 5% annuo);
la coordinazione e lo sviluppo (integrato all’azione umanitaria di alcune ONG) di forze di interposizione nelle aree di conflitto;una proposta chiara ed esigente sulla transizione irachena e sul ruolo preciso e vincolato dell’ONU...
Allora inizieremmo ad esistere davvero come movimento per la pace e non solo come un Tavolo che fa un corteo all’anno... E’ necessario andare oltre.
Che cosa ne pensiamo, lillipuziani ?
Che cosa ne pensano le Associazioni lillipuziane che fanno parte anche della Tavola ?
Riusciamo ad arrivarci insieme, con delle proposte ’lillipuziane’ comuni ?
La vostra difficoltà è anche la nostra, è quella di tutti, in un momento come questo.
Ma crediamo sia giunto il momento di scegliere, di non stare più nel guado.
I tempi sono maturi. Il corteo del 20 marzo rappresenta per noi lo spartiacque, il limite oltre il quale o ci sarà il nuovo, un salto rispetto al passato, oppure non avrà più senso parlare di un vero movimento per la pace in Italia. Saremo soltanto, come ora, un’ insieme improvvisato e frammentario, continuamente in preda alle frenesie elettorali, sempre in mano ai burattinai di sempre...