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No alla modifica della Costituzione

Publie le lunedì 5 giugno 2006 par Open-Publishing
10 commenti

Referendum Partito della Rifondazione Comunista Parigi

 Unione Parigi: UN VOTO per la COSTITUZIONE

 Bellaciao invita a votare NO al referendum del 25 giugno

 Opuscolo Costituzione

 NO riforma v.online

Non è un referendum come gli altri

Il 25 e 26 giugno il popolo italiano sarà chiamato alle urne per lo svolgimento del Referendum costituzionale. In ogni società, la scelta sulla Costituzione è una scelta politica suprema nella quale si mette in gioco il destino e l’identità stessa di un popolo organizzato in comunità politica. Il referendum che si svolgerà nel giugno del 2006 è un referendum istituzionale, paragonabile soltanto a quello del 2 giugno 1946 nel quale il popolo fu chiamato a scegliere fra Monarchia e Repubblica. La controriforma della Costituzione, approvata dalla maggioranza di centro-destra nel novembre del 2005, non riscrive soltanto l’intera II parte, ma pregiudica l’impianto della Costituzione italiana nel suo complesso. La “devolution” è soltanto un aspetto. La riforma cambia completamente la forma di governo e mette in discussione anche i diritti fondamentali dei cittadini.

La devolution

Si ridefiniscono i poteri delle Regioni, pregiudicando i diritti sociali più importanti per ciascuno di noi (il diritto alla salute ed il diritto all’istruzione) e mettendo a repentaglio l’unità sociale e politica del Paese. Attribuire alle Regioni la competenza legislativa esclusiva in materia di assistenza ed organizzazione sanitaria e istruzione significa, rispettivamente, demolire il Servizio Sanitario Nazionale e far perdere il carattere universale dell’istruzione. Tutto dipenderà concretamente dalla capacità finanziaria di ciascuna Regione. Significa che avremo venti Servizi Sanitari e differenti modelli di organizzazione scolastica. Ciò comporterà una violazione del principio di uguaglianza e a farne le spese saranno soprattutto i cittadini del Sud. Il diritto alla salute verrà fortemente messo in discussione e quindi di conseguenza avremo ospedali più scadenti, liste di attesa sempre più lunghe, oneri e costi delle cure sempre più alti. Il diritto all’istruzione verrà stravolto, tutto sarà gestito sulla base di valutazione ed esigenze localistiche, con differenti standard qualitativi, differenti regole di accesso e di fruizione delle prestazioni erogate.

Come se non bastasse la “devolution” attribuisce alla Regioni la competenza esclusiva in materia di polizia amministrativa regionale e locale. Questo significa non solo competenza a regolare le funzioni amministrative di polizia, ma soprattutto la competenza ad istituire dei nuovi “corpi armati”, ed a disciplinarne l’armamento e le funzioni.

L’istituzione di corpi armati regionali comporterà degli ulteriori costi che graveranno su ogni cittadino italiano.

Una forma di governo contro la democrazia

La forma di Governo è il cuore di ogni ordinamento democratico. La riforma costituzionale imposta dal Centro-destra opera un vero e proprio trapianto di cuore, sostituendo la forma di governo della Costituzione del 1948, basata sulla centralità del Parlamento e sull’equilibrio dei poteri, con una altra forma, inusitata, costruita sulla prevalenza del Premier sul Governo e sulle Assemblee Parlamentari. Una forma di governo che non esiste in nessun altro ordinamento di democrazia occidentale, ma che il nostro Paese ha già conosciuto nell’epoca fascista.
In questo nuovo ordinamento vengono concentrati nella mani del Capo del Governo tutti i poteri sottratti al Parlamento, al Presidente della Repubblica ed allo stesso Governo.

Il Primo Ministro nello specifico avrebbe il potere di nomina e revoca dei ministri, di sciogliere la Camera dei Deputati, di togliere la competenza legislativa al Senato Federale e trasferirla alla Camera dei Deputati, qualora il Senato dovesse bocciare leggi che gli stanno particolarmente a cuore. Il Presidente della Repubblica perderebbe il potere di scelta del Primo Ministro, non potrebbe più impedire al Governo e al Premier di presentare disegni di legge o decreti incostituzionali e infine perderebbe qualsiasi potere di risoluzione delle crisi politiche.
Il Parlamento (Camera dei Deputati) viene trasformato in un organo esecutivo degli ordini del Primo Ministro assunti in forma di legge. I Parlamentari sarebbero divisi in due corpi separati, tanto che ai deputati dell’opposizione verrebbe impedito di esercitare il diritto di voto rispetto alla scelte fondamentali di indirizzo politico.
Per effetto di queste modifiche, il volto della democrazia italiana sarebbe profondamente sfigurato.

Il ricorso alle elezioni non servirà più al popolo italiano per eleggere i propri rappresentanti, ma sarà soltanto funzionale ad investire un Capo politico, il quale avrebbe poteri pressoché assoluti.

E’ vero che viene ridotto il numero dei deputati (che nel 2016 passerà da 630 a 518), ma - una volta che i parlamentari non possono più esercitare liberamente la loro funzione di rappresentanti del popolo italiano (cioè di rappresentare i bisogni, gli interessi e le aspirazioni degli elettori), il loro numero è fin troppo elevato.
Con questa nuova forma di Governo vengono demolite tutte le garanzie apprestate dalla Costituzione italiana per evitare ogni forma di dittatura della maggioranza. Persino la Corte Costituzionale, che rappresenta l’ultima garanzia contro il pericolo di abusi della maggioranza a danno dei diritti dei cittadini italiani, viene manipolata. Modificando la sua composizione (con l’aumento della componente di derivazione politico-parlamentare), la Corte viene politicizzata ed attratta, nel lungo periodo, nell’orbita dell’influenza del Primo Ministro.

Con questa riforma il nostro paese esce fuori dal sentiero della democrazia e viene nuovamente spinto nell’avventura - che abbiamo già percorso nel nostro passato - di un ordinamento fondato sulla “dittatura elettiva” del Primo Ministro.

Un nuovo ordinamento che travolge i diritti fondamentali dei cittadini.

I promotori della riforma della Costituzione ci hanno assicurato che le nuove regole costituzionali non avrebbero modificato la I Parte della Costituzione, cioè che non avrebbero pregiudicato i diritti e le libertà che la Costituzione italiana garantisce a tutti i cittadini.

Questo non è assolutamente vero!

I diritti e le libertà non esistono in natura: possono essere attuati, riconosciuti, garantiti e sviluppati soltanto attraverso il funzionamento delle istituzioni e dei pubblici poteri. Per esistere, pertanto, hanno bisogno di un ordinamento democratico, di un assetto dei pubblici poteri che, attraverso meccanismi istituzionali adeguati, dia concretezza, protezione e tutela ai diritti ed alle libertà.

Attraverso la modifica della forma di Governo risultano pregiudicati ed indeboliti sia i diritti a contenuto sociale, sia i diritti a contenuto eminentemente politico, vale a dire i diritti di libertà.

I diritti sociali, come per esempio la dignità del lavoro, ed i diritti di libertà nel contesto di un ordinamento si sviluppano e si attuano attraverso la legislazione ordinaria. Anche beni pubblici fondamentali per il popolo italiano, come il ripudio della guerra (affermato dall’art. 11 della Costituzione), trovano la loro garanzia nei meccanismi della democrazia.

I diritti e le libertà solennemente sanciti dalla prima parte della Costituzione, hanno ricevuto solidità grazie agli istituti attraverso i quali è stata organizzata la rappresentanza e sono stati divisi i poteri. Spogliati di tali istituti i diritti e le libertà appassiscono, cessano di essere garantiti a tutti e perdono il vincolo dell’inviolabilità.
La riforma costituzionale voluta dalla destra ci spoglia del patrimonio di diritti e di libertà e ci sottrae quel patrimonio di beni pubblici repubblicani che i costituenti ci hanno lasciato in eredità a garanzia della libertà, della dignità, della felicità e della vita stessa di ciascuno di noi e delle future generazioni.

Il Referendum è l’ultima occasione per salvare i beni pubblici e le libertà che i costituenti hanno prescritto per il popolo italiano, facendo tesoro delle esperienze di lotta contro il nazifascismo. La scelta che siamo chiamati a compiere è cruciale per il destino del nostro Paese. Oggi, come allora, è necessario ritrovare lo stesso spirito, la stessa coscienza di un dovere civile da adempiere: sconfiggere il progetto di demolizione della Costituzione, votando NO al referendum per ricostruire il primato della convivenza civile orientata al perseguimento del bene comune.

http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/devolution/

http://www.referendumcostituzionale.org/

http://www.cgil.it/nuovoportale/Doc...

Opuscolo Costituzione
NO riforma v.online

Messaggi

  • NO DEVOLUTION

    votare con un secco no alla devolution, impedire che si distrugga l’italia, impedire impoverimento ulteriore del sud, impedire il razzismo tra italiani, impedire l’evolversi di un movimento xenofobo come quello leghista, che ha stretto la mano ad un boia come milosevic, impedire che ignoranza trionfi ancora, per tutti questi motivi andate a votare e fate qualcosa presto uniti ed assiieme qui

    by guido arci camalli arci fuori orario arci bergamo arci peppino impastato arci cervo arci ceriana
    arci guernica salviamo la nostra costituzione

    • Se ci va bene, demoliscono lo Stato sociale

      di Paolo Nerozzi
      Segretario nazionale Cgil

      L’iniziativa del governo sulla devolution e la riforma del titolo V della Costituzione è preoccupante e avviene nel quasi totale disinteresse dell’opinione pubblica. Certo su questo ha il suo peso la contemporaneità del conflitto in Iraq. Ma non deve essere solo questo, visto che c’è sottovalutazione anche da parte dei partiti, se si esclude la preoccupazione delle Regioni e del sistema delle autonomie, compresa quella che viene espressa da alcuni amministratori del centrodestra.
      Quello che sta avvenendo viene liquidato come una manovra per prendere più voti alle prossime elezioni amministrative ma così non è. Il disegno è organico e ha un suo senso.

      Quando il centrosinistra fece a fine legislatura la sua riforma del titolo V della Costituzione, noi come Cgil avanzammo un’osservazione di metodo, sul fatto che le riforme istituzionali non si fanno a maggioranza, più alcune osservazioni di merito, su temi per noi importanti come il lavoro, la scuola, la previdenza. Poi ci fu il referendum confermativo e noi, pur con le nostre osservazioni, invitammo a votare sì. Il popolo italiano convalidò la riforma ma il governo di centrodestra, pur presentando un disegno di legge attuativo, quello del ministro La Loggia, ha poi preso tempo facendo passare più di un anno. Se il governo se l’è presa così comoda, creando confusione sulle competenze e incertezza nelle risorse per tutto il sistema delle autonomie locali e delle Regioni, non è stato per caso. La strategia che c’è dietro, confermata oggi dall’unificazione tra quel disegno di legge e la devolution, è quella di un disegno che porta allo smantellamento dello Stato sociale. Sia nel caso che la riforma venga approvata in tempi rapidi: a quel punto le materie che riguardano lo Stato sociale sarebbero di competenza esclusivamente regionale e il risultato sarebbe quello, sciagurato, di venti sistemi diversi, uno per regione, sia per quanto riguarda la scuola che per la sanità.

      Ma l’obiettivo potrebbe venire raggiunto anche se contrasti interni alla maggioranza portassero a perdere ancora tempo, perché in quel caso la confusione e la mancanza di risorse ridurrebbero Regioni e autonomie locali all’impotenza e porterebbero quindi alla fine di fatto del sistema di welfare così come l’abbiamo conosciuto. Certo, va apprezzato il fatto che le materie relative al lavoro siano state riportate, come noi avevamo richiesto, nell’alveo di una competenza legislativa nazionale, ma questo non può farci sottovalutare i danni che questa doppia riforma, se non fermata, porterà con sé. Sul terreno della distruzione di un sistema eguale di protezioni nel paese, infatti, si unifica l’«ala dura» della coalizione, quella rappresentata da Bossi e da Tremonti, con quella più «dialogante», rappresentata dall’Udc,che è comunque interessata a uno Stato sociale «non laico» e «non universale», in cui acquisti sempre più peso la gestione da parte del «privato sociale».

      L’insieme della manovra porta con sé anche un altro pericolo, assai grave, che nasce da alcune norme che semplificano il meccanismo di costruzione di nuove Regioni e immettono il principio di secessione attraverso referendum non solo per quanto riguarda le attuali Regioni (vedi il caso di Emilia e Romagna) ma anche per quanto riguarda l’assetto nazionale. Su questo pericolo è stato lanciato un grido d’allarme da Vasco Errani, presidente della Regione Emilia-Romagna.
      Se va bene, insomma, demoliscono lo Stato sociale. Se va male, inizia un processo di scissione e di divisione del paese, sempre presente del resto nelle idee e nelle opere di Bossi (il cui annuncio di non votare la riforma se non ci sarà quell’ineffabile sciocchezza delle vicecapitali, quello sì, è tutto in chiave elettorale).

      C’è poi un altro rischio, gravido di conseguenze altrettanto pericolose. L’inefficienza e l’impossibilità di produrre sensibili miglioramenti nei processi di riforma, per via dell’incertezza su risorse e competenze ad autonomie locali e Regioni. Questo potrebbe produrre un caos amministrativo e legislativo e un aumento di costi che potrebbero portare a un processo rapido di riforma dello Stato: nell’idea di Tremonti e di una parte di An, infatti, la devolution si accompagna all’elezione diretta del presidente della Repubblica (e che questo sia uno dei possibili esiti di questa fase lo testimonia anche la scomparsa dall’agenda del governo del tema della Camera delle Regioni). Un processo che verrebbe facilitato e reso quasi obbligato dalla dissoluzione amministrativa ed economica e quindi dall’incapacità dell’attuale sistema di gestire in modo efficace partite essenziali per la vita e il benessere di tutti.
      Viene alla mente l’analisi di Bernstein e dei suoi allievi. Che, esaminando l’esperienza della Repubblica di Weimar, sottolinearono come, accanto alla crisi sociale, dal punto di vista istituzionale tre furono le cose che portarono alla fine traumatica di quel periodo: l’elezione diretta del presidente della Repubblica senza controllo da parte del Parlamento; un potere eccessivo dei laender in tema di sicurezza, scuola e sanità; l’uso eccessivo dei referendum. (E fu da una critica della stessa realtà che Carl Schmitt partì per teorizzare lo Stato autoritario).

      La situazione di oggi non va drammatizzata ma non va neppure sottovalutata. Queste derive esistono e sono pericolose. Ma esistono gli anticorpi e si sta facendo strada, seppur gradualmente, la consapevolezza della necessità di una risposta adeguata. La Cgil, che per tempo ha denunciato questo rischio, deve rilanciare oggi con coerenza le sue posizioni, insieme a Cisl e Uil, e sostenere con determinazione l’alleanza con Regioni e autonomie locali, appoggiando le battaglie che queste sostengono e sosterranno per un federalismo solidale, per un federalismo definito nei compiti e nelle competenze.

      belin se vi avanza tempo venite in kosovo visitate il sito sprofondoimperia.it vi aspettiamo

      by guido arci camalli arci guernica

  • Ieri, proprio ieri tornando a casa, mi ha fermata Margherita. E’ una donna di mezza età, casalinga e sarta da sempre. Una compagna, come usava dire, che ha votato lei e famiglia sempre Rifondazione, da quando esiste. Mi ha fermata e mi ha chiesto di spiegarle cosa doveva votare, perchè a volte nel passato ha scritto si per abrogare e a volte no per confermare e magari l’inverso di tutto. Abbiamo parlato, poco, le ho detto scrivi no e basta, che nessuno tocchi la Costituzione.
    Ma ecco questo è il punto: lei ha chiesto.
    Margherita è confusa, e tutte le sue certezze sono che ormai vivere costa sempre di più, in tutti i sensi.Quì in paese ci si incontra quando si torna a casa con i pacchi e ci si scambia notizia di chi vende a prezzo migliore il fabbisogno quotidiano, di chi si sposa o muore, di chi è ammalato o di chi è arrivato.
    Non cambia molto la musica spostandosi in città. Si va al lavoro, ci si sbatte per cercarlo, e le donne corrono appresso ai figli, al lavoro dentro e fuori casa. A sera a vedere la televisione, a fare l’amore per chi lo può e vuole fare, a dormire, a mangiare.Si arriva una domenica e ci dicono che dobbiamo andare a votare. Il 28 giugno che magari è una giornata di sole, per chi per cosa? E oggi che c’è un governo di sinistra, da chi mi debbo difendere? Ecco questo è il punto. Chi ci ha messo in questa condizione, chi ci ha detto nel passato di andare al mare, di votare no-si, chi ha abusato della nostra pazienza, chi e perchè?
    Attenzione di Margherite da sfogliare ce ne sono poche...
    Doriana

    • Tanto per cambiare, hai ragione da vendere.

      Non vorrei che, cullati dal risultato sostanzialmente positivo delle amministrative e dall’assenza del problema del quorum, i centrosinistri nostrani diano per scontato che "è già fatta".

      Le cose non sono così semplici e si è anche capito che Il Caimano e c. cercheranno demagogicamente di buttare tutta l’attenzione sulla riduzione del numero dei parlamentari - cosa peraltro veramente minima - prevista dalla famigerata legge Calderoli, cercando così di far dimenticare l’aspetto devolution e gli altri aspetti perversi della medesima legge.

      E gia’ si comincia a profilare, basta guardare Indy ed altri luoghi "nostri", un certo "astensionismo di sinistra", variamente motivato ...

      E non mi riferisco all’astensionismo tradizionale di tipo anarchico e/o "duro e puro", che do per scontato ma - non me ne voglia Mick - do anche per poco rilevante nel gioco complessivo dei numeri.

      Parlo invece di un "astensionismo di sinistra" motivato con elementi di delusione, rispetto al governo Prodi, che già si stanno profilando anche nell’elettorato di sinistra "non estremista".

      Dalle promesse di "lacrime e sangue" e di manovre bis o tris immediatamente esternate dal banchiere/ministro Padoa Schioppa, dal mancato ritiro immediato dall’ Iraq ( D’Alema oggi parla di fine anno che è sostanzialmente quello che diceva pure Berluskoni) fino ad episodi veramente antipatici come la "trombatura" avvenuta oggi a scrutinio segreto della impagabile Lidia Menapace per la presidenza di una commissione parlamentare.

      Aggiungi a tutto questo una assenza di informazione radio/televisiva della quale i dubbi di Margherita sul valore del Si e del No sono un esempio molto indicativo.

      Insomma, non è una passeggiata, proprio per niente.

      Keoma

    • Se la Riforma costituzionale approvata dal centrodestra dovesse superare con esito favorevole l’imminente referendum confermativo entrerebbe in vigore a partire dal 2007, e da allora la legge prevede un limite di tre anni per privare le regioni dei trasferimenti statali e dotarle del potere di far fronte alle spese con autonoma capacità fiscale.
      Secondo l’Isae, istituto di ricerca del ministero dell’Economia, se ciò dovesse accadere l’ammontare delle spese annuali sostenute dagli enti locali salirebbe a 260 miliardi. I dati di bilancio della simulazione sono del 2003, perciò si tratta di una stima "per difetto".
      I costi principali per regioni e comuni deriverebbero dal decentramento in materia di sanità e scuola, considerando che attualmente le spese complessive per il servizio sanitario nazionale ammontano a 90 miliardi di euro e quelle per l’istruzione a 48 miliardi di euro.
      Secondo i dati dell’Isae le spese degli enti locali salirebbero dall’attuale 15,1% del Pil al 20,4%, circa il 37% dell’intera spesa della pubblica amministrazione.

      I problemi principali dunque sarebbero due: i costi reali della transizione verso un ipotetico decentramento delle spese e le risorse cui regioni e comuni potrebbero attingere per far fronte alle maggiori uscite.
      Circa il primo punto si tratta di una questione letteralmente ignorata dal progetto di riforma approvato dal Parlamento, che si limita a elidere un intero capitolo di spesa per poi ascriverlo agli enti locali. Nonostante le lacune lasciate dal legislatore è assai probabile che il trasferimento alle regioni di competenze come quelle in materia scolastica e sanitaria produca, per un periodo più o meno lungo, una parziale duplicazione di uffici e di costi. Basti pensare che le leggi Bassanini hanno causato un aumento dei costi di circa il 15% delle risorse trasferite e che i continui sfondamenti dei limiti di spesa fissati per le regioni in materia sanitaria stanno cominciando a mettere in crisi la teoria secondo la quale la vicinanza dei centri di spesa ai contribuenti produrrebbe minori sprechi.

      Riguardo poi alla seconda questione, come si accennava, la riforma prevede la cessazione dei trasferimenti dal livello nazionale entro il 2010, per allora le regioni si autofinanzieranno al 99% e i loro tributi rappresenteranno il 43% dell’intera pressione fiscale su cittadini e imprese.
      Ma da dove proverranno le risorse che gli enti locali dovranno utilizzare per coprire le maggiori spese? Quali saranno le imposte locali che i cittadini si vedranno aumentare?
      Secondo le previsioni dell’Isae la pressione fiscale locale si moltiplicherà per tre e le imposte dirette e indirette di regioni e comuni saliranno dal 6,7% del Pil al 18,2%.
      Tuttavia l’Irpef non potrà essere più di tanto trasferita agli enti locali poiché svolge per lo Stato centrale un’indispensabile funzione perequativa tra i redditi di chi guadagna di più e chi di meno.
      Allo stesso modo neanche l’Iva può essere trasferita agli enti locali perché ogni aumento si trasferirebbe sui consumi, rischiando di creare inflazioni diverse.
      Infine le imposte sulle rendite finanziarie si trasferirebbero a livello nazionale e le regioni non sarebbero in grado di tassarle.
      Restano perciò nella disponibilità di regioni e comuni le imposte sulla casa, come l’Ici, quelle sulle transazioni degli immobili (registro, ipotecaria e catastale), sull’energia elettrica, sul gas metano, mentre meno consigliabili, per la mobilità degli utenti, sarebbero quelle sulla benzina.
      Agli enti locali rimarrebbe inoltre la possibile gestione delle imposte su tabacchi, giochi e bolli.

      La riforma del titolo V, inopinatamente varata dal centrosinistra alla fine della scorsa legislatura, ha già prodotto una rivoluzione della spesa, nei rapporti tra centro e periferia, mal digerita a tutti i livelli della Pubblica Amministrazione. Ora il progetto di revisione costituzionale voluto dall’attuale maggioranza rischia di assestare un colpo definitivo, sotto il profilo dei conti pubblici (oltre che sotto quello dell’assetto costituzionale), al nostro sistema-paese.
      Se la riforma dovesse passare il conto della devolution non si farà attendere.
      Anche su questo gli italiani saranno chiamati a riflettere in vista della prossima consultazione referendaria.

      BY GUIDO ARCI CAMALLI ARCI GURNICA ARCI CERVO ARCI FUORI ORARIO ARCI BERGAMO ARCI PEPPINO IMPASTATO UNITI SI VINCE

    • I Girotondi per la Democrazia di Roma informano:

      Il 25 e 26 giugno si vota per il referendum confermativo sulla riforma della costituzione.
      Una riforma che cambia 53 articoli su 139, dando al Presidente del Consiglio la possibilità di sciogliere le Camere e quindi di ricattare i parlamentari, creando un’ulteriore disuguaglianza fra nord e sud attraverso la devoluzione. Una riforma che sconvolge i ruoli di Camera e Senato, che riduce la funzione di garanzia del presidente della Repubblica, che sottomette il CSM al potere esecutivo.

      Una vittoria del sì sancirebbe lo sconvolgimento del nostro sistema democratico.
      Di fronte a una questione di tale gravità ci pare che l’informazione di giornali e partiti
      sia al momento del tutto inadeguata.
      Vi chiediamo perciò di aiutarci a informare gli elettori diffondendo
      questo messaggio a tutti i vostri amici e conoscenti.
      Per questo referendum, non c’è quorum,
      quindi vince chi vota!!
      per materiale informativo sul referendum:
      http://www.referendumcostituzionale.org


    • Referendum, intellettuali milanesi firmano per il No

      Guido Rossi, commissario straordinario della Figc, ha firmato l’appello del Comitato della arti, della scienza e delle professioni per il no al referendum sulla riforma costituzionale. L’appello è stato firmato da molti intellettuali, tra i quali Maurizio Pollini che per sostenere il no ha organizzato per il 23 giugno un concerto straordinario nella sala Verdi del Conservatorio di Milano. Tra i firmatari, oltre a Stefano Passigli, che ha anche redatto l’appello, figurano Claudio Abbado, Salvatore Accardo, Rosellina Archinto, Gae Aulenti, Enzo Biagi, Umberto Eco, Inge Feltrinelli, Vittorio Gregotti, Rita Levi Montalcini, Claudio Magris, Dacia Maraini, Francesco Micheli, Renzo Piano, Mario Pirani, Elvira Sellerio e Umberto Veronesi. ’’La Costituzione del 48 - sostengono nell’appello - può essere migliorata ma senza alterare l’equilibrio tra poteri e senza rinunciare alle garanzie offerte dalla Corte Costituzionale e dalla Presidenza della Repubblica così come oggi sono configurate’’. ’’Soprattutto - sostengono - senza consegnare tutto il potere nelle mani di un governo dominato da un primo ministro onnipotente, sottoposto ogni cinque anni al voto popolare ma nel frattempo padrone assoluto di tutte le istituzioni senza alcun reale contrappeso e, al tempo stesso, sottoposto ai veti e ai ricatti delle sue componenti e, quindi, scarsamente capace di rispondere con azioni pronte ed efficaci ai bisogni del nostro Paese’’.(Ansa)

      Intellettuali milanesi uniti contro la riforma della costituzione varata nella scorsa legislatura. Un ’’appello delle arti, della scienza e delle professioni’’ per il no al referendum confermativo del 25 e 26 giugno è stato infatti sottoscritto oggi da molte personalita’ di primo piano della società milanese. Tra i firmatari figura anche Guido Rossi, commissario straordinario della Figc. Insieme a lui hanno siglato l’appello per il no alla riforma costituzionale anche Maurizio Pollini, Stefano Passigli, Claudio Abbado, Salvatore Accardo, Rosellina Archinto, Gae Aulenti, Enzo Biagi, Umberto Eco, Inge Feltrinelli, Vittorio Gregotti, Rita Levi Montalcini, Claudio Magris, Dacia Maraini, Francesco Micheli, Renzo Piano, Mario Pirani, Elvira Sellerio e Umberto Veronesi. La convinzione comune e’ che ’’la Costituzione del ’48 può essere migliorata ma senza alterare l’equilibrio tra poteri e senza rinunciare alle garanzie offerte dalla Corte Costituzionale e dalla Presidenza della Repubblica così come oggi sono configurate. E soprattutto - si legge nell’appello - senza consegnare tutto il potere nelle mani di un governo dominato da un primo ministro onnipotente, sottoposto ogni cinque anni al voto popolare ma nel frattempo padrone assoluto di tutte le istituzioni senza alcun reale contrappeso e, al tempo stesso, sottoposto ai veti e ai ricatti delle sue componenti e, quindi, scarsamente capace di rispondere con azioni pronte ed efficaci ai bisogni del nostro Paese’’. Insomma, i firmatari dell’appello non hanno dubbi: ’’La proposta di modifica della Costituzione è una grave minaccia per la democrazia’’. Soprattutto perché ’’alcuni diritti fondamentali, da tempo acquisiti, sono oggi in pericolo’’. Nel mirino soprattutto la devolution che ’’mette a rischio l’universalità e l’uguaglianza dei diritti in settori fondamentali per il benessere dei cittadini come la sanità, l’istruzione, la cultura e la sicurezza. Se la riforma verrà approvata - si legge ancora - avremo venti sistemi sanitari diversi e venti scuole diverse. Ai cittadini verranno offerte opportunità diverse a una diversa qualità della vita a seconda del luogo di nascita o di residenza’’. Secondo i sottoscrittori dell’appello, eventuali riforme costituzionali dovranno d’ora in poi essere il ’’frutto di un ampio dibattito, e non imposte a colpi di maggioranza da chi rappresenta al massimo la metà degli elettori e che così facendo darebbe alla nuova costituzione una base di legittimità debole e precaria. Non vogliamo una costituzione di parte - conclude l’appello - ma una costituzione che, come quella del 1948, possa essere largamente condivisa dagli italiani’’. Ancora più duro il tono degli interventi di Stefano Passigli e di Maurizio Pollini, che questa mattina hanno presentato l’iniziativa alla stampa nel corso di una conferenza che si è tenuta nella sede della provincia di Milano. Per Stefano Passigli, il relatore dell’appello, quella approvata dal governo Berlusconi ’’non e’ una riforma federale, ma e’ una riforma fatta da incopetenti per ragioni esclusivamente politiche che va contro il principio stesso di federalismo’’. E Maurizio Pollini si è spinto addirittura più in là, perlando di un concreto ’’pericolo di dittatura’’, rappresentato a suo avviso dal ’’premierato forte e dalla grande diminuzione dei poteri di garanzia del presidete della Repubblica’’. E a sancire il suo impegno per il no al referendum, il pianista ha annunciato un suo concerto dove suonerà diverse arie di Beethoven e Chopin. L’appuntamento e’ per la vigilia del referendum, venerdi’ 23 giugno, al Conservatorio di Milano. Prezzo decisamente popolare: basteranno 15 euro per il posto unico, non numerato. Gli interessati dovranno affrettarsi, perché sono già stati venduti parecchi dei 1.800 posti disponibili. (Asca)

      http://www.libertaegiustizia.it/pri...

    • Panorama:

      http://www.panorama.it/italia/capir...

      Gli ultimi sondaggi danno al no un vantaggio assai risicato. Quella che doveva essere una passeggiata per il centrosinistra può diventare un incubo. La Lega chiede una vittoria netta almeno al Nord, altrimenti via a posizioni più radicali. Compatte Forza Italia e An, mentre pesa l’incognita dell’Udc con Follini e Tabacci.

      Diffondete l’audio della CGIL:

      http://www.lofficina.org
      http://www.lofficina.org/audio/spot1.mp4
      http://www.cgil.lombardia.it/archiv...

      Facciamo questo ultimo sforzo di un anno intenso e scendiamo in strada a diffondere i motivi per il NO !

      Se non avete materiali rivolgetevi agli uffici della CGIL oppure fate senza e fermate le persone in strada così, semplicemente, e parlate con loro, informandovi prima, se non lo avete già fatto, tramite uno dei tanti materiali che esistono in rete, come questo: http://www.lofficina.org/articoli/c...

      Se proprio non potete scendere in strada, stampate dei volantini da mettere nelle cassette della posta del vostro condominio, fatelo anche sabato 24.

      Prelevate qui il volantino http://www.lofficina.org/documenti/... , in bianco e nero vi costerà una decina di euro, a colori 20-30 euro per una trentina di appartamenti, oppure scroccate in ufficio.

      I romani possono unirsi ad uno dei punti di volantinaggio come ad esempio quello sito in Piazza Vittorio Emanuele II - lato Via Buonarroti , c’é un gazebo bianco del Comitato Esquilino, Vi aspettiamo dalle 17,30 in poi.

      Inviate questa mail ai vostri amici e fate girare al massimo.

      Principali link utili, che troverete anche sul sito dell’officina:

    • AL REFERENDUM COSTITUZIONALE DEL 25 E 26 GIUGNO

      DICIAMO UN NO CHE NON DIVENTERA’ MAI UN SI!

      Il 25 e 26 giugno saremo chiamati ad un Referendum “confermativo” delle modifiche apportate dal Governo Berlusconi alla seconda parte della Costituzione Italiana. Tale Referendum sarà valido indipendentemente dal numero dei votanti e deciderà su una vera e propria valanga di modifiche apportate alla nostra Carta Costituzionale su cui la stragrande parte dei cittadini non sa quasi nulla.

      In particolare siamo chiamati a dire la nostra, su una riforma del sistema parlamentare che rischia di svuotare il Parlamento di ogni funzione – affidando enormi poteri al Premier – e soprattutto sulla “devolution”, estremizzazione del federalismo che, se confermato, annullerà ogni criterio solidaristico e può favorire la rottura dell’unità politica del Paese.

      La CUB ritiene che oggi il problema centrale da affrontare nel paese non sia quello delle ingegnerie istituzionali bensì quello delle questioni sociali, che oggi sono negate dalle politiche liberiste ed antipopolari degli ultimi governi.

      LA CUB INVITA TUTTI AD ANDARE A VOTARE E A VOTARE NO!

      Ma votare No al referendum del 25 e 26 giugno non significa dire SI alla precedente riforma del Titolo quinto della Costituzione avviata dal governo di centro sinistra nella penultima legislatura. Proprio con quella riforma, dando una lettura distorta della richiesta di cambiamento che pure esisteva nel Paese, si è dato vita ad un Federalismo che ha causato solo conflitti di competenza tra istituzioni centrali e locali.

      Noi non riteniamo che si debba perseguire ancora quella strada, né che il NO al referendum sia vanificato dopo pochi mesi da un ulteriore inciucio tra centro destra e centro sinistra sulle modifiche al sistema elettorale per avviarlo ancora di più in direzione del bipolarismo maggioritario in cui i cittadini non avranno più alcun diritto di parola.

      VOTIAMO OGGI PER CONTINUARE A LOTTARE

      PER UN PAESE UNITO E SOLIDALE!

      C.U.B. - Confederazione Unitaria di Base

      www.cub.it