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Il movimento ritrova la voglia di pace. Cinquantamila in piazza a Roma

Publie le domenica 31 ottobre 2004 par Open-Publishing

Dazibao Manifestazioni-azioni Guerre-Conflitti


di Valentina Petrini

La pace è tornata in piazza. A chiedere di essere liberata dopo un anno e sette
mesi di prigionia. Un anno e sette mesi è esattamente il periodo che ci separa
dall’inizio dei bombardamenti sull’Iraq: 20 marzo 2003-30 ottobre 2004. Cgil,
Fiom, Arci, Aprile, sinistra e Correntone Ds, associazioni in difesa dei diritti
dei migranti, Verdi, Un ponte per..., il Tavolo per la pace, la Casa dei diritti
dei popoli, Comuni della provincia di Roma, e poi tanti, tantissimi, pensionati
e studenti delle scuole superiori e delle università. Secondo gli organizzatori
a Roma contro la guerra, sabato, c’erano circa cinquantamila persone.

Si apre la lotta di cifre tra chi sostiene la crisi del movimento (50 mila sembran pochi rispetto al milione del 15 febbraio) e chi invece ritiene che a morire fino adesso siano stati solo i diritti. «Fra la gente che il 15 febbraio si riversò per strada molti, forse, pensano di aver perso. E per questo non tutti sono qui. Ma sono convinto che la voglia di pace sia sempre più estesa». Claudio, 42 anni di Bologna, in sintesi esprime il clima di questa ennesima giornata di pace. Poca speranza e tanta rassegnazione che il popolo ancora una volta non verrà ascoltato.

E sabato 30 ottobre il popolo della pace è tornato per l’ennesima volta ad avvolgersi nelle bandiere di sempre. Le sigle, i comitati, i colori, gli slogan, persino i volti sono riconoscibili. «Un sabato qualunque», mormora qualcuno. «Come se avessimo mai smesso di lottare per la pace», risponde la signora Fernanda quando le chiediamo perché era ancora lì imperterrita, nonostante le bombe continuino a cadere, a distribuire volantini informativi su questa guerra infinita. «Siamo pochi? Siamo comunque di più di quanti questa guerra l’hanno voluta», reagisce Carlo, pensionato del Trentino venuto a Roma con i pullman della Cgil.

Sabato nemico della pace, oltre alle bombe, è stato anche il tempo. Pioggia e nuvole a scoraggiare quanti erano arrivati da ogni parte d’Italia per partecipare al corteo. Alle 14 da piazza Repubblica il serpentone di manifestanti comincia a disporsi su via Cavour per partire. Davanti lo striscione scelto dal comitato organizzatore Fermiamo la guerra, “Liberate la pace”. La musica, gli striscioni, i ragazzi che vendono libri e giornali di controinformazione. Tutto come sempre. Dieci minuti e inizia una pioggia battente. Niente paura ci sono gli ombrelli con i colori della pace a proteggere dall’acqua. Si riparte come se nulla fosse. Scendendo per via Cavour il corteo sembra però più silenzioso. In testa poca musica e molti volti scuri. Quelli dei più adulti. Dei pensionati. Tantissimi: «Perché noi di guerre ne abbiamo già viste e non pensavamo che anche i nostri nipoti avrebbero rischiato lo stesso». Il signor Renato ci accompagna per un tratto del corteo. E’ di Roma, anche lui da sempre contro la guerra. Ci racconta di quando era piccolo e con i fratelli e la madre si nascondevano, durante i bombardamenti, nei sotterranei, nelle cantine, ovunque le bombe non potessero uccidere. «Noi siamo stati fortunati - continua commosso Renato- siamo sopravvissuti a quell’inferno. Oggi mio fratello mi chiede come faccio a ricordarmi tutto, visto che eravamo piccolini. Ma io mi domando come potrò mai dimenticare il rumore degli aerei e delle bombe che esplodono».

Il movimento per la pace è in difficoltà? «Ma chi lo ha detto. E’ la pace che sta morendo e noi che cerchiamo di tenerla in vita». Michela ha 22 anni, è studentessa di Psicologia alla Sapienza di Roma. «Io sono indignata perché nessuno ci considera. Non mi sono ancora stancata di venire a manifestare ma sapete quanti miei coetanei all’università mi rispondono: “e che dovrei manifestare a fare tanto hanno già deciso tutto loro”». La triste verità è proprio questa. La piazza sente di essere stata defraudata della sua autorità. «E poi scusate ma la crisi del momento non aiuta di certo. Il lavoro, l’università, e tutte le riforme che hanno fatto sulla testa dei cittadini. Sono serviti a qualcosa i nostri no sistematici?». Francesco, 31 anni aspirante avvocato, è arrabbiato ed indignato con quanti provino a chiedergli se il movimento è in crisi oppure no. «Questo mondo è in crisi e noi non ce ne stiamo accorgendo».

Poi quasi su via dei Fori Imperiali al termine della manifestazione, un uomo con un gigantesco ombrello con i colori della pace aperto (nonostante abbia smesso di piovere) distribuisce volantini con «idee per un uomo nuovo. Codice stradale, riforme, religioni, scuola, diritti». In che senso, uomo nuovo? «Quello di oggi ormai ha fallito nessun Dio lo salverebbe».

A piazza Venezia il dispiegamento di forze dell’ordine è impressionante. La testa del corteo arriva e i partecipanti cominciano a sistemare gli striscioni perché possano comunque essere visibili. Il segretario della Cgil Guglielmo Epifani saluta lavoratori e immigrati, e se ne va.

Arriva la comunità palestinese, arriva il Fronte di Liberazione dello Sri Lanka, arrivano gli africani di Terre di mezzo. Tutti chiedono pace perché vengono da luoghi di guerra.

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=38822