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Subito cittadini italiani i figli degli immigrati
par Francesco Cundari
Publie le sabato 28 gennaio 2012 par Francesco Cundari - Open-PublishingLa necessità di riconoscere il diritto di cittadinanza a persone che da anni vivono e lavorano regolarmente nel nostro Paese - per non parlare dei loro figli, che in Italia sono nati e cresciuti, proprio come noi - dovrebbe essere scontata. Non è scontato però che nel nostro Paese la questione torni a porsi proprio nel pieno della crisi economica, mentre più forte si fa sentire tra i cittadini il peso della convivenza comune e delle comuni responsabilità. Non era scontato, ma è indicativo, che sia stato Beppe Grillo a risollevare in questo momento la questione, naturalmente per stroncare la proposta, avanzata da un comitato composto da una larga rete di organizzazioni sociali (dalla Cgil alla Caritas, dalle Acli all’Arci) e presieduto dal sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio.
Grillo è infatti il leader politico che più di ogni altro ha puntato le sue carte sul risentimento, speculando al ribasso su tutto ciò che potesse alimentare la rabbia di un ceto medio sempre più povero e sempre meno “riflessivo”. È l’ultimo e meno originale campione della società civile in guerra contro partiti, sindacati e Parlamento. Ed è un segno dei tempi non meno indicativo, da questo punto di vista, che a rilanciare positivamente la proposta sia ora Gianfranco Fini, che del resto sul tema si era già esposto in passato, mentre Grillo (che il presidente della Camera definisce «disinformato o prevenuto») riceve in compenso la «totale solidarietà» dei leghisti toscani. E riceve anche l’approvazione di politologi liberali che negli anni Settanta si rifugiavano oltreoceano per il terrore di un’imminente ascesa al potere del Pci, e oggi, per negare il voto agli immigrati, paventano il rischio di vedere i Fratelli musulmani a Palazzo Chigi. La posizione di Grillo e della Lega - che annuncia «barricate» in Parlamento contro ogni ipotesi di discussione sulla cittadinanza - mostra una volta di più come il primo discrimine della lotta politica in Italia al tempo della grande crisi sia quello tra risentimento e carità.
Tra coloro che si sforzano di ricostruire le condizioni minime della coesione sociale e della solidarietà, e chi specula sulla divisione, sulla rabbia e sulla frustrazione. Agli esponenti del Pd e del Terzo Polo che rilanciano le loro proposte e chiedono una discussione parlamentare, il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, replica che il tema è «fuori dall’agenda». Mentre alla Camera Fabrizio Cicchitto e Massimo Corsaro esplicitano un vero e proprio ricatto. «Sconsiglio vivamente di inoltrarsi su questo terreno in assenza di una intesa preventiva - dichiara il primo - a meno che non si voglia aggiungere un’altra ragione di contrasto in una situazione che già di per sé si presenta come seria e delicata». Più secco il secondo: «Chi insiste col voto sulla cittadinanza intende, senza ombra di dubbio, accelerare la fine della legislatura». Se si volevano dare nuovi argomenti alla furia antipolitica di questa brutta fase, non si poteva fare di meglio. Il ricatto del Pdl, ovviamente, è inaccettabile. Per ragioni di merito e di principio: perché a nostro giudizio tutti coloro che vivono, lavorano e pagano le tasse in Italia regolarmente devono godere degli stessi diritti (compreso, naturalmente, il diritto di voto). Ma è un ricatto inaccettabile anche per il momento e il contesto in cui si inserisce, perché il legame tra crisi economica, questione sociale e questione democratica è inscindibile. Dopo il drammatico risveglio dall’utopia del liberismo globale, che portava con sé un’idea di società fondata sul solo valore della competizione senza limiti, la scelta è tra ripiegamento nel particolarismo (corporativo, regionale, etnico) e rilancio di una diversa - e più umana - idea di sviluppo, apertura, integrazione. Un’idea di società che in questi anni di crisi, peraltro, si è dimostrata nel mondo anche economicamente più solida ed efficiente.
Questa è la ragione per cui la questione del diritto di cittadinanza non è affatto «fuori dall’agenda» del Parlamento, come dice Gasparri. Al contrario, ci sono i numeri e c’è il tempo per rimediare almeno agli aspetti più intollerabili dell’attuale legislazione, che lascia i figli di genitori immigrati, nati e cresciuti nel nostro Paese, nella condizione di senza patria. E ci sono tutte le ragioni, in ogni caso, per farne il punto numero uno del programma di qualsiasi formazione, cartello o coalizione si presenti domani agli elettori in nome della ricostruzione sociale e civile dell’Italia.
http://www.unita.it/italia/subito-cittadini-italiani-i-figli-degli-immigrati-1.376199