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vicenda d’erme : la verita’ fa male

Publie le venerdì 2 luglio 2004 par Open-Publishing

La verità fa male

Ora che la rottura con il Partito della Rifondazione Comunista è stata sancita con l’uscita dal gruppo comunale di Roma del nostro compagno e fratello Nunzio D’Erme, dobbiamo tornare ancora per un attimo sugli avvenimenti che hanno preceduto questa decisione con il solo scopo di sgomberare il campo da ricostruzioni fantasiose che sentiamo circolare in giro.

Tutto è cominciato diversi mesi fa quando nei giorni in cui si celebrava il Forum Sociale Europeo di Parigi a qualche compagno dei disobbedienti di Roma saltò in mente l’idea di proporre a
Rifondazione la candidatura di Nunzio. Nelle settimane successive, ancor prima di aver effettuato una discussione esaustiva tra di noi, sondammo tra i dirigenti del Prc la disponibilità ad accettare la

nostra proposta.

Il sondaggio fu negativo, gli spazi erano chiusi e noi accantonammo rapidamente quella che all’epoca era solo un’ipotesi.
Qualche tempo dopo accaddero due episodi: prima l’arresto di Nunzio e di altri compagni per le contestazioni del 4 ottobre, poi, solo pochi giorni dopo la loro liberazione, le cariche della polizia a Tor Sapienza e la nuova denuncia contro Nunzio al quale avevamo materialmente impedito di partecipare a qualsiasi forma di resistenza. All’epoca infatti Nunzio era ancora sottoposto all’obbligo delle firme in Commissariato e sapevamo che la commissione di un qualsiasi reato avrebbe potuto rimandarlo agli arresti. Fu in quel pomeriggio di febbraio che maturò in noi la necessità di proporre un atto politico forte che fermasse quella che si presentava ormai come una vera e propria persecuzione giudiziaria. Proponemmo a Rifondazione di candidare Nunzio alle europee comunicandolo subito alla stampa.
Qualche giorno dopo scrivemmo una lettera indirizzata agli organi dirigenti del partito motivando il senso della nostra proposta soprattutto in funzione della valorizzazione del percorso politico e sociale costruito negli anni a Roma e identificabile sotto il titolo di Laboratorio Roma. Alla nostra lettera seguì, diverse settimane dopo, l’invito ad un incontro in viale del Policnico al quale presero parte una rappresentanza della segreteria nazionale, di quella romana, del coordinamento nazionale dei giovani comunisti, del comitato operativo centrale ovvero dello staff per la campagna elettorale e naturalmente una nostra delegazione. Ed è in quell’incontro che si produsse l’accordo sulla candidatura di Nunzio D’Erme nonché la rassicurazione unanime di tutta la delegazione di Rifondazione Comunista che, qualora i risultati delle urne avessero assicurato l’elezione dei quattro candidati designati dalla direzione nazionale come teste di lista ( Bertinotti, Morgantini, Agnoletto e Musacchio), non ci sarebbe stata nessuna azione di contrasto alla elezione di Nunzio, sempre che questa fosse stata possibile e naturalmente Nunzio avesse ottenuto una buona affermazione. Fu quella rassicurazione a convincerci definitivamente nella scelta di imbarcarci in quella che definimmo più avanti una missione impossibile, cioè la certezza che qualora ce l’avessimo fatta Rifondazione non ci avrebbe ostacolato.
E’ bene chiarire questo passaggio. Noi sapevamo che per eleggere Nunzio avevamo comunque bisogno dell’avallo della segreteria e di Bertinotti, poiché lo stesso era candidato testa di lista in tutti i collegi ed era impensabile ipotizzare di batterlo. Quindi comunque fosse andata perché Nunzio entrasse al parlamento europeo avevamo bisogno del fatto che Bertinotti non optasse nel collegio del centro Italia. Era una condizione che conoscevamo bene e che tenemmo a puntualizzare con una certa pignoleria e insistenza in quella unica riunione che tenemmo con gli organi dirigenti di Rifondazione. E’ ovvio che senza quella rassicurazione avremmo avuto buoni motivi per ripensarci e probabilmente la missione impossibile non sarebbe mai cominciata.
Negli incontri tenutisi all’indomani del voto ci siamo sentiti dire dai dirigenti del Prc che una assemblea della Direzione nazionale indicò successivamente alla riunione con noi un quinto possibile eletto in Marilde Provera, candidata nel collegio nord-ovest, e questo perché all’epoca il partito aveva il sentore (sulla base dei sondaggi di allora) che il quinto seggio potesse scattare in quel collegio. Non facemmo caso a quella riunione della Direzione nazionale e certamente fu un errore, perché in quella scelta c’era già il segnale di qualcosa che non andava. Ma i fatti poi sono andati in altro modo, il seggio è scattato altrove e Marilde Provera è arrivata terza nel suo collegio. Resta la sensazione che avessero già preparato il modo per aggirare le rassicurazioni che ci avevano dato: il fatto è che quel modo non gli ha funzionato.
All’indomani del risultato elettorale la segreteria nazionale rapidamente formulò un orientamento cosiddetto prevalente di scippare il seggio a Nunzio. Tutto questo avvenne nel giro di pochissime ore già dalla sera del lunedì 14, quando ancora permaneva dell’incertezza sui risultati definitivi. Il mercoledì 16 compariva sul manifesto un’intervista a Bertinotti dalla quale era facile intuire che per Nunzio non c’erano speranze.
Si è detto in questi giorni che abbiamo cercato di ricattare il partito minacciando le dimissioni dal Consiglio comunale. Niente di più falso. La sera del 15, saputa la notizia che la segreteria non aveva alcuna voglia di onorare gli impegni con noi e preso atto che nessuno ci telefonava per congratularsi dell’incredibile successo e che di Nunzio quasi non c’era traccia su Liberazione, maturammo la consapevolezza che ci avevano fregati, e pertanto segnalammo non un ricatto bensì l’unica cosa che potevamo fare, l’interruzione delle relazioni politiche. Che è quanto abbiamo poi confermato di fronte alla formalizzazione del furto.

Qualche simpatica notizia sulla campagna elettorale

Non abbiamo mai pensato che il Prc ci avrebbe dato una mano nella campagna elettorale, sapevamo che avremmo combattuto da soli. Il nostro obiettivo era quello di far sapere in giro che c’era la possibilità di votare un candidato particolare, diverso da tutti gli altri, fuori dalle vecchie logiche, disobbediente, ribelle, incontrollabile. Abbiamo lavorato sodo mai contro e sempre per. Ci siamo ritrovati a dover fare concorrenza a Luisa Morgantini che è una compagna che non solo stimiamo ma con la quale abbiamo condiviso tante cose in questi anni, perché ci illudevamo che qualora fossimo arrivati secondi immediatamente dietro Bertinotti avremmo avuto più facile accesso al parlamento europeo. E abbiamo vissuto questa corsa in modo leale tant’è che non sono stati pochi quei nostri compagni che hanno deciso di dare la doppia preferenza D’Erme-Morgantini. Mai abbiamo contrastato Luisa in alcun modo, né ci è mai venuto in mente di farlo.
Eppure la nostra campagna elettorale è stata combattuta dentro un clima di aperto boicottaggio. Dagli organi dirigenti del partito e in particolare dallo staff elettorale sono partite lettere di richiamo e continue minacce nei confronti di tutti coloro che da dentro il partito manifestavano la volontà di sostenere Nunzio. Numerose iniziative sono state improvvisamente annullate senza una qualsiasi spiegazione. Addirittura ci sono stati casi di giovani comunisti che hanno dovuto fare propaganda per Nunzio in modo clandestino, sfuggendo al controllo del partito. Non importava chi votavi, l’importante era che non votavi Nunzio.
Tutto questo naturalmente non può farci dimenticare che tantissimi sono stati invece i compagni e le compagne di Rifondazione che hanno disobbedito al loro partito, o meglio agli ottusi dirigenti del loro partito, ed hanno fatto campagna per Nunzio. Compagni e compagne che non si sono lasciati intimorire, che hanno agito convinti di essere nel giusto e di dare così il loro contributo ad un partito che forse sognano diverso. Questi compagni hanno avuto ragione perché il voto di Roma è stato incredibile e probabilmente irripetibile per il Prc, così come tutto il risultato del collegio di Italia centro.

Domande legittime

Fin qui i nudi fatti e le quisquilie elettorali. Perché rimangano agli atti, perché tutti sappiano, se hanno fame di sapere, come sono le andate cose.
Perché volevamo che Nunzio andasse nel parlamento europeo? A cosa doveva servire la sua presenza lì ? Cosa ci hanno impedito di realizzare preferendo a lui qualcun altro? Sono domande legittime come è legittimo il sospetto che tutto questo chiasso sia il frutto di una malcelata bramosia di poltrone che ha finito per corrompere anche i disobbedienti.
Nunzio doveva portare in Europa un’esperienza a nostro modo di vedere unica e molto importante che siamo soliti semplificare con il titolo di Laboratorio Roma e che è un intreccio complesso di azione di movimento, pratiche municipaliste, esperienze di democrazia partecipata, pratiche di disobbedienza anche radicale, incursioni istituzionali, relazioni inedite tra partito e movimento, presenza dentro le periferie metropolitane, ecc. Una storia quella del Laboratorio Roma che non riusciamo a raccontare a questa sinistra distratta dalle aspettative di governo e dai suoi eterni giochi di equilibri interni.
In questi anni abbiamo provato a crescere dentro la forza ed i limiti del movimento di Genova, cercando di ricollocare sul piano del conflitto sociale quella potenza sprigionatasi con il movimento altermondialista. Siamo partiti dagli ultimi, i senza casa, i migranti, gli abitanti dei quartieri popolari, siamo partiti dai margini, non per produrre solo una politica rivendicativa (il che comunque non è mai poco) ma per far pesare la loro/nostra fame di diritti sul piano della politica. Come? puntando semplicemente a vincere le elezioni? Affatto, misurandoci piuttosto con la costruzione di nuovo spazio pubblico, di nuove istituzioni dal basso, di una pratica di democratizzazione della democrazia attraverso la quale ottenere un cedimento di sovranità dal sistema dei partiti e della rappresentanza formale a quello dei movimenti e della società civile organizzata.
Questo percorso non è stato indolore. Ci è costato denunce, arresti e prospettive di carcere per tanti di noi. Ma l’abbiamo fatto con il sorriso sulle labbra, consapevoli di commettere continuamente tanti errori sempre rimanendo dalla parte giusta.
Nunzio doveva portare in Europa la faccia impresentabile delle tante periferie metropolitane. I modi sgarbati e rudi di chi non vince mai e rimane sempre in fondo. La diffidenza degli ultimi. La rabbia degli ultimi. Questo non lo perdoneremo mai a quella segreteria elitaria e snob di Rifondazione: di aver chiuso le porte in faccia alla voce dei senza voce. E per favore non ci venite a parlare del sud: non ci sono operai di Melfi né gente di Scanzano tra i banchi del parlamento europeo.
Non ci vergogniamo a dirlo: Nunzio parlamentare europeo avrebbe significato un bel gruzzolo di euro da poter utilizzare per il movimento, per pagare i costi di una politica che resta monopolio esclusivo dei partiti anche perché loro hanno i mezzi e i movimenti no. E’ lo stesso criterio che utilizziamo con il suo stipendio di consigliere comunale, lo avremmo fatto anche con quello di parlamentare.
Con Nunzio nel parlamento europeo avremmo avuto una base logistica per la costruzione di reti di movimento, uno snodo per le relazioni, la possibilità di costruire un team per dare impulso alla vocazione continentale del movimento. Ma avremmo dato un segnale di rafforzamento dell’idea che è possibile costruire una sinistra alternativa fatta di tanti soggetti, con relazioni paritarie e disposti alla reciproca contaminazione. Un segnale per l’Italia e per l’Europa.
A questa opportunità la segreteria nazionale del Prc ha detto no, con la presunzione di incarnare essa stessa quella pluralità e chiudendo le porte in faccia alla generazione di Genova. Sono tornati a galla improvvisamente gli scheletri del passato: il ruolo centrale del partito, gli equilibri interni tra le correnti, il gioco delle poltrone, la corsa per il prossimo congresso e, non ultimo, gli accordi con il listone in vista del prossimo governo, forse troppo frettolosamente dato per già acquisito.

Voltiamo pagina

Il futuro è qui, comincia adesso. Paradossalmente se la segreteria del prc avesse onorato gli impegni saremmo stati ancora dentro l’illusione che sussista ancora spazio per una leale collaborazione tra partiti e movimenti anche sul terreno della rappresentanza istituzionale. Ma questo non è. Sotto l’azione incalzante dei movimenti e della società civile, ai partiti è rimasto solo il terreno della rappresentanza e lo difendono con i denti perché è in gioco la loro sopravvivenza. Dentro Rifondazione in questi anni si è prodotta una spinta ad agire nei movimenti, ed è cresciuta una generazione che ha cominciato a guardare al partito come ad uno strumento al servizio del protagonismo sociale. Questi compagni, e sono migliaia, oggi subiscono una doccia fredda e sono smarriti: hanno creduto in un partito diverso e scoprono che si erano illusi, sono incazzati e non sanno cosa fare. E’ venuta cioè al pettine la contraddizione tra chi crede sinceramente nei movimenti e chi ne vuole fare un uso strumentale.
Noi disobbedienti, che abbiamo sempre gelosamente custodito l’autonomia del movimento ma abbiamo anche coraggiosamente sperimentato i rischi della relazione su un terreno così viscido come quello delle istituzioni, siamo scossi ma non storditi. Non viviamo questa rottura come un dramma perché non dobbiamo ricominciare da zero. Il passaggio che viviamo è una crisi della crescita, il frutto di un crescente protagonismo dal basso che ha portato ad un punto limite la relazione partito-movimento. Il nostro problema ora è quello di rilanciare il progetto di questi anni in avanti, verso traguardi ancora più ambiziosi.
La questione che poniamo è questa: possono i movimenti sociali, le forze organizzate della società civile, esprimere una forma di collegamento plurale, a rete, articolata, che imponga a quei partiti che hanno interesse alla relazione con i movimenti di cedere almeno parte della loro sovranità? Si tratta cioè di indagare se nel campo dei movimenti vi è la disponibilità a ragionare non solo in termini di agenda delle mobilitazioni ma anche su quel terreno viscido che è la costruzione di forme autonome di rappresentanza. Si badi, non stiamo ponendo una questione puramente elettorale: il tema è più complesso e riguarda la costruzione di spazio pubblico e di forme di democrazia partecipata, riguarda l’intreccio tra questione sociale e questione democratica, per usare una terminologia del passato, riguarda il superamento della distanza tra il sociale e il politico che è poi il nodo di una democratizzazione radicale della democrazia.
Insomma si tratta di aggiungere il tema della democrazia partecipata (a cominciare dalle città) ai grandi temi della guerra e del neoliberismo che rappresentano i connettori generali del movimento altermondialista. Ma attenzione, in questo percorso il metodo sarà decisivo. Se tutto si ridurrà ad un accordo tra i quartieri generali delle segreterie dei partiti, o delle leadership dei movimenti, dei sindacati, delle associazioni non ci sarà alcun cambiamento reale. Se saranno i "senza" ad avere voce in capitolo, se la costruzione del percorso avverrà a partire dagli ultimi e non semplicemente in loro nome, allora varrà la pena tentare. Noi abbiamo ricominciato da lì, lanciando a Roma una consultazione per sciogliere il nodo della permanenza o meno di Nunzio in consiglio comunale. Una consultazione che facciamo nei quartieri popolari, tra gli invisibili, i senza voce, quelli che di solito non votano e che probabilmente torneranno ad astenersi.
Anche il processo costituente di un nuovo spazio pubblico avrà un futuro se nelle città partiremo dal basso, dal mondo degli invisibili. Noi ci vogliamo provare.

28.6.2004

Guido Lutrario