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Precarie di un call center licenziate si mettono all’asta su "You tube"

Publie le giovedì 4 settembre 2008 par Open-Publishing

Precarie di un call center licenziate si mettono all’asta su "You tube"

di Mariangela Maturi

Undici lavoratrici inventano un’originale forma di protesta contro il decreto che ha permesso all’Asl di mandarle a casa

Undici donne, undici storie diverse. E una cosa in comune, il lavoro precario e la crudeltà di un licenziamento senza preavviso che implica difficoltà per il mutuo, dolorose preoccupazioni, problemi a mantenersi e a mantenere i proprio figli.

La vicenda della dipendenti del call center di prenotazione dell’ospedale di Legnano (Milano) purtroppo è simile a molte altre storie legate al precariato. Ma questa volte le lavoratrici si sono inventatate una forma di protesta nuova: mettono all’asta loro stesse, il loro cervello, le loro capacità e anche i loro corpi. «Potevamo dividerci e andare a raccontare le nostre storie personali in giro, invece abbiamo fatto la scelta di restare unite».

Si sono esposte in prima persona, hanno fatto un video di protesta e si sono messe all’asta su internet: «E’ una provocazione, a questo punto vendiamo anche il nostro corpo pezzo per pezzo». Nel video, che gira su «you tube», si vedono loro in ufficio, zitte, ciascuna porta in mano un cartello: «No allo sfruttamento dei precari», oppure «ci mettiamo all’asta in cambio di un posto di lavoro».

L’età media di queste undici donne è trentacinque anni, c’è quella giovane e impegnata, quella madre single, quella che viene già da altre storie di esuberi aziendali. Lavoravano per il call center della Asl 1, che raccoglie 4 ospedali e un bacino di utenza di un milione di persone; nessuna di loro si è mai assentata per false malattie e il loro lavoro lo conoscevano bene, qualificate e preparate anche all’uso di sistemi informatici. Il call center, raccontano, è nato con loro sei anni fa; dopo i primi tre anni «ci avevano ventilato un’ipotesi di stabilizzazione contrattuale, poi hanno scelto di rinnovare per soli tre anni.

Solo ora ci rendiamo conto della nostra ingenuità». La politica del governo sul precariato ha affossato le ultime speranze: il decreto Brunetta prevede che per i lavoratori impiegati per più di tre anni in un quinquennio non ci sia il rinnovo di questo tipo di contratto. E a quel punto, l’Asl ha deciso di aderire al centro prenotazioni unico per le visite e chiudere il call center dell’ospedale. Il 27 agosto, cioè quattro giorni prima di mandarle a casa, è stato comunicato che «il contratto era considerato risolto». Senza preavviso, senza temporeggiare per agevolarle nella ricerca di un altro lavoro.

Senza considerare che il loro ruolo poteva essere positivo: «La nostra presenza poteva aiutare l’utenza locale». Forti della loro coesione, le lavoratrici non si sono arrese, e hanno raccontato con fantasia la loro storia. Nel frattempo i sindacati di base sta cercando di aiutarle, pur con le mani legate: ogni anno tutti i dipendenti dell’ospedale donano un’ora del loro lavoro ad associazioni (come Emergency o Medici senza Frontiere), quest’anno il ricavato dell’iniziativa andrà alle donne licenziate.

La solidarietà purtroppo non basta, ma di certo aiuta. «Il problema è che con la politica di Formigoni sulla sanità pubblica il destino di molti lavoratori sarà identico al nostro. Noi siamo solo le prime». La loro iniziativa, per quanto clamore faccia, forse servirà a fare un po’ di pressione: «Ci hanno detto che sta succedendo la stessa caso al call center di Melegnano, speriamo di far muovere qualcosa». Lo meriterebbero, almeno per la fantiasia e l’intrapredenza che hanno dimostrato. E poi li chiamano fannulloni.

Il Manifesto del 02/09/2008