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FANNIE, FREDDIE, E L’ULTIMO TENTATIVO DISPERATO

Publie le giovedì 11 settembre 2008 par Open-Publishing
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Ho sempre creduto – nonché affermato ne La Lunga Emergenza (*) – che non avremmo superato questa crisi senza attraversare un periodo di difficoltà. Ci stiamo entrando adesso. Anche se i mercati azionari sono saliti di cinquecento punti oggi sulla base dell’accordo Fannie-Freddie (e l’idea sbagliata che i nostri problemi sono finiti qui), siamo solamente all’inizio di dolorosissimo allenamento. Perché i grossi affari accadono solo durante il fine settimana? Per far sì che i pezzi grossi del governo e della finanza si possano togliere le cravatte mentre contrattano tra loro? Perché i mercati sono chiusi e incapaci di registrare una risposta qualsiasi sia l’esito? Perché la sempre più ristretta fascia del pubblico americano che si interessa di altro oltre che di Nascar e la pornografia non senta la notizia il sabato sera?

Il grosso affare di questo fine settimana è stata l’acquisizione da parte del governo statunitense delle “imprese sponsorizzate dal governo” (GSE) la Fannie Mae e la Freddie Mac, che garantiscono ipoteche da trilioni di dollari. La “garanzia” viene presumibilmente ottenuta convertendo una quantità di ipoteche dalle banche e società di mutui che le hanno originate (che stipulano i contratti con gli acquirenti degli immobili) in obbligazioni che possono essere vendute a valle. Il rischio è stato teoricamente disperso tra i titolari di queste obbligazioni. Tutto ciò sembrava funzionare durante il periodo stabile quando la nostra economia di petrolio a basso costo procedeva scoppiettante, e i prezzi delle case mantenevano una relazione coerente con i redditi, e la gente pagava i mutui in modo affidabile. Tutto il sistema funzionava come una macchina affidabile – come un motore Chrysler pendio sei!

Finché l’era del petrolio a basso costo è giunta al termine. Da quel momento in poi, tutto il sistema si è stato scosso. È stata la fine del petrolio a basso costo che ha catalizzato il crollo immobiliare e per estensione, l’enorme crisi finanziaria attuale. Ma il periodo che l’ha preceduta è stato come un tuffo da un trampolino in una piscina senz’acqua. Il tuffo è arrivato intorno al 2001 quando è diventato evidente che non si sarebbe potuto mantenere lo standard di vita statunitense nell’ambito di un’economia del caro petrolio. Il trauma dell’11/9 ha innescato la formazione di un nuovo e letteralmente pazzo consenso che il tenore di vita statunitense potesse essere convertito dal reddito al debito massiccio. Tutti i normali freni inibitori contro la concessione e la contrazione irresponsabile di prestiti sono caduti – incarnati dall’affermazione di Alan Greenspan che fosse un momento propizio per contrarre un’ipoteca a tasso aggiustabile quando i tassi di interesse avevano raggiunto il minimo storico – in altre parole potevano essere aggiustati solo aumentandoli. Perché ritenere Greenspan responsabile? Perché era all’apice dell’autorità con il potere di stabilire le norme, e ha ficcato il nostro comportamento nell’ambito dell’anormalità spregiudicata, e avrebbe dovuto saper fare di meglio.

Il pubblico si è lasciato convincere perché “denaro gratis”e alto tenore di vita piacciono. Il loro comportamento è stato rinforzato da altre autorità – dal presidente Bush ad esempio, che ha detto agli Americani di andare a fare shopping dopo gli attacchi dell’11 settembre. (Ci sono andati con le carte di credito). La situazione ha davvero vacillato nel 2005 – che è stato per combinazione, anche l’anno del picco storico mondiale della produzione convenzionale di petrolio – con gli uragani Katrina e Rita che devastavano le piattaforme petrolifere del Golfo del Messico come evento culminante. (È stato anche l’anno della pubblicazione de “La Lunga Emergenza”).

Da quel momento in poi l’economia statunitense e la parte finanziaria di essa, che è diventata una coda di novecento chili che scodinzola un cagnolino di trenta chili, è stata tenuta insieme con spago, nastro adesivo e cerotti. Tutto il debito accumulato da tutte le parti – proprietari immobiliari, possessori di carte di credito, aziende, banche, hedge funds [ndt. fondi a rischio coperto], il governo – non viene ripagato in modo affidabile, e tutti i sistemi di finanziamento che dipendono da questo vanno in pezzi. Perciò scompare il capitale. Scompare la ricchezza di un paese. Tutto quello che rimane è la finzione che siamo ancora una società ricca.

La Fannie Mae e la Freddie Mac sono vicine al centro di questo buco nero di debito. Fino ad ora , il buco nero è stato nascosto col vecchio trucco da mago del palcoscenico di distogliere l’attenzione pubblica. La ferita sistemica rappresentata dalla Bear Stearns è stata coperta con un cerotto applicato dalla Federal Reserve con lo scambio di prestiti con titoli senza valore. In effetti, il capitale della Bear Stearns è praticamente scomparso – un mero residuo di esso, alcuni centesimi sul dollaro, è stato trasferito alla JP Morgan come pagamento per aver scartato il cerotto. Ma in pratica, i soldi sono andati.

Adesso la stessa cosa è successa alla Fannie Mae e alla Freddie Mac, ma la scala è di un ordine di dimensioni maggiori. Questa volta il Ministero del Tesoro statunitense sta acquistando carte senza valore ed elargendo prestiti molto maggiori ad imprese che sono funzionalmente in bancarotta. L’esatta natura della “sponsorizzazione” statale riconosciuta mediante statuto è sempre stata ambigua. I professionisti sono generalmente stati dell’opinione che il sostegno del governo fosse sottinteso piuttosto che esplicito – ma questa è una ridicola contraddizione interna che non è mai stata messa in discussione per decadi mentre l’operazione stile Ponzi della Fannie Mae e della Freddie Mac si muoveva pesantemente (e i loro dirigenti se la svignavano con liquidazioni oscene). Adesso il ruolo del governo è stato reso improvvisamente esplicito. Probabilmente non farà che peggiorare le cose, dato che le imprese sono troppo grandi e di troppo vasta scala per lavorare in qualsiasi circostanze, per non parlare dell’insolvenza.

Un aspetto che questo indica è una realtà uniformemente trascurata dagli osservatori importuni, ossia che quello che abbiamo sviluppato nell’ultima decade in America non è stata un’ “economia dell’informazione” né un’ “economia del consumatore”, ma un’economia che ha costruito l’espansione tentacolare delle periferie, in altre parole un’economia protesa alla costruzione di un sistema di vita senza futuro. Il climax dell’economia dell’espansione incontrollata ha avuto luogo in perfetta concomitanza del il climax del picco del petrolio. Si può effettivamente risalire al mese preciso – maggio, 2005. Dopo di che il futuro ha avuto il suo corso e tutte le aspettative finanziarie legate alla costruzione dell’espansione incontrollata sono andate in fumo – compreso il valore delle ipoteche delle case periferiche. Tutto ciò che è seguito è stato un tentativo di celare questa realtà basilare: che il modo in cui viviamo in America non può continuare.
v Il motivo per cui il nostro dibattito energetico è così vuoto e stupido è che non riusciamo ad affrontare questa realtà basilare. La fantasia-du-jour di entrambi i partiti politici è che possiamo diventare “energeticamente indipendenti”. Con questo vogliamo dire che possiamo continuare a vivere come facciamo trovando un alternativa al petrolio. Questo non è affatto vero. Dobbiamo cambiare profondamente tutto ciò che facciamo iniziando da come abitiamo il territorio fino al modo in cui produciamo il nostro cibo. Recentemente, l’unico cambiamento per cui abbiamo mostrato interesse è cambiare il tipo di alimentazione delle nostre auto. Ma non sarà questo a salvarci, neanche un po’. La nostra incapacità di parlare di qualsiasi cosa tranne le auto ci trascinerà nella povertà e nel fermento.

Il mercato immobiliare non torna. Mai più. Nella forma in cui lo conoscevamo. Il progetto delle periferie è finito. Quella versione del “Sogno Americano” è finita. E staremmo di gran lunga meglio se mettessimo da parte i sogni per un po’ e iniziassimo invece a preoccuparci della realtà – in quella parte della giornata in cui siamo svegli ed effettivamente capaci di fare le cose. Abbiamo tanto da affrontare e tanto da fare.

L’acquisizione da parte del governo della Fannie Mae e della Freddie Mac non è che un altro modo di nascondere il nostro problema fondamentale – che finché non intraprendiamo modi diversi di essere una nazione, di vivere diversamente e di lavorare diversamente su cose diverse le altre nazioni del mondo non avranno fiducia in noi, delle cartevalori che emettiamo, e non avremmo davvero fiducia in noi stessi.

Ho sempre creduto – nonché affermato ne La Lunga Emergenza – che non avremmo superato questa crisi senza attraversare un periodo di difficoltà. Ci stiamo entrando adesso. Anche se i mercati azionari sono saliti di cinquecento punti oggi sulla base dell’accordo Fannie-Freddie (e l’idea sbagliata che i nostri problemi sono finiti qui), siamo solamente all’inizio di dolorosissimo allenamento. Personalmente, credo che siamo vicini ad una carneficina finanziaria prima delle elezioni. L’affare Fannie-Freddie potrebbe essere il posto dove si staccano davvero le ruote.

James Howard Kunstler
Fonte:http://jameshowardkunstler.typepad.com
Link: http://jameshowardkunstler.typepad.com/clusterfuck_nation/2008/09/last-ditch.html
8.09.08

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI

(*) James Kunstler "Collasso - Sopravvivere alle attuali guerre e catastrofi in attesa di un inevitabile ritorno al passato" 2005, Nuovi Mondi Media

Messaggi

  • Sintetica, ed ottima analisi, di cosa ci può riservare il futuro.

    Ovviamente, nessuno ha la sfera di cristallo, ma queste improvvise nazionalizzazioni proprio nei paesi anglosassoni (ricordiamo la banca inglese recentemente salvata dalo stato), la dicono lunga sulla crisi del liberismo e del capitalismo in genere.

    R.

  • GLI STATI UNITI NAZIONALIZZANO FANNIE E FREDDIE. TRE RIFLESSIONI

    DI CARLO GAMBESCIA

    “WASHINGTON –Per evitare una catastrofe sui mercati finanziari americani e mondiali, come ha sottolineato il ministro del tesoro Henry Paulson, l’amministrazione Bush ha assunto il controllo della Fannie Mae e della Freddie Mac, le due agenzie semigovernative che finanziano quasi la metà dei mutui del Paese, il cui totale è di 12 mila miliardi di dollari. La Federal housing financial agency, un organo della Tesoreria, le ha assunte in amministrazione controllata acquistandone le azioni privilegiate. L’intervento potrebbe costare allo Stato americano e quindi ai contribuenti 26 miliardi di dollari secondo il Congresso. Ma era inevitabile: a causa del crollo dei mutui, in un anno la Fannie Mae e la Freddie Mac hanno perso circa 15 miliardi di dollari, rimanendo quasi senza capitali, e deprezzando i loro titoli di quasi il 90 per cento. Inoltre, 4 milioni di famiglie, il 9 per cento dei mutuati, sono andate in bancarotta o sono in grave ritardo nei pagamenti rateali. GRANDE DEPRESSIONE - L’iniziativa ha precedenti solo negli interventi governativi del presidente Franklin Roosevelt durante la Grande depressione economica degli Anni trenta, e rappresenta una clamorosa inversione di rotta dell’amministrazione Bush, la più liberista dell’ultimo mezzo secolo. E’ la misura più drastica presa sinora dal ministro Henry Paulson e dal governatore della Riserva federale Ben Bernanke: di fatto, con il loro commissariamento, le agenzie sono temporaneamente nazionalizzate in base a una legge approvata dal Congresso.

    La misura era diventata urgente anche perché i giorni scorsi era fallita l’undicesima banca dallo scorso settembre, la Silver state del Nevada, e si teme che numerose altre chiudano i battenti. Il ministro e il governatore hanno esposto il loro piano a Daniel Mudd e Richard Syron, i presidenti rispettivamente della Fannie Mae e di Freddie Mac, che verranno sostituiti da due ex banchieri, Herb Allison e David Moffett; ai candidati alla Presidenza il democratico Barack Obama e il repubblicano John McCain; ai governi stranieri che detengono grandi quantità di titoli della Fannie Mae e della Freddie Mac. Secondo il Wall street journal, il Tesoro inietterebbe fondi ogni trimestre, in modo d’attirare anche investimenti privati. Per i milioni di famiglie americane che rischiano di perdere la casa è una tempestiva operazione di salvataggio. La situazione dei mutui è la peggiore degli ultimi 29 anni, dal crollo delle Casse di risparmio, e le misure sinora adottate da Bush, dai rimborsi fiscali di 168 miliardi di dollari ai contribuenti alla vendita” Ennio Caretto

    (http://www.corriere.it/economia/08_settembre_07/freddie_mac_3b4666ec-7cf7-11dd-ba5e-00144f02aabc.shtml )

    La decisione del governo federale americano di nazionalizzare Fannie e Freddie è indubbiamente di grandissima importanza. E come gravità è nettamente superiore a quelle prese da Roosevelt durante la Grande Depressione degli anni Trenta nei riguardi del mondo bancario e finanziario americano. Come scrisse un grande storico americano, Arthur M. Schlesinger, "nel 1933 la regolamentazione finanziaria sembrava essere solo una parte marginale del New Deal" (A.M. Schlesinger, L’età di Roosevelt. L’avvento del New Deal, il Mulino, Bologna 1963, p. 442). Quindi Caretto semplifica troppo. Ma non è questo il punto.

    Il provvedimento è importante per tre ragioni.

    Il primo luogo, perché, come detto, non ha precedenti. E questo in una nazione, dove da sempre democratici e repubblicani vedono in qualsiasi intervento pubblico, anche minimo, un attentato alla libertà economica individuale: una specie di anticipazione del comunismo.

    In secondo luogo, l’inflazione americana, di conseguenza, crescerà, espandendosi a macchia d’olio anche all’estero, soprattutto in Europa. In modo particolare se non verrà sterilizzato il dollaro come moneta di pagamento internazionale. Il che è difficilissimo che avvenga perché questa misura rischia di compromettere i rapporti tra gli Stati Uniti e l’Ue. Infatti la decisione unilaterale europea di rifiutare il dollaro in favore dell’Euro nelle transazioni internazionali, potrebbe addirittura condurre a una guerra con gli Usa, prima economica e poi in senso letterale. Pertanto, vista la mancanza di coraggio delle classi dirigenti europee, programmaticamente pacifiste, la crisi economica rischia di farsi più pesante anche in Europa. E senza alcuna concreta contropartita positiva per noi. Se non quella pseudomorale della solidarietà atlantica... Chi si contenta gode.

    In terzo luogo, gli Stati Uniti, stretti nella morsa dell’inflazione crescente e alle prese con una crisi sociale sempre più grave, potrebbero puntare sul nemico esterno. Nel senso di accentuare l’impegno militare nel mondo, come gradita valvola di sfogo economico per il complesso militare-industriale, nonché come risposta ai crescenti problemi occupazionali e di tipo debitorio che attanagliano il popolo americano: "arruolarsi" anche nelle industrie e nei servizi, indirettamente collegati alle forze armate, potrebbe costituire una “ciambella di salvataggio” per molti americani “falliti”, a causa delle crisi bancaria. Non va dimenticato, tra l’altro, che per coloro che vanno in guerra - come già avvenne nel 1941 - la legge americana prevede ancora la sospensione dell’esazione coattiva degli eventuali debiti contratti nella vita civile. Si tratta di un’astuta “metodologia” parabellica che risale a Roma antica, e tuttora in uso anche in altre nazioni. Il momento è perciò molto grave. Siamo in presenza di una vera e propria svolta, politica ed economica. Sulla quale non potrà assolutamente influire il colore della pelle del prossimo presidente Usa (http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/2008/01/le-primarie-e-le-elezioni-presidenziali.html. Un povero burattino nelle mani del complesso militare-industriale americano. Una plutocrazia che vede di buon occhio la guerra totale esterna, perché preferibile alla guerra civile interna...

    O comunque, che non disdegna la sua progressiva intensificazione, famelicamente memore degli altissimi profitti incamerati durante la Guerra Fredda.

    Carlo Gambescia

    Link: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/2008/09/gli-stati-uniti-nazionalizzano-fannie-e.html