Home > PER FARE DELLA PACE UN PROGETTO POLITICO
di Nella Ginatempo
Nel suo ultimo editoriale su Liberazione, Tom esortava il campo della pace a riunirsi e indicava la necessità di continuare il cammino in modo più strategico, facendo della pace "un progetto politico". Pensando a questa prospettiva, ho riflettuto sui punti di svolta, sui "nodi gordiani da tagliare " se vogliamo imprimere un carattere veramente strategico all’iniziativa del movimento per la pace e uscire da una visione emergenziale. Siamo vicini ad un cambiamento di governo auspicabile, ma la società civile che ha manifestato per la pace sarà in grado di condizionare le scelte di politica estera e di indirizzarle in modo alternativo? La rivoluzione della politica, auspicata da Tom, vista l’impossibilità di autoriforma del ceto politico, comincia in gran parte da qui , dall’organizzazione di vertenze e campagne che impongano dal basso, dal sociale, un programma di governo alternativo.
I soggetti ci sono, ed anche i contenuti : si tratta di tradurli in organizzazione, coordinamento e vertenzialità. Un embrione di questo processo l’ho visto nelle carovane di pace : la gente che discuteva nelle piazze e partecipava ai quesiti del nostro simbolico referendum è molto vicina a questo salto di qualità. Nei quesiti si poneva, oltre al ritiro delle truppe e all’inserimento del ripudio della guerra in Costituzione europea, anche la politica del disarmo e della smilitarizzazione, passando attraverso il taglio delle spese militari, la battaglia contro la produzione e il commercio di armi e la chiusura delle basi militari. Credo che, ragionando sull’esperienza di questi due anni di movimento, sia ormai matura una specie di piattaforma, chiamiamola così, che individui i punti di svolta, come dicevo, per il "progetto politico della pace".
IPOTESI DI PIATTAFORMA NO ALLA GUERRA SENZA SE E SENZA MA
RITIRO IMMEDIATO DEI MILITARI ITALIANI DALL’IRAQ E DALL’AFGHANISTAN.
Mai più missioni militari secondo il Nuovo Modello di Difesa che mira alla "tutela degli interessi nazionali ovunque minacciati". Mai più "missioni di pace" effettuate con eserciti e armi pesanti ma alternativa dei corpi civili di pace e della diplomazia dal basso. Intervenire nelle aree di crisi per conto della NATO o peggio dell’alleanza con gli USA, per sostenere e coprire le occupazioni militari dei territori sovrani di altri popoli, significa fare GUERRA, implica la nostra complicità con la guerra globale e con le forme di gestione che essa sta assumendo. Su questo, sulle missioni militari, si misura il necessario salto di qualità che tutto il movimento della pace può compiere e la futura politica estera dell’Italia che ripudia la guerra.
NO AL RIARMO. RIDUZIONE DELLE SPESE MILITARI.
Apertura di una vertenza generale contro il Warfare, per il Welfare : tutte le aree del movimento possono essere impegnate per esigere spese sociali alternative alle spese militari, per contrastare l’economia militarista dello Stato e riconvertirla verso i bisogni sociali. Su questo bisognerebbe aprire la campagna d’autunno contro la finanziaria e impegnarsi nelle piazze e in Parlamento per condizionare le scelte, insieme economiche e militari.
NO AI MERCANTI DI MORTE. NO ALLA PRODUZIONE E COMMERCIO DI ARMI.
Supercontrolli sul commercio di armi e finanziamento per la riconversione dell’industria bellica. Avvio di un progetto pilota di riconversione di una fabbrica d’armi per ottenere un risultato concreto verificabile, esigibile, costruibile con l’alleanza del sindacato e dei lavoratori.
NO ALLE BASI MILITARI USA E NATO.
Avvio di una campagna nazionale che raccolga tutte le energie dei territori locali che si stanno attivando da tempo e le connetta ad una grande rete con l’apporto delle associazioni nazionali e di un comitato formato da giuristi, parlamentari, giornalisti, ricercatori. Una campagna che mira alla chiusura delle basi militari a cominciare da quelle USA, che usurpano il nostro territorio a partire da patti segreti che vanno rinegoziati, alla luce di una nuova politica estera di pace. Oggi l’Italia deve cominciare ad esprimere una vasta opposizione ai nuovi piani strategici USA e NATO che mirano a fare dell’Italia la punta avanzata della guerra globale contro il Medio Oriente. Porre il problema del no ai nuovi piani di ampliamento e insediamento militare ( vedi la nuova base a Taranto, il nuovo comando a Napoli, gli ampliamenti di Sigonella, della Maddalena e di Camp Darby), porre la vertenza anche sul piano legale e parlamentare, significa cominciare a rompere la complicità tra il nostro paese e i piani di guerra. La questione ha ovviamente due facce : quella della politica estera italiana e quella della salute delle popolazioni locali. Ed è soprattutto con l’energia delle lotte locali per l’ambiente e la salute che possiamo dare gambe concrete a questa campagna. Dunque, riconversione ad usi civili e chiusura in primo luogo di tutti quegli insediamenti militari come i porti nucleari e i poligoni di tiro che minacciano la vita e la salute delle popolazione locali.
NO ALL’ESERCITO EUROPEO come concreta politica di disarmo che attui il principio del ripudio della guerra, da inserire nella Costituzione europea.
A questi punti, altri se ne dovrebbero aggiungere a partire dal DIRITTO DI ASILO e dalla CITTADINANZA EUROPEA, ed altre questioni si aprono alla discussione come l’uscita dalla NATO, la riforma dell’ONU e la neutralità militare d’Europa. Ma mi è sembrato, in questa fase, che cominciare da questi cinque punti corrisponda alla attuale esperienza del movimento, a quanto si andava raccogliendo con le carovane di pace, a quanto si discute nei comitati locali all’ombra delle basi militari della guerra, a quanto emerso dalla Assemblea di Bastaguerra a Brescia, in occasione di EXPA, a quanto emerge dalle necessità del presente che pongono le prime ineludibili questioni. Ineludibili per un movimento che vuole influire davvero sui rapporti di forza e sui patti presenti e futuri di governo.
Discutiamone, HASTA LA VICTORIA