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Per Tommaso Mancini, un altro addìo
par Oreste Scalzone
Publie le giovedì 9 febbraio 2012 par Oreste Scalzone - Open-PublishingSingolari e assieme, ognuno irripetibile, ciascun’e tutti e comuni, “variazioni infinite su tema”, comuni mortali che si sanno tali, siamo “fatti d’altri”, costitutivamente. Così noialtri di
Oggi è Tommaso che viene a mancarci. Ogni volta come fosse la prima, lo stesso doloroso stupore, il doppio lutto : quello “mettendosi nella sua pelle” di quando era ancora vivo — gli occhi, il sentimento di sé, la vita che se ne va, il mondo che va oscurandosi ; e quello per e di noi, che siamo privati di pezzi della nostra vita, che ci sentiamo mutilati di qualcosa, e conserviamo il dolore alle parti amputate.
Si può anche non essersi visti per anni (e non è questo il caso), ma si vive sapendo che un altro è là, e quando non c’è più, in qualche modo è tutta la nostra vita che si contrae ancora un po’ e si destabilizza, diventa in ogni caso un residuo di quella di prima, decurtata.
In questi momenti,
Tommaso, “zio Masino”, “l’avvocato Mancini” — “l’avvocato mio” nel romanesco carcerario, al secolo il “Prof.Avv. Tommaso Mancini” —, era entrato nella nostra vita
(la mia e quelle di qualch’altro e altra) nel vivo degli anni della lunga onda d’urto sovversiva, dei furori e della persistenza, della cresta e dell’onda : portato da un compagno di Poter’Operaio – scritto così, o per esteso, o ancora, che so, potereoperaio – che era stato suo allievo all’Università, e gli aveva chiesto se sarebbe stato disponibile a difender compagni e compagne, assai “carichi” di accuse, e in attesa del “loro” processo.
Era entrato come un gatto, ed era diventato subito compagno, compagno nella pratica comune di strappare vite ‘altrimenti destinate a cent’anni di solitudine’, ad un destino annunciato di “lunghi pomeriggi che non passano mai”.
Compagno, incondizionatamente e senza limiti d’intensità e d’applicazione d’intelligenza e passione, in una pratica comune di forme di vita e d’azione.
Voglio consolarmi un po’ dell’assenza – forzata e frustrante — alla “cerimonia degli addìi”, che in ultima istanza serve a noi, una volta presa in pieno petto la notizia di quest’altro addìo, di un altro pezzo di vita che realmente se ne va : per questo vorrei inviare un’eco della mia ‘voce di dentro’. Devo chiudere qui, per non arrivare fuoritempo, e per poter far arrivare lì – tra voi che siete insieme al tempietto egizio, per Tommaso e per condividere un addìo che non è omaggio formale, rituale codificato e svuotato – almeno l’eco di una voce, mia propria e in comune con altri.
Devo chiudere ora, non cominciando neanche il viaggio delle memorie “tra lacrime e sorrisi”, rimandandolo ad altrove ed altroquando. E’ come se portassi anche, innanzitutto a Mila, a Chiara, la tristezza profonda di tante e tanti uomini e donne, di cui Tommaso è stato difensore accanito ed efficace, testardamente fedele, fraterno nelle battaglie e nella vita, fratello.
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