Home > Non c’è niente di più violento dell’ipocrisia.
Colgo l’occasione offerta dall’articolo di Rasimelli per rispondere a mia volta a tutte e tutti, esponendo il mio pensiero sulla questione dell’unità del movimento per la pace e della sua rappresentanza politica.
Il movimento italiano si è caratterizzato per la grande chiarezza e radicalità di posizioni, dapprima il 15 febbraio con il NO ALLA GUERRA SENZA SE E SENZA MA, ed oggi con il RITIRO IMMEDIATO DELLE TRUPPE DALL’IRAQ.
L’aggettivo immediato non è peregrino, ma espressione di un ragionamento politico che è il seguente:
– ogni giorno che passa ci sono nuovi morti in Iraq, prodotti dalla occupazione militare di cui l’Italia è complice. Allungare i tempi significa allungare l’ingiustizia, consentire agli USA di mantenere compatto o quasi il fronte dei falchi attorno a sé, esporsi sempre di più alle ritorsioni terroristiche che fanno di noi un bersaglio come la Spagna.
– Considerare una media di un centinaio di morti a settimana, più il rischio di attentati in Italia ed in Europa, fa una bella differenza tra marzo e luglio;
subordinare il ritiro delle truppe al ritorno dell’Onu in Iraq non ha alcun senso politico e militare. Infatti l’ONU, se per essa consideriamo una forza di garanzia neutrale, effettivamente composta da truppe non belligeranti e non occupanti, non può entrare in Iraq fintantoché perdura l’occupazione angloamericana ( più willings) perché se lo facesse avallerebbe l’attuale situazione di illegalità internazionale, diventerebbe complice dell’attuale occupazione e dunque sarebbe assimilabile agli attuali nemici dell’Iraq(e
praticamente sarebbe messa nelle condizioni di dover fare guerra al popolo iracheno insieme agli USA e di subirne gli attacchi ).
In conclusione la questione dell’ingresso dell’Onu in Iraq non è praticabile alle attuali condizioni imposte dagli USA e per poter sostenere il ruolo neutrale dell’ONU bisogna inevitabilmente rompere ogni complicità con i falchi e ottenere il ritiro delle truppe e delle basi militari.
Si tratta di aprire un conflitto col potere più armato del mondo e con la legge del più forte, si tratta di aprire un processo, di lasciare aperta l’opposizione globale a questo mondo impossibile.
Su questo Fassino non è affatto d’accordo, come ha dichiarato nell’intervista a Gabriele Polo circa un mese fa, poiché ritiene che gli Stati Uniti debbano restare in Iraq "sotto l’egida dell’ONU".
Qui è impossibile ogni ambiguità. Il movimento per la pace non sa che farsene di una ONU che fornisca di caschi blu i marines, che consenta l’attuale aberrante processo politico ed economico di spoliazione dell’Iraq, che non porti a nessuna pacificazione in quel paese e in tutto il Medio Oriente, ma anzi accomuni la stessa Onu tra i bersagli di guerra.
Ciò significa considerare per l’Italia che i pozzi di petrolio di Nassirya non siano il nostro bottino di guerra o il compenso per il sangue dei nostri soldati morti, ma una futura eventuale operazione commerciale da far decidere al futuro "libero e sovrano" governo dell’Iraq. Ma questo urta contro una concezione coloniale che non è completamente estranea alla vecchia Eni ed al vecchio centro sinistra.
Conclusione di questo primo punto: il ritiro delle truppe viene prima di ogni eventuale intervento ONU. Dire ritiro immediato senza se e senza ma significa:
non ci prendiamo in giro, non accettiamo inciuci sull’ONU, non accettiamo che l’ONU diventi quello che ha chiesto Colin Powell e che Kerry difende, ovvero la scialuppa di salvataggio dell’unilateralismo americano in crisi che mantiene il suo dominio militare ed economico sull’area (con qualche presumibile distribuzione di vantaggi ai neo-alleati dell’ultima ora), travestito da multilateralismo internazionale.
Su questa eventuale operazione internazionale fintamente pacificatrice non siamo d’accordo né con Fassino , né con Colin Powell, né con Kerry (tralascio gli altri personaggi del triciclo italiano per brevità).
Circa Zapatero, ha avuto il merito di dire per la prima volta al fronte dei falchi "RITIRO LE TRUPPE", ma ci sono troppi se e troppi ma. Infatti il 30 giugno le truppe verranno ritirate SE non entra l’Onu in Iraq.
E’ invece presumibile che proprio l’inciucio Onu prenda corpo e che serva da alibi per mantenere le truppe di tutti lì sul campo e continuare l’oscena occupazione, col plauso anche del centrosinistra italiano.
Ma il movimento italiano per la pace di cui faccio parte non berrà questo imbroglio, e probabilmente neanche quello spagnolo. Da qui nasce una rottura
insanabile, non certo una convergenza tra la volontà popolare e i leaders politici di cui parla Rasimeli che hanno a suo dire una posizione più mediata ma convergente.
Io questa convergenza non la vedo, vedo sempre un equivoco. I parlamentari del centrosinistra avevano in Italia una straordinaria occasione, tutta politica, per unirsi al movimento per la pace: potevano votare NO al rifinanziamento della missione militare in Iraq.
Avevano anche la miracolosa opportunità di votare No anche alla missione in Afghanistan, facendo così una doverosa e implicita autocritica rispetto al loro mancato ripudio della guerra e rispetto al loro fallimentare sostegno alla "guerra contro il terrorismo". Tra poco, purtroppo, subentrerà la NATO per una nuova riedizione di questa stessa guerra al terrorismo.
Per questo vedo molti equivoci all’orizzonte. Quando la NATO europea chiamerà l’Italia all’appello per i nuovi contingenti stanziali in Afghanistan e per il nuovo ingresso in Iraq, quali leaders del centrosinistra diranno NO? Ancora una volta in questi giorni le situazioni presuntamene pacificate come il KOSOVO riesplodono. Ancora una volta i capi del centrosinistra, sempre pronti a travestirsi di arcobaleno, difendono la scellerata guerra umanitaria la cui devastazione si fa sentire sempre di più dopo cinque anni.
Quali promesse di una svolta nella futura politica estera si portano questi leaders sulle poltrone del futuro governo?
Che cosa hanno veramente a che vedere con quel commovente popolo colorato che vuole buttare fuori la guerra dalla storia e non vuole mai più essere complice di spedizioni coloniali o punitive, né far parte di nuove armate di invasione???
NO ALLA GUERRA SENZA SE E SENZA MA è un punto di non ritorno per milioni di persone, ma risulta chiaro che per coloro che hanno manifestato col governo di guerra al Campidoglio il 18 marzo questo non è mai stato neanche un punto di partenza.
Le parole sono pietre, usiamole bene : pace è pace, guerra è guerra.
Non c’è niente di più violento dell’ipocrisia.
NELLA GINATEMPO, Roma 25 marzo 2004