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L’ecomarxismo, impegno programmatico della Rifondazione

Publie le martedì 8 luglio 2008 par Open-Publishing

L’ecomarxismo, impegno programmatico della Rifondazione

di Laura Marchetti

In un quadro di Max Ernst un ombrello e una macchina da cucire sono abbandonati su un tavolo di anatomia: emblemi della malattia postmoderna, di un mondo dove le cose stanno insieme ma senza comunicare. Un mondo “a pezzetti” dove le idee, i soggetti, i valori, sono “deboli” e dunque funzionali al nuovo universo concentrazionario che invece rimane Forte e Unitario. “A pezzetti” mi è sembrato anche il partito nei mesi dopo il parricidio. A pezzetti sia nella direzione, avocata da un gruppo di colonnelli, bertinottiani senza Bertinotti, che hanno gestito la politica quotidiana ritagliandosi nicchie di sopravvivenza del tutto separate, non essendoci più la forza coagulante e la capacità di visione di Fausto. A pezzetti soprattutto nella riflessione, che, fingendo di continuare l’innovazione, assemblava culture (femminismo, ambientalismo, pacifismo, ecc.) in maniera puramente nominalistica, senza entrare mai nel loro merito teorico, senza fare i conti con le loro differenze, senza continuare il dialogo con la “falce e il martello”, non simbolo decorativo ma cultura d’origine, atto fondativo.

Ne è scaturita una debolezza del pensiero, una liquidità, che si è esaltata nella esperienza della Sinistra Arcobaleno e di cui ha fatto le spese soprattutto l’ambientalismo critico, quello antagonista. I contenuti programmatici sono stati infatti delegati tutti ai Verdi e conseguentemente modulati su una ecologia superficiale intesa come mero aggiustamento o come riformismo minimale alla Al Gore. Caparbiamente continuo a pensare che il futuro della sinistra, così come del nostro partito - che spero rimanga d’avanguardia*, e continui a fare scandalo - è nella centralità che saprà assumere l’ambientalismo, da cui solo può partire una proposta etica, antropologica, filosofica forte, che si innesti e fecondi il nucleo teorico del marxismo.

Per questo ho sottoscritto il Documento 1, perché è il più ambientalista, e non riduce il conflitto Produzione /Natura nel paragrafo “questione ambientale” (Documento 2), ma lo assume diffusamente e costitutivamente: come elemento strutturale della fase attuale del capitalismo, come impegno immediato del fare, come cultura critica e prospettica (p. 5, 8, 12)**. Il punto acquisito è che la fenomenologia del capitale è oggi di natura ambientale. Marx lo direbbe (se fosse nato oggi sarebbe sicuramente ecologista o comunque ecomarxista). La violenza del capitale - che è insita nel suo modello produttivo, con le sue pretese illimitate di sfruttamento, con il suo “sviluppismo”, ha oggi un aggravante: non ripone più nella moneta ma nell’energia, nell’acqua, nella biodiversità la “ricchezza delle nazioni”.

I beni naturali entrano nel ciclo economico diventando risorse: risorse da preservare, come nell’impostazione “etica” dello “sviluppo sostenibile”, che cerca così di garantire durevolezza anche al capitalismo delle generazioni future. Oppure risorse da dissipare, come avviene nella fase attuale della globalizzazione - quella che nel Documento 1 abbiamo cercato di descrivere come perenne stato di eccezione, geopolitica del caos, addizionale della paura - , in cui si accentua quello che la Klein chiama il “capitalismo da schock”, un capitalismo in guerra che lavora direttamente sulla distruzione come base della redditivizzazione (distruzione di ambienti, di paesaggi, di semi, di foreste, di vita animale, ma anche di comunità, di linguaggi e narrazioni).

Capitalismo che si perpetra attraverso un ecocolonialismo mascherato dalla forma misericordiosa della cooperazione - pur esaltata nel secondo Documento - che , in cambio di aiuti “ambientali”, sottrae legalmente ai dannati della terra perfino l’aria o i geni o la conoscenza. Ecco: la conoscenza. Il 1 Documento la mette al centro come bene comune, infunzionale e inalienabile. La rifondazione dovrà però entrare ancora più nel merito degli strumenti ermeneutici, dei modelli di razionalità. Facendosi ambientalista, potrà interrompere una brutta tradizione idealista e ascoltare le scienze nuove della natura e della vita (l’etologia, la psicoanalisi, l’antropologia, le scienze della comunicazione e della evoluzione).

Potrà soprattutto allargare l’agenda politica, trasformandola in “biopolitica”, soprattutto su tre tematiche:

1) la rinascita del materialismo, pensiero materiale e materno che mette al centro il corpo, la sensibilità, la qualitativa temporalità, gli odori; un neodarwinismo che recuperi l’animalità intesa non solo come rapporto con gli “altri” animali ma come assunzione della nostra finitezza e istintualità.

2) la decolonizzazione dell’immaginario, la sua sottrazione alle suggestioni del pensiero aggressivo e autoritario: obiettivo politico ma prima ancora etico e psicologico che da valore al tema della scuola e del rapporto fra educazione e democrazia. Lo rende necessario l’inedito inquinamento della mente;

3) la restituzione della coscienza di luogo la cui scomparsa, sostiene Augè, è l’affondo della globalizzazione, un grande sradicamento che getta milioni di uomini e di donne costretti a rinunciare alla loro appartenenza e comunità nella e nel non-senso.

* A differenza di Vendola su “Liberazione” del 4 luglio.

** Il che contraddice Sansonetti quando sostiene che la differenza fra il Documento 1 e 2 sta nel fatto che mentre il primo individua un “solo conflitto principale” - come fa in effetti Burgio il 3 giugno,- il secondo ragiona su un “multiconflitto” (8 giugno).