Home > A Falluja cecchini Usa contro i feriti
Dura denuncia delle organizzazioni non governative impegnate in Iraq:
«Cecchini fuori dagli ospedali, ambulanze prese di mira, centri sanitari
utilizzati per le operazioni militari». Amnesty international: «Occorre
un’indagine indipendente e imparziale per accertare le responsabilità»
La situazione a Falluja è del tutto fuori controllo. Alle testimonianze
drammatiche che si accavallano nei giorni scorsi dalla città sunnita
assediata dai militari statunitensi, adesso si aggiunge un comunicato
ufficiale del Coordinamento delle ong in Iraq (Ncci). Un documento che
consegna all’espressione formale «violazione delle convenzioni
internazionali che regolano i conflitti armati» il compito di descrivere un
quadro difficile da immaginare. Da giorni la città è praticamente
assediata, e dentro è guerra aperta. Il Coordinamento parla di attacchi
alle ambulanze, l’utilizzo dei centri sanitari come basi militari,
l’arresto dei pazienti all’interno delle strutture militari. I soldati si
dispongono anche all’entrata degli ospedali - perlopiù piccoli presidi
sanitari, dove è sempre più difficile assicurare il rifornimento di
medicinali - e impediscono l’ingresso di tutti gli uomini tra i 15 e i 40
anni.
La scusa ufficiale: potrebbero essere guerriglieri. D’altronde lo
stesso trasporto verso le porte degli ospedali è a rischio, i cecchini (tra
cui anche statunitensi) prendono di mira i feriti, per finirli. Il lavoro
dei volontari iracheni - sono loro, per la maggior parte, a operare nella
città - non è garantito da nessuno. Escono allo scoperto a loro rischio e
pericolo, non c’è mezzo che venga risparmiato dal fuoco incrociato. E
nessuno assicura protezione. Dall’Ics, una delle organizzazioni non
governative impegnate in Iraq, raccontano che quando gli americani
impongono il coprifuoco - che può durare un giorno intero e non solo per
qualche ora - vale per tutti. E allora i volontari locali si ingegnano in
ogni modo per superare i check point.
«Il numero di morti e feriti è in costante aumento, mentre la popolazione
civile è stata costretta ad abbandonare i luoghi degli scontri. Mancano
cibo, acqua potabile e medicine. Persistono seri ostacoli nella
distribuzione dei generi di prima necessità e d’emergenza», si legge nel
comunicato del Coordinamento.
Ieri, dopo l’annuncio del prolungamento di 48 ore del cessate il fuoco
proprio per permettere la riapertura di due importanti ospedali, cinque
iracheni sono stati uccisi.
Le organizzazioni non governative sollevano perplessità anche sul tipo di
armamenti usati. Nel loro comunicato parlano di armi non convenzionali.
«Pensiamo all’utilizzo di cluster bombs», spiega Simona Torretta di Un
ponte per... (dall’altro ieri ad Amman insieme ai colleghi di altre
organizzazioni italiane, in attesa che la situazioni torni agibile). Le
micidiali bombe a grappolo che lasciano sul terreno mine inesplose di cui
fanno le spese i civili, in particolare i bambini.
Il numero dei morti civili sta crescendo a ritmo folle in questi ultimi
giorni. Il sito indipendente americano iraqbodycount ieri calcolava da un
minimo di 8.865 morti a un massimo di 10.715. «I civili continuano a pagare
il prezzo più alto. Questa tragedia deve essere fermata e occorre accertare
i responsabili di queste vittime civili», ha detto ieri in un comunicato
Amnesty international, puntualizzando che la metà delle almeno 600 persone
rimaste uccise a Falluja nei recenti scontri è costituita da civili, molte
delle quali donne e bambini. «Dai recenti avvenimenti verificatisi a
Falluja è chiaro che le parti in conflitto hanno ignorato il diritto
internazionale umanitario. Deve essere avviata un’indagine esauriente,
indipendente e imparziale», ha aggiunto Amnesty.
Ora l’altra preoccupazione delle associazioni umanitarie è che vengano
aperti i corridoi umanitari, per permettere il trasporto di aiuti alla
popolazione. Una procedura normale nelle zone di conflitto. Ma non in Iraq,
dove l’ordine imposto è quello di continuare a negare che sia in corso una
guerra. La procedura non è quindi contemplata. Il Coordinamento delle ong
sta quindi elaborando una lettera da inviare al governo provvisorio per
mettere all’ordine del giorno la necessità di istituire i corridoi e
permettere l’arrivo dei convogli umanitari.
il manifesto